Intervista a Jule Goikoetxea

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Intervista alla filosofa, femminista e militante basca Jule Goikoetxea. Prendendo spunto da un suo articolo di critica alla posizione della sinistra spagnola in merito alla questione catalana, "Carta a la progresia espanola", le abbiamo chiesto cosa pensa di quanto accade in Catalunya e nello stato spagnolo, lo stato di salute delle forze progressiste, o presunte tali, dall'altra parte dei Pirenei e le prospettive di un cambiamento sociale e politico che prenda le mosse da un pensiero critico ed antipatriarcale.

Di seguito, il testo dell'intervista

Intervista Jule Goikoexchea, Roma 7 novembre 2017

 

Intervistatore: Buongiorno a tutti e tutte, ci troviamo con Jule Goikoexchea, qui a Radio Onda Rossa, cercheremo di approfondire alcuni argomenti che, in seguito ai fatti che si sono svolti in Catalogna, sono venuti fuori e sono ora di attualità. Innanzitutto quindi volevo ringraziarti Jule per il tempo che ci hai messo a disposizione e per aver accettato di partecipare al nostro programma.

Jule: Buongiorno e grazie a voi.

 

Intervistatore: Jule noi ti abbiamo già presentato nei giorni scorsi agli ascoltatori e ascoltatrici della radio, anticipando alcuni temi che tu avevi esposto in un paio di articoli pubblicati nella pagina web del Salto e che avevamo letto, però forse ti chiederei di farci una breve presentazione di te stessa, del tuo lavoro, dei temi sui quali hai lavorato negli ultimi anni e sulla prospettiva con la quale li hai affrontati.

Jule: Be', in linea di massima sono una ricercatrice, in questo momento anche professoressa all'università, ho scritto dei libri e gli argomenti sui quali ho lavorato di più negli ultimi anni sono nazionalismo e democratizzazione, teoria dello stato, femminismo e patriarcato.

 

Intervistatore: Come cominci a lavorare a queste tematiche, da un punto di vista militante, da un'atra ottica, aiutaci a capire come sei arrivata a lavorare su queste questioni.

Jule: Be' come avete già detto sono basca e come saprete in quel territorio, le ultime decadi, per non dire gli ultimi secoli, sono stati abbastanza movimentati, abbastanza violenti, e una buona parte della società, non tutta ma una buona parte, è politicizzata. Nel mio caso già la mia famiglia lo era, perché mio padre era un militante, un attivista diciamo come molti altri membri della mia famiglia. Diciamo che l'interesse per la politica, per l'economia politica, la teoria dello stato comincia abbastanza presto. Devo dire che mio padre era marxista e quindi sia per quanto riguarda l'economia politica che la teoria dello stato il mio interesse viene soprattutto da lì.

Diciamo che, a parte l'ambito famigliare, anche quello nel quale mi sono mossa principalmente io ha sofferto molta violenza da parte dello stato spagnolo e questo mi a spinta a occuparmi sia di nazionalismo che di democratizzazione. Poi, certo, un riferimento importante andrebbe fatto al femminismo che non ha a che fare solo con le questioni dei Paesi Baschi ma in generale con tutto il sistema attuale che si regge su una logica patriarcale. Tutti questi interessi si sono in qualche modo intrecciati nel corso degli anni, ma come ho detto, già da piccola, ero fortemente attratta da questi temi, un po' per questioni famigliare, in parte per la mia radice basca, ma devo anche aggiungere che questi interessi che mi hanno portato a fare ricerca, sono molto legati anche agli ambiti sociali dai quali provengo dove l'esigenza di approfondire determinate tematiche mi ha spinto a fungere da strumento per poter sviluppare approfondimenti funzionali a soddisfare delle necessità di conoscenza. Tutto il lavoro che ho portato avanti sulla democratizzazione o sulla repubblica femminista si inquadra un po' in questa cornice degli interessi che la gente intorno a te sente di voler approfondire. Quindi sì. credo si possa dire che il mio percorso è un intreccio di attivismo sociale e teoria.

 

Intervistatore: Ecco, questo già sarebbe un argomento a parte no, cioè quello dell'intellettuale visto nella sua dimensione vorrei dire quasi gramsciana e non solo da quella accademica, dello studio. Che opinione ti sei fatta rispetto alla possibilità, all'apertura, che c'è oggi in Spagna, all'interno dell'università, di combinare questa visione dell'intellettuale che è implicato nei movimenti sociali da una parte e dall'altra che porta avanti il suo lavoro di ricerca.

Jule: Credo che ci sono molte dimensioni diverse da considerare e dipende naturalmente da molti fattori, ma per la mia esperienza possiamo dire che l'accademia è stata attraversata da un pensiero neo-liberale molto ampio. Siamo abituati a pensare che all'interno delle università ci siano persone di sinistra e che quelle di destra facciano fatica a manifestarsi pubblicamente come tali ma negli ultimi anni c'è stato uno spostamento fortissimo verso il neo-liberalismo e pochi gruppi editoriali controllano di fatto la quasi totalità delle riviste scientifiche nelle quali si ritiene che i professori, i ricercatori dovrebbero pubblicare i loro lavori. Oggi che succede? Che per pubblicare in queste riviste non solo ti chiedono di possedere una serie di conoscenze, ti chiedono di presentare le tue ricerche secondo determinati standard, ancora oggi di stampo tipicamente positivista e anglosassoni, ma anche sul piano dei contenuti, le tematiche sono filtrate secondo una prospettiva neo-liberale e io direi direttamente di destra. Alla fine la destra sì che ha i suoi intellettuali organici, come Habermas, per esempio, che si considera socialdemocratico naturalmente. E quello che succede è che esiste un biocottaggio vero e proprio nei confronti dei contributi di quegli intellettuali di sinistra che sono stati colpiti da una offensiva neo-liberale negli ultimi anni fortissima. Offensiva che è passata attraverso una tecnicizzazione e una privatizzazione del sapere all'università. Credo quindi che l'università si stia rapidamente convertendo in una specie di mafia all'interno della quale la conoscenza è nelle mani di pochi uomini, bianchi, espressione di un pensiero profondamente neo-liberale, nonostante loro stessi definiscano loro stessi e la loro testa come quella di social-democratici.

 

Intervistatore: Chiaro, qui tu anticipi alcuni temi che vorremmo trattare nell'intervista e che ruotano intorno alla questione del valore semantico che viene attribuito ad alcuni termini e di come questi termini hanno subito uno spostamento del loro significato anche a partire dalla distanza che si è prodotta dal loro valore etimologico. Neo-liberalismo, ma anche soprattutto democrazia. Sono molti i settori sociali nei quali si definiscono le cose in un modo anche se nella pratica si agisca in un'altra.

Per terminare questa parte quasi introduttiva, vorrei chiederti di parlarci un po' del lavoro che stai portando avanti in questo periodo. Da poco è uscito un tuo libro, un libro che parla proprio della democrazia. Su quali temi ti stai orientando?

Jule: Be' proprio quest'ultimo anno l'ho passato a Oxford, dove ho lavorato alla stesura del libro al quale hai fatto riferimento, nel quale parlo della privatizzazione della democrazia e critico tutta questa ideologia neo-liberale e la relazione che si stabilisce con il funzionamento della democrazia attuale. È un tentativo di stabilire un rapporto tra l'ideologia liberale e la politica, l'economia e le proposte di mercato unico, di privatizzazione. E come dicevamo prima, nonostante, in realtà, la maggior parte degli esperti a livello internazionale non si definisca come neo-liberale, le politiche che promuove, nelle quali si riconosce sono proprio quelle.

Nel libro quello che cerco di mettere a fuoco è la critica che si può fare alle proposte liberali intorno alla democrazia, che nella grande maggioranza appunto provengono da questo tipo di prospettiva in realtà, perché sia il movimento anarchico che quello marxista vanno in un'altra direzione. E dall'altra parte cerco di chiarire cosa siano il capitalismo finanziario e la globalizzazione e quali conseguenze stianno avendo nel ridefinire il concetto stesso di democrazia. In generale mi sono concentrata molto di più sull'Occidente e sull'attacco brutale che questo tipo di capitalismo finanziario ha sferrato alle nazioni, alla sovranità popolare e quindi, inevitabilmente al potere popolare. In qualche modo possiamo riprendere l'espressione "l'odio alla democrazia" del quale parlava Rancière.

Questo è quello che ho fatto negli ultimi tempi, oltre a dedicarmi alla traduzione del libro in altre lingue e più recentemente grazie a una borsa di studio che ho ricevuto da poco, uno studio sul patriarcato. Il progetto lo finanzia l'università di Barcellona Pompeu Fabra, dove mi trovo in questo momento e si concentrerà sulle forme patriarcali della società basca, ma l'idea è quella di poter estendere queste analisi anche a livello europeo. Aprire l'analisi più in generale sul patriarcato, sulle logiche con le quali si costituisce, come si articola al suo interno il rapporto tra uomini e donne, quali conseguenze ha sul piano socio-economico e socio-politico per le donne.

 

Intervistatore: Da questo punto di vista, con quali collettivi, gruppi, realtà politiche, da una prospettiva sociale e con quali ambiti universitari, intellettuali, da un punto di vista invece accademico hai tenuto maggiori contatti in questo periodo? Quali sensibilità hai incrociato su questi temi che hanno secondo te il merito di proporre delle prospettive innovative o comunque utili.

Jule: Be' per esempio in Gran Bretagna, al di là degli ambienti accademici... io ho avuto frequentato sia Cambridge che Oxford e diciamo che si tratta di due università molto elitarie, certo dove c'è un po' di tutto ma in linea di massima dove scarseggiano ambienti più radicali. Anche se parliamo di gruppi o di associazioni di giovani studenti. Fuori dall'università invece sia nei gruppi femministi che in quelli socialisti ho trovato maggiore interesse. Per esempio ho avuto a che fare con un gruppo socialista scozzese che si chiama Radical indipendent e in particolare con la militante Cat Boyd, che rappresenta tanto una sensibilità socialista come femminista. Sono settori all'interno dei quali si fa il tentativo interessante di far confluire sia l'aspetto nazionale delle rivendicazioni come quello sociale. Come sapete anche in Scozia recentemente c'è stato un referendum... Ecco, quello che si sta muovendo lì, lo trovo interessante, come quello che più recentemente si sta muovendo anche in Inghilterra a partire da un'analisi femminista sulla questione della classe, della razza, dello stato.

Per quanto riguarda invece la Spagna, soprattutto devo dire in Andalusia, in Catalogna, nei Paesi Baschi, be' le mie relazioni sono molto amplie. Da un lato la Cup, in Catalogna. La charcha (rete in catalano) indipendentista dove sono riunite varie organizzazioni di sinistra femministe e indipendentiste, alcune più istituzionali, altre più anarchiche e libertarie dove trovi molta varietà e differenze. Fuori rimangono, infatti, solo gli "spagnolisti" o al massimo le persone che si identificano con i partiti come il Psoe o il PP. Ma raccolgono sensibilità molto diverse. Nei Paesi Baschi ho molte relazioni con il sindacato, un po' come qui a Barcellona con la Cup. Però anche con i partiti di sinistra come EH-Bildu e poi con molti movimenti sociali legati alla sinistra indipendentista. Ma, vorrei sottolineare, il dialogo costante che ho sempre mantenuto con i sindacati perché il sindacalismo sta soffrendo un cambiamento che, bisogna dire, però, visto da un'altra prospettiva è anche un cambiamento positivo, almeno nei Paesi Baschi, un cambiamento rapido. Certo non sappiamo ancora quanto efficace, questo ci sarà bisogno ancora di un po' di tempo per stabilirlo, ma che comunque ruota intorno alla crisi strutturale del soggetto tradizionale della figura egemonica del lavoratore e di un cambiamento ideologico molto forte rispetto all'asse sinistra destra tradizionale. Oggi essere di sinistra non vuol dire soltanto essere operaio con interessi diversi da quelli del capitale, ma implica vedere questa crisi del sindacalismo all'interno di una crisi più ampia che è quella di un sindacalismo che ha fatto fatica a vedere altre figure oltre a quelle del lavoratore maschio bianco, impiegato in un contesto produttivo industriale. Il che ha portato a dimenticare tutto il lavoro della donna lavoratrice e che non è mai stata sindacalizzata perché quel lavoro non era neanche considerato come tale.

Questa trasformazione del sindacalismo nei Paesi Baschi, quindi, si sta rivelando molto interessante perché sta facendo fronte a un cambiamento ideologico legato anche alla necessità di ricostruire un nuovo soggetto di lotta che sappia farsi anche soggetto politico che faccia fronte al capitalismo finanziario e a come fare in modo che il nucleo di questo nuovo soggetto politico siano le donne.

 

Intervistatore: Molto interessante quello che dici, che speriamo anche magari grazie a questa intervista, ci permetta di dialogare ancora su questi temi provando a stabilire dei paragoni tra le diverse realtà e la posizione nella quale si trovano in questo processo di ricostruzione di un soggetto politico all'altezza delle sfide che il capitale contemporaneo ci propone.

Ora, a noi ci ha fatto molto riflettere la lettera che hai scritto alla Progresia spagnola che è stata pubblicata sul giornale El Salto, perché, almeno vedendolo da una prospettiva italiana, o forse ancora meglio da quella di chi ti sta parlando in questo momento, tanto per personalizzare un po' questa conversazione, abbiamo spesso, ho spesso sostenuto che la società spagnola si stesse "podemizzando", un termine che molto spesso ho usato e che usano i militanti di podemos quando sostengono di essere riusciti a contaminare il dibattito pubblico, il dibattito parlamentare, condizionando il dibattito politico fino al punto di riuscire a citare autori completamente sconosciuti nel mondo politico spagnolo, ricordo facce assolutamente di pietra di deputati del partido popular di fronte a citazioni di Pablo Iglesias sobre Fanon, ma anche Machiavelli. La tua lettera, divertente, ironica, invece sembrerebbe sostenere una posizione molto diversa. Ti sentiresti di condividere l'affermazione che Podemos ha avuto il merito di essere riuscito a cambiare il linguaggio della politica spagnolo o no?

Jule: Guarda, dal mio punto di vista, direi di no, che questo cambiamento come lo chiami tu non c'è stato. A grandi linee. È vero, escludendo il caso catalano e quello basco, che la situazione della sinistra nel resto dello stato spagnolo in questi anni, dagli anni novanta diciamo, potrebbe essere descritto come un deserto. Quindi sì, il processo con cui si organizza Podemos a partire dal 15m permettendo a quella sinistra che si trovava a sinistra del Psoe e che era sfilacciata e divisa, di riunirsi è stata sicuramente una buona notizia. Ora, a partire da questa considerazione, per me, quello che è successo, indipendentemente dal caso catalano che in ogni caso non è stato altro che un acceleratore di tutto un processo che si stava realizzando nella società, obbligando diciamo molta gente a schierarsi mentre in una situazione più normale non sarebbero stati tenuti a farlo, quello che si vedeva fin dal principio nei suoi discorsi è che Pablo Iglesias non è mai stato "plurinazionale". Non è mai stato federale. Quindi parliamo di una sinistra come quella di Podemos, fino a che parliamo di territorialità può ancora operare un mascheramento del suo discorso. È una sinistra social democratica, non certo come la Cup o come EH-Bildu. È una sinistra social democratica spagnola, che in qualche modo, nella misura in cui il socialismo spagnolo si sta esaurendo, lo sta rinnovando e sostituendo. Ma, d'altronde, Podemos non rappresenta una sinistra radicale. Che d'altra parte lo capisco, perché in Spagna si determina una esigenza diversa, quella di incontrare una forza politica che sappia occupar le istituzioni.

Ad ogni modo, si tratta di una sinistra spagnolista. Chiaramente non tanto perché sia nata in Spagna, come chi è nato in Madrid, o in Castiglia. Spagnolista nel senso che non è plurinazionale, che non accetta il diritto di autodeterminazione delle nazioni che stanno nello stato spagnolo, che quindi, quando si tratta di scegliere una posizione, quando viene fuori un conflitto politico con la P maiuscola come nel caso catalano. A quel punto cosa succede, be' succede quello che è sempre successo con la sinistra spagnola su questo tema. La sinistra spagnola sceglie di schierarsi con la destra spagnola. Naturalmente questa scelta affonda le sue origini sul percorso che la Spagna ha intrapreso nella costruzione di se stessa come nazione. La costruzione della nazione spagnola non ha molto a che fare con il modo in cui si è costruita la nazionalità britannica che al suo interno ha quattro nazioni e che fin dal principio ha assunto un carattere plurinazionale, nonostante il ruolo dell'Inghilterra sia determinante, anche per una questione demografica. D'altronde, basta vedere quello che è successo con il referendum in Scozia, e con il fatto che né alla sinistra né alla destra, a nessuno verrebbe mai in mente di dire che la Scozia non è una nazione. O che non ha il diritto a autodeterminarsi. In Spagna invece cosa succede? Che siccome la costruzione della nazione ha avuto un carattere imperiale e si è articolata sulla base di un dominio, di una imposizione repressiva che unisce tanto la destra come la sinistra. Entrambe quindi condividono ancora oggi questa visione imperiale. E questa radice viene alla luce ogni volta che all'interno del regno spagnolo una nazione si mobilita perché vuole l'autodeterminazione. A quel punto alla sinistra spagnola le succede una cosa che le succede anche quando si parla di altre tematiche. Fuori dalla Spagna difendono il diritto all'autodeterminazione, sono i più di sinistra, sono i più femministi, sono i più democratici, però quando si tratta di affrontare temi interni allora si alleano con le posizioni della destra. Un meccanismo che abbiamo visto anche nel caso della popolazione Saharawi. A Podemos non verrebbe mai in mente di dire al popolo Saharawi che ha diritto a un referendum, ma con le garanzie dello stato marocchino. Invece nel conflitto catalano si dice referendum sì, ma con garanzie. Sì, con le garanzie dello stato spagnolo!

Penso quindi che il discorso di Podemos sia pieno di contraddizioni e che non riescano in fondo ad ammettere di essere spagnoli. Perché? Be' perché sono consapevoli che la costruzione della nazione spagnola è stata imperiale e questo genera una enorme vergogna. Vergogna per una storia di imperialismo, se ritorniamo indietro, ma anche per il franchismo, se pensiamo alle ultime decadi del novecento. Le misure che sta adottando la destra spagnola rispetto alla Catalogna sono franchiste. Per questo io dico che il problema è la Spagna, come costruzione dello stato, come costruzione di nazione.

 

Intervistatore: Abbiamo affrontato molte questioni, anche a partire da una analisi dell'immaginario, del linguaggio, come appunto questa lettera alla Progresia, che ci è piaciuta perché credo è riuscita a mostrarci una contraddizione maggiore di quelle che avevamo saputo individuare nel discorso di Podemos rispetto alla questione catalana, al conflitto che si è venuto a creare tra lo stato spagnolo e la Catalogna. Lo dico anche a partire dal mio personale percorso, perché la mia esperienza di militanza a Madrid mi ha fatto attraversare ambiti molto vicini a quelli nei quali, molti anni dopo, si è formato Podemos. Molti anni dopo, certo, io ti parlo di un periodo che va dalla fine degli anni novanta ai primi anni duemila, che è il periodo in cui ho vissuto a Madrid. Ambienti che hanno costituito il nucleo principale della formazione di Podemos in una gestazione molto lunga naturalmente. Forse anche per questo ho avuto una visione ottimista della funzione che questa organizzazione poteva avere nel panorama spagnolo. Soprattutto perché io credo ci fosse in Spagna il bisogno che riemergesse una visione diversa della politica che faceva molta fatica a trovare spazio schiacciata tra Partitdo Popular e Partido Socialista. Invece questa tua espressione nella tua lettera della sinistra Cosmopolita-comunistra-illuminato, sempre prudente e sempre razionale che non sbaglia mai mi sembra molto efficace. Aggiungeresti qualcosa a questa definizione?

Jule: Questa sinistra illuminata ha un senso se vista da una prospettiva storica, cioè all'interno del pensiero marxista che è dove si è costituita la sinistra europea durante l'ultimo secolo. Dire che molte idee che Marx ha elaborato erano giuste, ma altre probabilmente andavano adattate, prendiamo per esempio la questione dello Stato e della dittatura del proletariato e della scomparsa dello stato, della sua scomparsa, attraverso il comunismo. Alla fine in certi termini possiamo osservare un residuo di liberalismo, anche perché Marx resta un uomo che scrive una nuova critica all'economia liberale, ma che è completamente immerso in una società liberale. Quindi in questa scomparsa dello stato si intravede una specie di fobia per lo stato, ed è un tema del quale mi sono occupato in molti altri articoli che ho scritto. Questo rapporto con lo stato e poi con la nazione è molto importante perché ci spiega una certa maniera di intendere alcuni conflitti. Anche se Lenin in un secondo momento difenderà il diritto all'autodeterminazione dei popoli, c'è in fondo l'idea che gli stati e le nazioni sono qualcosa di particolare che ostacolano quella che sarebbe la lotta del proletariato internazionale, quel soggetto universale per Marx, che rappresenta tutta l'umanità il cui ruolo ecc. ecc. Ma che succede, che dietro questa visione si annida un principio di universalità che in quanto tale vede regole del gioco valide per tutti in tutte le parti del mondo, oggettiva, non particolare a qualcuno, ma valida perché oggettiva. Questo modo di vedere le cose si sposa benissimo con l'idea che lo stato nazione rappresenti un particolarismo che oltre tutto in termini economici è funzionale agli interessi della borghesia, e che quindi ha portato sempre la sinistra a osservare con molto sospetto questa organizzazione. Ma il problema è proprio questo: che questo approccio lo praticano soprattutto le sinistre che uno stato ce l'hanno. La sinistra spagnola in questo senso non è diversa da altre sinistre europee che si manifestano cosmopolite, che se ritengono di non avere problemi dentro il loro stato non si manifesteranno mai in solidarietà con altri popoli. Questa è un po' la posizione del comunista-cosmopolita che va in giro per il mondo presentando se stesso come fosse solo una persona, come se non fosse anche una persona basca, o nera, o un donna. Che riescono sempre a rimanere in posizioni razionalmente equidistanti... Sono elementi di liberalismo e di patriarcato che la sinistra continua a trascinarsi dietro senza neanche accorgersene, mentre tutti quelli che continuano a mantenere una relazione con la propria identità, visti da questa prospettiva, sarebbero immersi in un primitivismo, in un particolarismo, in un irrazionalismo sociale. Ecco, questo atteggiamento io credo che fa assomigliare moltissimo la sinistra spagnola ad altre sinistre europee, e credo che cambierà nella misura in cui i conflitti che si produrranno ne modificheranno le posizioni.

 

Intervistatore: Ti voglio chiedere un cosa rispetto ad alcuni personaggi politici coinvolti nel conflitto catalano come per esempio, senza entrare su un piano personale, una tua opinione sulla figura di Ada Colau, che qui in Italia è stata presa un po' ad esempio da molta parte della sinistra come emblema tra l'altro di una certa maniera di essere donna e femminista nel secolo XXI, una visione che ha radici molto antiche e che è interessante analizzare e smontare perché ruota intorno all'idea che essere donna e femminista significherebbe avere doti di equidistanza e risoluzione dei conflitti particolarmente sviluppati. Perché sarebbe più intrinsecamente femminista la posizione di Ada Colau di quella di Anna Gabriel, per esempio?

Jule: Credo sia interessante quello che dici. Certo non posso esprimermi su un piano personale anche perché personalmente non la conosco quindi mi guarderei bene dall'esprimere dei giudizi. Invece mi sembra interessante quello che dici, io per esempio non condivido affatto questa visione che lei rappresenti quel settore sociale che si è mantenuto in una posizione intermedia, equidistante dagli estremi, negando sia il percorso verso la Dui, sia il percorso dello Stato verso l'applicazione del 155. Diciamo la sinistra moderata, né la dichiarazione di indipendenza né la repressione dello stato. Ma questa è una posizione che non è reale: "Io sto dalla parte di un referendum accordato" dice lei. Sì, certo, tutti i catalani erano d'accordo a celebrare un referendum accordato, o almeno una ampio settore della società catalana e il parlamento del parlamento catalano, quello che hanno cercato di promuovere è stato proprio un referendum accordato con lo stato spagnolo. Non è vero quindi che gli indipendentisti volessero raggiungere l'indipendenza in modo unilaterale e che gli spagnolisti negassero invece il diritto a celebrare un referendum. Non è corretto descrivere in questi termini lo scenario. È la repressione dello stato, già prima di questo ultimo anno, che spinge il movimento indipendentista a perseguire una strada diversa dal referendum accordato. Non il contrario. Quindi dire quello che dice Ada Colau, né con loro, né con gli altri e io mi metto in mezzo, è una menzogna. Un famoso attivista sudafricano diceva che se in una determinata situazione non fa nulla per cambiare quello che c'è, alla fine sei complice anche tu. Ed è esattamente quello che succede in Catalogna con Ada Colau e Podemos. Non c'è uno spazio neutro in questo conflitto politico.

Poi, sul tema del rapporto tra femminismo e Ada Colau, direi che un enunciato di questo tipo mi sembra molto di destra. Implica ancora una volta la riproduzione di quel classico stereotipo per cui la donna tende naturalmente in maniera biologica, all'affetto, alla tenerezza, e l'uomo al conflitto, all'aggressività ecc. Basterebbe ricordare il contributo del femminismo della differenza, che in Italia, oltre tutto, si è diffuso molto di più che in altri paesi europei, dove tradizionalmente si è diffuso un femminismo dell'uguaglianza. Questo implicherebbe ritornare ad affrontare la differenza tra uomo e donna in termini biologici, e ritornare a pensare che la differenza che intercorre è biologica e non politica. Sarebbe come dire che le razze sono categorie biologiche e non politiche. Essenzializzare questo atteggiamento delle donne significa in fondo ritornare a riproporre lo stereotipo delle donne che si prendono cura dell'umanità perché è in qualche modo loro compito per ragioni di carattere biologico. Da qualsiasi punto di vista lo guardi, mi sembra che un enunciato di questo tipo sia degno della destra.

 

Intervistatore: