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Corrispondenza da Torino su Maya

Data di trasmissione
Durata 12m

Nella notte di giovedì 8 giugno, Maya una ragazza di 19 anni viene fermata dalla polizia e portata nel commissariato di via Veglia.
La sua “colpa”? Non aver tirato dritto di fronte a una perquisizione della polizia a danno di migranti, ma essersi fermata a guardare. Maya è stata successivamente picchiata e insultata da uno degli agenti di polizia che aveva eseguito il fermo. L'accanimento già pesante nei suoi confronti si è poi aggravato quando la giovane è stata riconosciuta come attivista nella resistenza agli sfratti.
Maya è stata fatta spogliare e costretta ad una perquisizione totale, le è stato impedito per ore di andare in bagno, è stata strattonata, presa a pugni e ripetutamente insultata.

Siamo perfettamente consapevoli del fatto che non si tratti di un episodio isolato, che vicende come queste accadono troppo spesso per i più futili motivi da parte di forze dell'ordine che si sentono impunite. Dopo la denuncia delle violenze subite si è attivato il solito meccanismo di messa in discussione della veridicità del suo racconto, come se le sue parole non fossero sufficienti, esponendola così ad una doppia violenza.
Quando un uomo – ancora più se in divisa – agisce violenza su una donna assistiamo puntualmente ad un'incredulità attorno al fatto, con la conseguenza paradossale che ad essere messi sotto accusa siano i comportamenti, le reazioni e la vita di chi la violenza l'ha subita e non l'atto e l'aggressore.

Per questo crediamo sia urgente e necessario trovare uno spazio di discussione all'interno di un'assemblea non solo per esprimere tutta la nostra solidarietà a Maya e non lasciarla sola, ma anche per rifiutare questo tipo di narrazioni altrettanto violente e per organizzarci assieme rispetto alle risposte da dare e far sì che episodi di questo tipo non si ripetano.

Sappiamo bene che non è dalle istituzioni che possiamo aspettarci giustizia o prese di posizione dirette a cambiare le cose. Certo non dalla stessa amministrazione locale che proprio in questi giorni impone un'ulteriore militarizzazione dello spazio pubblico in nome di una presunta “sicurezza”. Sono molte le vicende che ci ricordano come la presenza di agenti e militari nelle strade non solo non significhi più sicurezza per le donne ma costituisca un vero e proprio pericolo.
Non vogliamo protezione: le strade sicure le fanno le donne che le attraversano!