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Ramon Piquè

Intervista a Ramon Piquè

Data di trasmissione
Durata 21m 1s

Vi proponiamo un'intervista che abbiamo realizzato a Ramon Piquè, storico militante della sinistra indipendentista catalana, professore presso l'Università autonoma di Barcellona e militante della CUP.

 

A colloquio con Ramon Piqué.

La Floresta, Barcelona, 22-10-2017

 

Intervistatore: Siamo qui con Ramon Piqué che ci aiuterà a capire un po’ meglio quello che sta succedendo in Catalunya. Cominciamo dalla tua storia. Puoi spiegare brevemente come inizia il tuo rapporto con la politica e quali erano i tuoi referenti a quell’epoca?

Ramón: Sono nato nell’anno ‘61 in piena epoca Franchista, i miei contatti con la politica avvengono appena dopo la morte di Franco, ho vissuto gli anni del franchismo anche se ero molto giovane, però comincio ad impegnarmi a livello politico proprio nel ‘78, che è quando si svolge il referendum per l’approvazione della nuova costituzione Spagnola.

Avevo 17 anni, ancora minorenne, e la maggior parte della gente voleva un cambio politico dello Stato, ma il nuovo regime democratico adotta una costituzione di cui ancora oggi stiamo subendo le conseguenze e che forma parte del problema che abbiamo e non della soluzione.

Mi ricordo che in quegli anni c’era pochissima gente che si organizzò per far campagna contro la costituzione Spagnola. C’era il Comitato Catalano contro la costituzione Spagnola e cominiciai a lavorare con loro e mi unii a quello che facevano. Io sono di un paese vicino Barcellona che si chiama Montcada i Reixac e organizzammo molte iniziative, manifestazioni, etc. alle quali però partecipò pochissima gente. È importante il momento dell’approvazione della costituzione perché significó tre cose: da un lato si sacralizzava (istituzionalizzava) la monarchia come forma di governo, mentre durante molti anni i movimenti antifranchisti avevano sostenuto la Repubblica, altre organizzazione fra le quali il Psoe e il Partito Comunista Spagnolo scelgono di sostenere questa opzione. D’altra parte la costituzione, in maniera evidente, impediva la confederazione delle comunità autonome. Questo voleva dire per esempio che l’amministrazione dello Stato spagnolo avrebbe fatto in modo che le Baleari e il Paese Valenciano che condividevano con noi una stessa cultura, non si configurassero come sarebbe stato normale e logico. E da qui chiaramente sono nati molti problemi che sono esplosi a causa del non riconoscimento; d’altra parte si è imposto un modo di santificare la costituzione che come classi popolari abbiamo molto sofferto.

 

Intervistatore: Perció diciamo che la tua traiettoria politica ti ha portato a criticare la Costituzione attuale fin dalla sua approvazione, non è pertanto qualcosa che nasce oggi.

Ramón: Sì.

 

Intervistatore: Ci puoi spiegare le esperienze nazionali e internazionali che ti hanno ispirato e se c’era una organizzazione nazionale o internazionale con la quale collaboravate in un ottica anche di ricomposizione di classe.

Ramón: Allora, l’indipendentismo catalano non é un fenomeno moderno, é un fenomeno di cui durante la storia troviamo molti episodi, giá negli anni Venti e Trenta del Novecento. All’inizio degli anni Ottanta quando aderisco all’indipendentismo catalano, una delle sfide che avevamo di fronte, che avevano di fronte i piú anziani, io ero ancora molto giovane, era proprio di dotarsi di un discorso politico nuovo poiché il franchismo aveva manipolato e reso inutilizzabile quello esistente fino a quel momento.

È un indipendentismo che stabilisce un vincolo molto forte con i movimenti di sinistra del ‘68, é un indipendentismo che ha bisogno anche di una nuova simbologia, da qui la bandiera estelada indipendentista che é una bandiera con un triangolo di color giallo e con una stella rossa. Questa era una componente di classe che volevamo introdurre nel discorso indipendentista degli anni Ottanta. Questo movimento stabilisce un rapporto naturalmente anche con movimenti di liberazione nazionale dell’epoca, ricordo il movimento dei Saharawi, la battaglia degli algerini e tutto quello che nell’immaginario voleva dire la lotta di liberazione algerina, I tupamaros uruguaiani. Loro erano un movimento urbano con un contesto simile al nostro, che ci spingeva a concentrare la nostra attenzione sulle loro strategie di organizzazione. Da un punto di vista politico i riferimenti piú vicini erano sicuramente i Paesi Baschi, non solo loro, peró soprattutto. La relazione c’é stata per motivi ovvii, su cui potremmo trattenerci a lungo, ma non é necessario forse farlo ora.

In quel momento a livello europeo, al di fuori dello Stato spagnolo, vorrei ricordare uno dei primi manifesti che ci fu per l’Europa delle nazioni, che ebbe luogo a Brest nella Bretagna francese, dove si firmò la carta di Brest fra movimenti Baschi, Catalani, Sardi, Occitani, Corsi e ricordo che c’erano altri movimenti europei che avevano fatto la scelta di lottare per una Europa delle classi popolari, che per noi in definitiva significava una Europa delle nazioni.

 

Intervistatore: Ora guardando al conflitto attuale quello che si vede soprattutto dall’esterno, é soprattutto una rivendicazione nazionale, questo sentimento è cresciuto durante gli ultimi anni, e adesso é molto forte. Come analizzi il cambiamento che si è prodotto rispetto a questo sentimento? È sempre stato così forte? Poi, perché credi, se lo credi, che il movimento catalano dentro e fuori della Spagna generi così tante perplessitá?

Ramón: Il contesto nazionale é il contesto di riferimento su cui noi pensiamo si debba impostare una lotta. Vorrei ricordare che l’internazionalismo é un concetto che nasce dalla sinistra e l’ indipendentismo catalano nasce anche esso dalla sinistra, solo da una decina di anni a questa parte si sono uniti altri settori del paese, nazionalisti piú che indipendentisti, che puó essere una differenza sottile, ma che esiste e noi ce l’abbiamo molto chiara, è per questo che la lotta è diventata piú trasversale. Ci siamo trovati gente di sinistra, gente indipendentista, gente che rifiuta il quadro della costituzione spagnola, libertari, s’é creata una mobilitazione, che a volte é difficile perfino spiegare. Ci troviamo braccio a braccio con gente con cui in altri momenti ci siamo scontrati, e non parlo solo della stessa sinistra, all’interno della quale abbiamo una maniera di fare che ci porta a dividerci costantemente.

Il contesto nazionale per noi é importante, perché senza di esso é difficile articolare un progetto e poi tutti i movimenti rivoluzionari hanno avuto un contesto nazionale: il nostro contesto nazionale sono i paesi catalani. È anche vero che la propria storia del nostro paese determina che non possa essere un altro, perché il principio che ci ispira è quello di popolo, che intendiamo come comunitá di uomini e donne che é stato soggiogato da uno stato franchista durante molti anni, da uno stato autoritario durante secoli, uno stato che dal ‘78 fino ad oggi non è stato capace di dare risposta a questa espressione sia nazionale che popolare delle classi subalterne catalane.

È anche vero che i fenomeni sociali sono complessi, lo sappiamo e alle volte la rottura fra un sistema e un altro, alle volte, si fanno attraverso alleanze con settori diversi. Questo é successo a Cuba, in Nicaragua con alleanze fra settori di sinistra e settori moderati, é successo in Russia nella rivoluzione di ottobre, é successo nella rivoluzione francese tanto per andare ancora piú lontano, peró sono fenomeni che non sta scritto da nessuna parte che debbano avvenire sempre nella stessa maniera, non esistono rivoluzioni pure per capirci.

 

Intervistatore: Ti aspettavi una reazione cosí violenta da parte dello stato spagnolo, e credi si possa aprire una breccia nella classe lavoratrice spagnola, che finora non si é manifestata in appoggio al processo catalano? Fa pensare ancor di piú l’atteggiamento del popolo basco, che ha una storia vicina all’indipendenza e ci si sarebbe aspettato che esprimesse un sostegno, ma ancora non lo ha fatto, anche se non é detto che non lo faccia in futuro.

Ramón: Quello che é successo l’1 di Ottobre a noi non ci ha sorpreso, come puó invece aver sorpreso molte persone che non conoscono la repressione. Se non per riferimenti molto lontani collocano la repressione in un tempo remoto.

L’indipendentismo catalano é un indipendentismo che nasce dalla sinistra, é un movimento che é stato represso per molti anni dallo stato spagnolo.

Voglio ricordare che lo stato spagnolo é uno degli stati europei, anno dopo anno, presente nei rapporti internazionali di violazione dei diritti umani di Rights Whatch, Amnesty Internacional, Comitato di tutela della commissione d’Europa e altri organismi del genere. Voglio dire che una delle maniere, che ha di affrontare, o risolvere conflitti politici, é la repressione. Prima agiva su gruppi piú piccoli, l’indipendentismo che ho vissuto negli anni Ottanta e Novanta aveva un’incidenza sociale minore, paragonata con quella attuale, peró tanto i baschi come i galleghi, come altri movimenti sociali dello stato spagnolo conoscono perfettamente il ruolo repressivo dello stato spagnolo. Questo carattere repressivo é storico e possiamo trovarne molti esempi nel passato dello stato spagnolo.

Questo evidenzia lo scarso livello di democraticità di uno stato che si autonomina stato democratico di diritto. Lo scontro che stiamo vivendo evidenzia due aspetti: il primo é la dimensione mediatica, ossia si é visto come il controllo dei mezzi di comunicazione permette di monopolizzare la narrazione, e questo per cercare di rispondere alla tua domanda, su come mai fuori dai paesi catalani é cosí difficile che il discorso sia diverso, che non quello che i mezzi di informazione ufficiali e unionisti stanno utilizzando, con una insistenza sistematica nella manipolazione della realtà. Questo fa si che anche a settori popolari dello stato spagnolo possa arrivare una versione distorta che non crea un sentimento di affinità e movimenti di solidarietá, che ci si potrebbe aspettare di vedere. Peró é anche vero che, va detto, si sono anche manifestati movimenti di questo tipo: voglio ricordare che movimenti come il Sindacato operaio del campo andaluso, con Gordillo e questa gente, stanno garantendo un supporto fin dal primo giorno al processo che stiamo vivendo qui, o in Castilla l’Unione del popolo castigliano, o in Aragona, nei Baschi e Galizia. Sì, é vero che sono posizioni minoritarie, peró non per questo disprezzabili. Vuol dire che sí che c’é un’altra maniera di intendere la Spagna, perfino dal punto di vista spagnolo, quindi la questione non é o Spagna o Catalunya, ma invece il problema di fondo della Spagna é la Spagna stessa, quello che rappresenta e come é organizzata.

L’altra cosa che volevo commentare é il controllo dei mezzi di informazione. Visto in prospettiva é fondamentale,

È quello che loro, e quando parlo di loro mi riferisco al governo spagnolo, con l’applicazione dell’articolo 155, una delle cose che hanno messo sulla tavola é proprio il controllo della radio e televisione catalana, che sono quelle che davano una versione almeno in parte differente a quella che loro controllavano e veicolavano.

 

Intervistatore: Questo pone in evidenza quanto sia importante un’informazione libera, ed è chiaro che è un obiettivo importante avere il controllo di quello che viene raccontato, perché l’informazione che arriva al cittadino non é che sia cosí libera, come ci hanno sempre cercato di far credere e forse in questo momento è ancora più importante insistere su questo punto.

Ramón: Tradizionalmente la storia la fanno i vincitori, la narrazione la costruiscono i vincitori, se controlli i mezzi di informazione controlli la dinamica e la storia di quello che sta succedendo, e a partire da qui controlli tutto.

Nel momento in cui ci sono meccanismi che mettono in discussione tutto questo, tutti i mezzi di comunicazione alternativi, le radio libere per esempio devono cercare di rompere questa dinamica. In Catalunya ce ne sono molti, che non sono pubblici, voglio parlare per esempio della Directa o del Diari critic o altri mezzi di informazione del genere che hanno dato un costributo molto importante. Forse con un’incidenza minore di altri, peró sono stati fondamentali proprio per rompere un muro, che sembra sia di cemento armato e impenetrabile. Non possiamo fare altro che prenderlo a picconate, pietra dopo pietra, fino a farlo cadere. Questo non solo in Catalunya o nei paesi catalani, ma in tutto il mondo.

Questo schema, questa logica é una logica sfortunatamente universale, chi controlla l’informazione controlla il potere, questo é un obbiettivo una sfida per tutti noi.

 

Intervistatore: E adesso per chiudere, il giorno dopo l’applicazione del 155, tu come vedi il movimento indipendentista, avrà la forza di resistere ancora o subirà una repressione così potente che lo fará vacillare? Voi come vivete questo momento, come una sfida in piú delle tante che avete affrontato e vedete i margini per andare oltre, o c’é la senzazione questa volta stiate affrontando una cosa più grande che in passato?

Ramon: Si, la domanda é corretta, dobbiamo cercare di prevedere quello che può accadere, consapevoli che non possiamo saperlo con esattezza, ma che possiamo cercare di prevederlo quello sì. E che dobbiamo cercare di disegnare degli scenari, soprattutto perché alcuni segnali, di quello che puó accadere, li stiamo vedendo. Quello che é successo l’1 di Ottobre é un segnale chiaro di quello che puó ripetersi in qualsiasi momento, perché il carattere e la maniera di affrontare i problemi non é cambiata. Sì, é vero che i tentativi che si sono fatti di internazionalizzare il problema possono aiutare a fare in modo che la reazione non sia tanto brutale, peró adesso sto parlando di desideri. Si, é vero che un processo di rottura come quello che stiamo proponendo, dove c’é una parte che non l’accetta, difficilmente si fará in una maniera poco traumatica, e qui ognuno interpreti, poco traumatica, come vuole. Noi abbiamo fatto una scommessa, e penso che é un aspetto che bisogna sottolinerare, sul carattere pacifico di questa mobilitazione, e questo scelta è parte del trionfo, il carattere pacifico ha fatto sì che si unisse molta gente. Peró, sicuramente, se il movimento non fosse stato pacifico non sarebbe stata così tanta la gente che è scesa per strada, e questo avrebbe tolto molta forza al movimento. Per il momento sta funzionando. Questa domanda sarebbe bene rifarcela da qui a qualche mese, a me piacerebbe poter pensare che, anche se credo sia difficile, il processo di passaggio da uno status quo ad un’altra cosa, una cosa che dobbiamo costruire fra tutti, potesse essere quanto meno traumatico e conflittuale possibile, peró, credo che questo sia piú un desiderio, un desiderio che molti condividiamo, ma che sappiamo, quelli che stanno dall’altra parte rispetto a noi non lo renderanno facilmente realizzare.

Questo sí, noi chiediamo il sostegno, non tanto a noi che continuiamo a stare dove siamo sempre stati, resistendo, ma ai popoli, ai collettivi e movimenti di tutta l’Europa e di tutto il mondo.

 

Intervistatore: Perfetto chiudiamo su questi desideri e speriamo che questo possa essere un contributo utile per chiarire un po’ quello che sta accadendo a Catalunya.