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privatizzare la democrazia

Privatizzare la democrazia

Data di trasmissione
Durata 46m 28s

In occasione dell'uscita dell'edizione italiana di "Privatizzare la democrazia", della filosofa femminista e marxista basca Jule Goikoetxea, riproponiamo l'intervista che facemmo a Jule due anni fa, in occasione della sua presenza a Roma alla vigilia della pubblicazione del testo in castigliano (l'originale, poi accresciuto e riveduto, è in lingua basca). Jule Goikoetxea ha di recente firmato un breve articolo di presentazione del libro per il blog Ethnos&Demos che potete trovare qui.

 

Nazione, sovranità, territorio e democrazia locale

[Jule Goikoetxea]*

La dimensione nazionale non è costituita solamente da questioni identitarie come pretendono farci credere, essa è anche una capacità politica. Qualsiasi identità e lealtà politica abbisogna di risorse e di un grado di istituzionalizzazione e formalizzazione affinché detta identità possa sopravvivere nel tempo e nello spazio. La nazionalità o, per meglio dire, l’identità nazionale dotata di struttura statale è inoltre un’identità politica sovrana, ovvero una capacità politica che mantiene uniti lo Stato e il popolo per mezzo di diverse tecnologie del potere, autorità e territorialità.

L’omissione di questa idea fondamentale è la base del cosmopolitismo liberale. La ricerca proveniente dalle scienze politiche mostra, al contrario, che in assenza di uno spazio territoriale definito non c’è popolazione, se non c’è popolazione non c’è popolo e in assenza di questo non c’è sovranità popolare. Pertanto la sovranità popolare o l’autogoverno hanno bisogno del territorio perché non si possono dare queste capacità (individuali e collettive) per l’autogoverno (inteso come democrazia) prescindendo dall’esistenza di uno spazio definitivo politicamente. Ciononostante, questo spazio politico per essere funzionale ha bisogno di istituzioni competenti e vincolanti, e nessuna istituzione politica vincolante può funzionare in modo svincolato da una determinata territorialità. Ne consegue che tutto quanto è globale è per forza di cose anche locale. E per questo motivo la democrazia globale non può darsi senza democrazia locale, ovvero al di fuori della delimitazione territoriale della sovranità come sovranità popolare.

A mio parere è urgente ripensare i concetti di limes, frontiera e territorio, dato che si è soliti insistere sulla loro connotazione negativa, soprattutto da parte di coloro che ne hanno il controllo mediante un territorio, un limes e una frontiera attraverso un determinato Stato nazionale. Non vogliamo forse controllare chi entra nel nostro territorio? Forse qualcuno crede che sia possibile costruire una comunità senza territorializzare il potere né porre limiti? Ricordiamo che le leggi sono limiti, e lo sono anche il salario che percepiamo o il fatto di essere di colore o analfabeti. Forse non vogliamo controllare il nostro territorio affinché non vi entrino le multinazionali o per proibire l’ingresso alle mafie o al traffico di persone? La questione non è il concetto di limite o territorio bensì come costruiamo detto territorio in maniera tale da rendere possibile e garantire la presa di coscienza politica collettiva e la democratizzazione, ovvero il modo in cui costruiamo territori che favoriscano l’empowerment del popolo nel percorso verso l’autogoverno.

L’atto di governare, ancora una volta, ha bisogno di territorialità, di corpo territoriale, di benessere, di limes (ad esempio: “non si pagano tasse fino a un determinato salario”, “i redditi da capitale devono pagare una determinata cifra quando superano un certo limite”, ecc.). Senza benessere territorializzato e senza potere o forza politica istituzionalizzata non c’è democrazia possibile, né in Euskal Herria, né nei Paese Catalani, né per i differenti popoli d’Europa, si trovino essi in Francia, Italia o Germania. Per questo motivo, al momento di parlare di democrazia bisogna parlare della relazione che intercorre tra territorio locale, strutture pubbliche-comuni, capacità politica e welfare collettivo, per lo meno se intendiamo la democratizzazione come processo che ha come obiettivo la capacitazione politica del popolo per l’autogoverno.

La territorialità (e le diverse materialità che implica), mediante la relazione che si stabilisce tra lo spazio e la società, rende possibili non solo le identità collettive e politiche ma crea anche le condizioni per l’impegno, la mobilitazione di risorse, l’articolazione di azioni e, in definitiva, la costruzione della comunità politica. E la comunità politica non è un partito, non è una classe, non è una comitiva, non è una famiglia e nemmeno l’élite finanziaria. E non è un gruppo di individui uniti da uno stesso interesse come affermano i cosmopoliti; questa non è una comunità politica bensì una lobby. Per questo motivo ritengo che la democrazia sia un tipo concreto di organizzazione dello spazio politico e di conseguenza anche, tra le altre cose, un modello concreto di territorialità. In questa prospettiva il conflitto tra comunità basca o catalana e Stato spagnolo o il conflitto tra Scozia e Stato britannico, solo per porre gli esempi più conosciuti, non sono un conflitto tra identità nazionali nel senso dominante che si assegna all’elemento “nazionale” bensì un conflitto tra progetti democratici divergenti. Questo perché quando parliamo di identità nazionale entra in gioco la questione della capacità politica di autogoverno come parte irrinunciabile della sovranità popolare. Questo perché la democrazia costituzionale si sviluppa storicamente assieme al nazionalismo industriale come fenomeno anche operaio e non solamente borghese.

Il processo di privatizzazione della democrazia imposto dal capitalismo globale instaura, da una parte, nuovi territori creati sulla base del commercio e la finanza globali (TTIP, CETA) attraverso l’Unione Europea e rafforza l’esecutivo spagnolo per mezzo della riorganizzazione del potere giudiziario, dall’altra neutralizza altri territori (dai municipi alle nazioni senza Stato) attraverso la riorganizzazione del potere politico, per ricentralizzare, privatizzare e concentrare in poche mani il territorio, soprattutto se quest’ultimo produce una resistenza organizzata contro tali processi. Quindi si tratta di un processo di denazionalizzazione che implica una destituzione della democrazia. Infatti oggetto della privatizzazione è appunto la capacità politica di una comunità per governarsi come ritiene più conveniente, dirigendo verso il beneficio privato tutti i meccanismi, le risorse e le istituzioni democratiche. Senza sovranità popolare non c’è democrazia. E non c’è sovranità popolare senza popolo né popolo senza territorio dotato di strutture pubbliche comuni. In sintesi, senza autogoverno collettivo non c’è democrazia.

La democrazia, così come l’uguaglianza politica e sociale, ha bisogno di capacità pubbliche disciplinari e biopolitiche, come l’educazione o la sanità; e a seconda di come si utilizzino e si dirigano possono opprimere ma anche apportare empowerment. La sinistra europea ha l’abitudine di dimenticare che la democratizzazione ha bisogno di capacità collettive istituzionalizzate e territorializzate; Google non galleggia nel cosmo né tantomeno lo fa il capitale che accumula, e la ricchezza che concentra è tanto territoriale quanto lo sono le strade o le case. Forse la questione principale dovrebbe consistere nel chiedersi che tipo di territorialità crea lo spazio virtuale oppure come questo usa a suo beneficio quelle esistenti. La nazionalità dotata di una struttura statale è un’identità politica sovrana ciononostante il femminismo ha fatto notare come qualsiasi identità politica sovrana sia una questione di capacità politica, e che questa è effettiva solo se è materiale e territoriale, che il nostro territorio è il nostro corpo e che il nostro corpo è il nostro territorio, e che il welfare è dotato di corporeità e territorialità.

Tenendo conto del fatto che l’85% delle europee e degli europei ha come fonte principale della propria identità la nazionalità (che sovente è preso come sinonimo di popolo o comunità politica) il cosmopolitismo autoproclamato non-nazionalista ci dovrebbe spiegare come intende costruire una democrazia globale senza disfare gli Stati nazionali spagnolo, francese, italiano o tedesco e senza costruire percorsi di democrazia locale, o come pensa di costruire oggi la democrazia locale prescindendo dalle identità politiche nazionali o comunitarie, ovvero senza sovranità popolare territorializzata.

*Jule Goikoetxea ha pubblicato di recente in italiano “Privatizzare la democrazia”, per Red Star Press: https://www.redstarpress.it/jule-goikoetxea-mentxaka/