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Da Bari alla Palestina

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Un compagno e una compagna di Bari si trovano in Palestina, sentiamo la loro testimonianza.

Ciao, siamo qui in Palestina perché siamo stati invitati da una realtà diffusa su tutto il territorio della Cisgiordania. Si chiama Popola Art Center e coordina una serie di attività, di realtà locali da Ramallah, a Bethlehem, a Nablus, a Tulkarem, ma soprattutto sono presenti anche nelle campagne, nei villaggi, sono focalizzati su attività culturali, danza, musica e sulle attività agricole, e quindi forme di resistenza che nascono da lavoro sociale dal basso, che mettono insieme giovani, donne, contadini, provano a far sì che la resistenza e il radicamento sui territori palestini sia strettamente connessa al lavoro della terra, e la lavoro della terra anche come forma di sussistenza, forma di resistenza e forma di resilienza alle violenze quotidiane che si subiscono. Quindi come fuori mercato, internazionale, ma anche come solidarietà locale a Bari, abbiamo una relazione con loro da quasi due anni e mezzo, abbiamo lanciato diverse campagne di sostegno durante e dopo gli attacchi di Israele a Gaza. Ci siamo conosciuti e nata una simbiosi, un'empathia rispetto al fatto che seppur in contesti differenti ci ritroviamo nelle pratiche, ma anche nelle strategie è una visione che ha come intento quella della partecipazione nella vita quotidiana e nel lavoro quotidiano delle persone.

Per quanto riguarda la vita quotidiana dei palestinesi e delle palestinesi tutto è legato all'occupazione, e quindi orari, spostamenti, spazio e tempo dipendono da checkpoint, le colonie che si allargano, il che incide soprattutto sugli spostamenti, quindi per lavoro, scuola, eccetera. E soprattutto fanno sì che ci sia uno stato permanente di tensione. Nonostante questo, loro continuano la loro vita, non c'era assegnazione, non c'è resa, questo grazie alla vita di comunità, infatti come loro ci dicono qui, nessun si salva da suolo. Quindi sin dal primo giorno che siamo arrivati qui e per noi è stato molto impattante, vedere come convivono l'una canta all'altra poche centinaia di metri la malattia, la patologia e la cura. La cura sono tutte le pratiche comunitarie, soprattutto al di fuori dalle città e quindi attività agricole che servono ai palestinesi e alle palestinesi a non cadere nella carestia. Perché da quello che ci raccontano, l'obiettivo che ha l'entitazionista è quello di concentrare le palestinesi e i palestinesi nei cosiddetti cantoni, quindi nelle città più importanti della Cisjordania, per al fine di non dare continuità ai territori palestinesi e di conseguenza alla vita comunitaria. Quindi il loro obiettivo è proprio rompere l'idea di una palestina unita. In questi primi giorni di visita abbiamo avuto la possibilità di ascoltare, parlare con molte persone afferenti a Popular Center, loro ci raccontano che devono far fronte nella vita quotidiana a tre tipologie di occupazione.

L'occupazione israeliana tra coloni ed esercito, l'occupazione dell'autorità nazionale palestinese che se va bene si traduce nell'indifferenza nel momento in cui loro subiscono violenze e l'occupazione, o addirittura spesso c'è collaborazione dell'autorità con le forze israeliane, e poi un altro piano di occupazione che ci descrivono e raccontano è quello delle grandi organizzazioni non governative europee, ma provenenti da tutto il mondo. Ci sono un'infinità di risorse, soprattutto economico-finanziale, che arrivano qui in Palestina, ma la rigidità dell'approccio molto paternalistico del loro utilizzo non porta a percorsi di emancipazione, a percorsi che portano la soddisfazione dei bisogni, dei desideri e delle palestinesi, ma non portano a percorsi di emancipazione, a produrre attività per attività che non aiutano assolutamente, non supportano assolutamente la visione della liberazione della popolazione palestinese.

Dopo alcuni giorni a Ramallah e nei villaggi che la circondano, adesso stiamo andando verso Nablus, dove visiteremo alcune cooperative agricole, composte soprattutto da donne, che ci stanno raccontando di come, ad esempio, non possono più accedere ai loro terreni, di come hanno subito il rogo dei propri ulivi da parte dei coloni, e che qui hanno l'obiettivo di coinvolgere e favorire la partecipazione in questi percorsi di autodeterminazione, soprattutto di giovani e delle donne, anche perché, come ci raccontano, non possiamo illudere la matrice patriarcale della società palestinese. E da qui proseguiremo le nostre visite tra i villaggi, quindi le campagne e le città, grazie alla rete di cooperative presenti su tutti i territori palestinesi, affiliate a PAC, proprio l'Art Center, che, come si raccontano, si vedono come un corpo unico, con tante diramazioni.