Kurdistan e Paese Basco, dalla lotta armata alla negoziazione

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Insieme a Murat Cinar presentiamo l'intervista apparsa su gariwo.net a Josu Urrutikoetxea, dirigente dell'ormai disciolta organizzazione armata basca ETA e protagonista delle trattative che portarono al suo scioglimento nel 2011.

Nell'intervista Urrutikoetxea racconta i passaggi e le difficoltà che segnarono quel percorso e le analogia che è possibile rintracciare fra quanto avvenuto all'epoca nello Stato spagnolo e quanto sta avvenendo nella repubblica turca di oggi con lo scioglimento del PKK curdo.

In chiusura , qualche aggiornamento sulla censura in atto in Turchia nei confronti del gruppo musicale militante Grup yorum.

Qui l'intervista di Murat Cinar a Josu Urrutikoetxea, che pubblichiamo anche in calce:

Il 12 maggio il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) ha annunciato l’avvio di un nuovo percorso di trasformazione e risoluzione. Questa nuova fase prevede l’abbandono della lotta armata e l’ingresso nella vita politica democratica all’interno della Repubblica di Turchia. Tuttavia, al momento, non si registrano discussioni pubbliche, ampie e trasparenti sull’eventuale introduzione di nuove normative che possano costituire la base giuridica per questo cambiamento. Il governo centrale non ha ancora comunicato ufficialmente quali proposte abbia elaborato per sostenere una reale trasformazione democratica del Paese. Inoltre, non sono emerse iniziative politiche significative né da parte dei partiti né del Parlamento in merito alla costruzione collettiva di un processo di riconciliazione.

In questo scenario ancora incerto, è fondamentale analizzare e valorizzare le esperienze di persone e organizzazioni che in passato hanno intrapreso percorsi simili. Tra queste figura José Antonio Urrutikoetxea Bengoetxea, noto come Josu Urrutikoetxea, che ha avuto un ruolo centrale nel processo di disarmo e scioglimento dell’organizzazione armata ETA. Urrutikoetxea, entrato da giovane nei ranghi dell’organizzazione, è stato arrestato più volte nel corso della sua militanza.
 

Qual è stato il suo ruolo nei processi (o tentativi) di dialogo con lo Stato?

Ritengo che ogni processo il cui obiettivo sia la risoluzione di un conflitto politico preveda dei preliminari (più o meno lunghi), una fase di contatti che può, o meno, condurre all’apertura di negoziati in diversi formati. Questa fase apre le porte a una fase di accordi con la conseguente fase di attuazione e monitoraggio degli stessi. Va considerato che, nell’ultima fase di lotta politico-militare, che va dal 1959 al 2011, si riteneva che la risoluzione del conflitto politico sarebbe arrivata attraverso una negoziazione politica con lo Stato spagnolo, e non tramite una vittoria militare o un’insurrezione popolare. 

Nel nostro caso, e in ognuno dei momenti in cui si sono avuti contatti e negoziati con lo Stato spagnolo (1989, 1998, 2005 e 2011), si partiva da un’analisi approfondita che stabiliva, in ogni momento, la correlazione di forze: sia tra le forze politico-sociali di Euskal Herria (Paesi Baschi) – cioè la sinistra indipendentista, la destra basca PNV (Partito Nazionalista Basco), la filiale basca della cosiddetta sinistra spagnola (PSOE) e la destra ed estrema destra spagnola (minoritari in Euskal Herria) – sia la situazione geostrategica nello Stato spagnolo, a livello europeo e mondiale. È evidente che si prendeva in forte considerazione anche la situazione del conflitto politico-militare tra ETA e la sinistra indipendentista da un lato, e lo Stato spagnolo dall’altro. 

È sulla base di queste analisi che, in ogni momento, si decideva se fosse opportuno costruire ponti con lo Stato, compiere passi che potessero condurre all’apertura di una via di comunicazione affidabile e sicura con i rappresentanti dello Stato, con prospettive future. Il mio ruolo, come militante dell’apparato di relazioni internazionali di ETA, consistette (1989, 2005 e 2011 – nel 1998 ero in un carcere spagnolo) nel lavorare alla concretizzazione di queste vie di comunicazione con lo Stato: tramite uno Stato (l’Algeria nel 1989), tramite militanti politici vicini al governo spagnolo (2005), membri del clero (2005), e una ONG (2005 e 2011).

Nei casi in cui si è arrivati ad avviare quella che si può considerare una fase di negoziazione (in senso ampio), c’è sempre stato un primo punto di discussione sul tavolo: ottenere l’impegno dello Stato ospitante (nel 1989 l’Algeria, nel 2005 Svizzera, Norvegia e Stato francese, e nel 2011 Norvegia) e dello Stato spagnolo a garantire la sicurezza della nostra delegazione. Il punto successivo riguarda la definizione di un piano di lavoro o una roadmap negoziale. Prima di entrare nel merito di questo piano, è necessario affrontare questioni tecniche, come la sicurezza degli incontri, delle trascrizioni…

Una volta ratificati gli accordi, si entra nella fase di attuazione, per la quale è fondamentale la creazione di un gruppo internazionale (che può essere composto da ONG e/o Stati) il cui compito è quello di monitorare, verificare e, se necessario (purtroppo questo accade sempre), esercitare pressione sulla parte o sulle parti che non rispettino o ostacolino l’attuazione degli accordi.

Oltre ai negoziati (e ai colloqui di pace) con lo Stato, quali attività complementari avete intrapreso per sensibilizzare l'opinione pubblica su questi processi e promuovere la riconciliazione?

Nel 2004, la sinistra indipendentista decide di presentare la risoluzione del conflitto politico su due piani o tavoli separati. Uno, relativo alle conseguenze del conflitto: prigionierə, vittime, esiliatə, rifugiatə, disarmo, reinserimento dei militanti nella vita “civile”… da trattare tra ETA e lo Stato; l’altro da sviluppare tra le forze politiche dei Paesi Baschi, il cui accordo sarebbe poi stato negoziato con lo Stato. Il cambio di paradigma nel nostro processo di lotta avvenne nel 2011. Ovvero, il passaggio da un processo di confronto politico-militare a un processo di confronto politico. Tale decisione fu adottata nella sinistra indipendentista dopo un lungo processo di dibattito interno, cioè nelle organizzazioni sociali, politiche e in ETA.

Parallelamente ai contatti che si svolgevano con lo Stato, indirettamente tramite una ONG, si tennero forum internazionali per cercare soluzioni adeguate alla risoluzione del conflitto politico (Bruxelles 2010). Nell’ottobre 2011 si tenne a Donostia (San Sebastián) la conferenza internazionale di Aiete. Il periodo recente, 2011-2018, è stato segnato dal coinvolgimento della società civile, soprattutto nei Paesi Baschi del nord, che ha reso possibile un processo unilaterale di disarmo e la dichiarazione di scioglimento di ETA nel 2018..

Quali erano le vostre richieste nel contesto di queste negoziazioni e colloqui di pace?

Nel processo di dialogo e negoziazione che si sviluppò ad Algeri nei primi mesi del 1989, le nostre rivendicazioni erano contenute nell’alternativa KAS (coordinamento socialista indipendentista). Nel 1998, con l’accordo di Lizarra-Garazi, l’obiettivo era raggiungere un’intesa tra le forze politiche e sociali di Euskal Herria e applicarla de facto nella vita quotidiana. Nelle negoziazioni del 2005 e 2011 si cercò di risolvere le conseguenze del conflitto (descritte nella risposta precedente).

Un punto in comune con il caso turco è il fatto che anche in Spagna, al momento del cessate il fuoco e dello scioglimento, era al potere un governo di destra. Secondo te, qual è il motivo?

Nei diversi momenti in cui si verificarono tali dialoghi e processi, ci siamo trovati di fronte sia governi di destra del PP (Partito Popolare, erede della dittatura), sia governi “socialisti”. Ma il problema fondamentale risiede nel fatto che la politica dello Stato, gestita sia dal PP che dal PSOE, è simile per quanto riguarda il nodo cruciale dell’indivisibilità della “Spagna”, ovvero della sua integrità territoriale. Va tenuto presente che il regime attuale nello Stato spagnolo deriva dalla Costituzione del 1978, che fu un compromesso tra vari partiti politici: un “colpo di spugna” che permise l’ingresso nel gioco politico “democratico” delle strutture fasciste che avevano imposto una dittatura per 40 anni, accettando un regime monarchico con un re (Juan Carlos I) designato dallo stesso dittatore Franco nel 1969. 

L’articolo 8 della Costituzione del 1978 assegna alle forze armate il ruolo di garanti dell’integrità territoriale. La situazione politica attuale nello Stato spagnolo, con un governo del PSOE sostenuto, per l’investitura, da partiti di sinistra e indipendentisti baschi, galiziani e catalani, porta il governo a discutere – seppure senza riconoscerlo ufficialmente – il fatto che lo Stato spagnolo sia uno Stato plurinazionale. Da parte della sinistra indipendentista basca, la nostra rivendicazione si basa sul diritto dei/delle baschə a decidere liberamente il proprio futuro.

Quali strategie ha adottato lo Stato spagnolo quando la sua organizzazione ha deciso di cambiare paradigma?

Quando la sinistra indipendentista ha cambiato paradigma nel 2011, al governo c’era il PSOE, con il quale si era raggiunto un accordo per avviare un processo di negoziazione in Norvegia, per il quale ETA aveva designato una delegazione (di cui facevo parte anch’io). Poco dopo ci furono le elezioni generali e il PP vinse, formando un governo guidato da Mariano Rajoy. Questo governo non rispettò l’accordo esistente per avviare il processo negoziale e, durante tutto il tempo (oltre un anno) in cui la delegazione di ETA si trovava in Norvegia, il governo spagnolo non si degnò di inviare alcuna delegazione. Celebri le parole del presidente Rajoy: “con i terroristi non si negozia, i terroristi si terrorizzano”…

Il fatto che il governo spagnolo non abbia voluto aprire quella via di negoziazione verso la risoluzione del conflitto politico, ha portato ETA a sviluppare un processo unilaterale sostenuto dalla società civile, che ha permesso il disarmo e la successiva dissoluzione. Tutto ciò in un contesto politico nel quale oggi la sinistra indipendentista e sovranista è la prima forza in Euskal Herria. Dopo anni durissimi di repressione, con un periodo (2000-2010) di totale proibizione della sinistra indipendentista, e trovandoci in una fase ascendente, il processo di lotta politica sarà duro e lungo fino al raggiungimento dei nostri obiettivi, ovvero la costituzione di uno Stato indipendente.