Oltre la COP30, Dopo la COP30.
Dopo la chiusura del vertice sul clima in Brasile, torniamo a parlarne per quello che è stato: l'ennesima occasione per i potenti della terra di ripulirsi la faccia all'insegna dell'ecosostenibilità, mentre continuano a devastare i nostri territori per estrarre vita e risorse. Ma i popoli del Sud globale non ci stanno: l'ecologia che vogliamo parte dal basso, è popolare e pirata, e infiltra la casa del padrone minandone le fondamenta materiali.
Sugli 87.9 FM di Radio Onda Rossa, ne discutiamo con Claudia Terra, ricercatrice e attivista della campagna Per il Clima Fuori dal Fossile, e l3 compagn3 di Ecologia Politica Roma.
Il Global Mutirão (documento finale della COP) viene presentato come una grande chiamata collettiva all’azione, ma non introduce nuovi obiettivi di riduzione delle emissioni, non anticipa le scadenze, non prevede sanzioni, non impone l’uscita dai combustibili fossili (non li nomina neanche). Chiede a tutti di fare di più, ma non dice chi deve fare cosa, entro quando e con quali strumenti. E soprattutto non distingue tra chi ha costruito la propria ricchezza distruggendo l'ambiente e chi oggi paga il prezzo più alto della crisi climatica senza averla causata. Così la responsabilità si diluisce, si nasconde dietro il linguaggio dell’“insieme”, e i grandi emettitori restano protetti, ancora una volta.
Questo emerge ancora più chiaramente se guardiamo a ciò che sta accadendo fuori da questo linguaggio prudente e ambiguo. La Colombia, insieme ad altri Paesi del Sud globale, ha promosso un documento politico chiaro, che dice una cosa semplice ma fondamentale: la crisi climatica non si risolve senza affrontare la dipendenza da carbone, petrolio e gas. Quel documento chiede una uscita graduale, giusta e pianificata dai combustibili fossili ed è stato firmato da circa ottanta Paesi. L’Italia non ha firmato.
La COP30 è stata una vetrina, il Global Mutirão è un pezzo di carta che prova a vestire di responsabilità collettiva quello che resta una gestione di mercato della crisi climatica. Dove serviva vincolo e trasformazione strutturale — stop ai fossili, redistribuzione delle risorse, riparazioni storiche, smantellamento del modello estrattivista — si è preferito il compromesso, le formule vaghe, gli acceleratori volontari, e la finanza come rimedio universale. Non è una sconfitta solo delle politiche climatiche, è una sconfitta dei diritti dei popoli che subiscono l’estrazione, il colonialismo, la militarizzazione e la mercificazione della natura.
Mentre a Belém si fanno foto di gruppo e si parla di Mutirão (cooperazione), fuori dallo spazio mediatico infatti si mobilitano armamenti e si rimette al centro la disputa per l’accesso ai giacimenti.
Questa COP30 è stata una farsa, ma è stata anche un’occasione preziosa: nelle strade di Belém si sono rinforzate alleanze globali dei movimenti sociali, si è parlato di agenda dal basso e si sono gettate le basi di azioni collettive contro il capitalismo estrattivo. Dunque non perdiamo tempo a sperare nelle promesse dei palazzi — organizziamoci, connettendo locali e internazionali e assaltiamoli, perché la vera transizione è già in cammino: è popolare, pirata, e non aspetta il permesso dei potenti.
Nella colonna destra del sito di Onda Rossa trovate i vari contenuti fatti a Belém durante i giorni della Cop e delle controCop.

