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Abiti puliti ai mondiali femminili

Data di trasmissione
Durata 9m 41s

Mentre in Australia e Nuova Zelanda si disputano i Mondiali di calcio
femminile 2023, gli attivisti e le attiviste della Campagna Abiti Puliti
“scendono in campo” per far luce sulle responsabilità e lo
sfruttamento nelle catene di fornitura dei più importanti marchi
sportivi del mondo, anche principali sponsor della competizione: Adidas
e Nike.

A  Bolzano, grazie all’organizzazione partner OEW, e a Modena, grazie
alla preziosa  collaborazione di UISP, si disputeranno delle partite di
solidarietà con i lavoratori e le lavoratrici tessili, per chiedere
alle aziende di assumersi le proprie responsabilità e pagare finalmente
quanto dovuto.

La maggior parte della produzione di Adidas e Nike avviene in Paesi in
cui i sistemi di protezione sociale sono inadeguati, se non addirittura
inesistenti. E questo per i lavoratori e le lavoratrici ha significato
rimanere senza stipendio quando la propria fabbrica ha chiuso i
battenti.

È il caso delle lavoratrici tessili cambogiane di 114 fabbriche
produttrici di beni per marchi internazionali di moda e abbigliamento
sportivo: secondo i calcoli dei sindacati e della Clean Clothes
Campaign, aspettano ancora circa 109 milioni di dollari di salari
sottratti durante la serrata nazionale di aprile e maggio 2021. Di
questi, le perdite inflitte a 30.190 lavoratori in otto fabbriche
fornitrici di Adidas dall'inizio della pandemia ammontano a 11,7 milioni
di dollari, o 387 dollari per lavoratore. Mentre nello stesso periodo
l’azienda tedesca accumulava 650 milioni di dollari di profitti (primo
trimestre 2021).

Come se non bastasse, Adidas e i suoi fornitori derubano le lavoratrici
anche quando le licenziano. Alle operaie della fabbrica Hulu Garment in
Cambogia, licenziate nel 2020, non sono mai stati pagati 1,1 milioni di
dollari di indennità di licenziamento, come previsto dalla legge.
Questo furto di salario e di buonuscita si estende ben oltre la
Cambogia, lungo tutta la catena di fornitura globale di Adidas.

Nike, da parte sua, deve circa 2,2 milioni di dollari di salari e
indennità di licenziamento non corrisposti alle lavoratrici cambogiane
e thailandesi. Nello specifico, alle operaie della fabbrica Violet
Apparel, in Cambogia, di proprietà del principale partner produttivo di
Nike, il Ramatex Group, spettano 1,4 milioni di dollari in benefici
legali. Mentre alle lavoratrici della Hong Seng Knitting in Thailandia,
costrette ad accettare permessi non retribuiti quando la fabbrica è
stata chiusa temporaneamente durante la pandemia, spettano oltre 800mila
dollari.

I casi di furti salariali e di licenziamenti non retribuiti, aumentati
massicciamente durante la pandemia, non sono un fenomeno nuovo. Il
problema è sistemico e quindi necessita di risorse adeguate e accordi
vincolanti. Per questo, insieme a numerosi sindacati dei paesi
produttori, chiediamo ad Adidas e Nike di firmare un accordo vincolante
sui salari, sul trattamento di fine rapporto e sulla libertà di
associazione per garantire che i lavoratori e le lavoratrici delle loro
catene di fornitura non siano mai più privati del loro salario e del
TFR.

La nostra corrispondenza con Priscilla, della campagna Abaiti puliti.