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Desmonautica del 29/6/2016 "Poesie Sparse"

Data di trasmissione
Durata 3m 52s
 

Da “I Nomi delle Cose” del 29/6/2016 “Desmonautica“ la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese.  “Poesie Sparse”

Tutto quello che ho

Tutto quello che ho/ è il mio sguardo miope e astigmatico sul mondo/ che, comunque, vede meglio di tanti altri)

Tutto quello che ho/è il mio corpo scomodo/imponente, fragile

Tutto quello che ho/è un etto e mezzo di feroce sarcasmo/non di più, non di meno

Tutto quello che ho/è una macchina analitica/che sfreccia nella mia testa/senza assicurazione

Tutto quello che ho/è la paura che m’accompagna/di non riuscire, di non capire/essere solo, essere vivo

Tutto quello che ho/è il mio assoluto talento/nell’essere inaffidabile/e un po’ eremita

Tutto quello che ho/è una betoniera di frasi coraggiose/nella mia bocca impastata/e un esercito di fotografie nel miocardio/che come un diaframma troppo aperto/illuminato a lungo/conosce croce e delizia/della sovraesposizione

Tutto quello che ho/è il gomitolo delle braccia che mi amano,/in bilico tra nebbia e catarsi,/in questa giornata di sole.

Detesto

Detesto/il disordine gratuito/come i coupon del supermercato

Detesto/i freddi e i privi di spessore/iceberg di cartone

Detesto/i buffetti sulla guancia/il rossore della falsità verace

Detesto/le opinioni non richieste,/le opinioni sincere,/le opinioni beote/che vogliono essere vere

Detesto/la necessità di dissimulare/l’assenza di parole

Detesto/chi mi accusa/di avere coraggio

Detesto/un sacco di roba/ma in fondo c’è sempre/di peggio

 

Desmonautica del 27/4/2016 "Guida turistica al giornalismo discutibile"

Data di trasmissione
Durata 8m 4s
Da “I Nomi delle Cose” del 27/4/2016 “Desmonautica“ la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese.  “Guida turistica al giornalismo discutibile”

 

Immagine rimossa.

https://desmonautica.wordpress.com/2016/04/27/guida-turistica-al-giornalismo-discutibile/


«Non avere un pensiero e saperlo esprimere: è questo che fa di qualcuno un giornalista» (Karl Kraus) 

 

Vorrei mostrarvi i traumi, più che altro cranici, di alcuni trend giornalistici incarnati nel decennio corrente in modo vieppiù cretino da varie tipologie presenti nell’ecosistema redazionale dei mass media. Ogni buon giornalista deve essere un pensatore critico e scettico, e loro in effetti sono araldi del dubbio.  Più specificatamente del dubbio gusto e della dubbia veridicità. Mi sono sforzato di tracciarne un’approssimata tassonomia. Vediamoli insieme.

Il benaltrista. Qualunque sia l’interrogativo posto al mondo, la rivoluzione per cui sbandierare, non sarà mai istanza seria abbastanza da conseguire la sua entusiastica approvazione. Sei gay, bisessuale, lesbica, transgender, intersessuale? C’è ben altro di cui preoccuparsi. Ti batti per il benestare della sanità, dell’istruzione, della cultura in generale? C’è ben altro di cui preoccuparsi. Sessismo, razzismo e molti altri -ismi ti paiono orribili mali che affliggono l’odierna società? C’è ben altro di cui preoccuparsi. Pensi che esista una carenza di pratiche inclusive nei confronti delle persone disabili? C’è ben altro di cui preoccuparsi. Cosa, allora? A giudicare dall’eterna filippica sulla disoccupazione che è in procinto di elargire anche quando gli si intima di farsi la barba,  si penserebbe che il welfare sia un suo interesse fondamentale. Ci si illuderà quindi che forse parlare di tematiche ad esso relative è ciò che ci vuole per accalappiarsi i suoi favori. La realtà tristissima è tutt’altra. Lottare a favore di lavoratori e lavoratrici renderà ai suoi occhi qualsiasi umano degno di nota una schifosa sanguisuga statalista. Il benaltrista è infatti la voce della piccola e media imprenditoria, e da buon borghese non si cura di nulla che non sia il proprio portafogli. A leggerlo viene da rimpiangere il caro vecchio edonismo sfrenato da milionario cocainomane, sicché quest’ultimo ha il buon pregio di fottere il prossimo suo senza annoiarlo. Non c’è suo articolo che non contenga un’invettiva esterofila contro l’inadeguatezza dello stato italiano, diretta a quelle poche cose che funzionerebbero in modo perfetto producendo ottimi risultati se non fossero state deturpate dallo smantellamento neoliberista di qualsiasi forma di supporto sociale, distruzione che egli stesso promuove. Il suo ghiribizzo autoassolutorio accoglie tenero alcuni sinistroidi sperduti, poiché questo genere di lamentele agli occhi poco attenti pare ammantarsi quasi, per via del suo materialismo, di una vaga vena socialisteggiante. E insomma, per dio: ci sono i bambini affamati in Africa, i marò, ci vuole la pace nel mondo e poi mio fratello piscia a letto. È increscioso che nessuno si preoccupi mai dei veri problemi.

Lo spargipietà. Parla di ciò che ha nel mirino nel modo più sgarbatamente patetico. I suoi sono articoli di vivace depressione di mezza età che infantilizzano i lettori e gli oggetti della discussione, proprio come se stesse facendo dono di una lezione di vita ai nipotini che lo guardano con finta ammirazione grattandosi le pudenda di fronte al caminetto. La forte vena provinciale spruzzata di voyeurismo inconsapevole provoca sbadigli tali da ammaccare la mascella e impedisce ogni volontà di disamina analitica. Negli ultimi tempi sembra essere disgraziatamente in voga presso varie femmine della specie Homo Editorialis, per via della cultura patriarcale che spesso spinge le donne a sottoporre sé stesse e le altre al tedio di farsi acute difensore del codice morale socialmente accettato (e accettabile).  Alcune tematiche predilette: la gioventù, il sesso, la droga e i bei tempi andati non corrotti dalla morale decadente, la quale pare decadere ruzzolando giù per i viottoli della modernità malvagia più o meno da quando esiste vita cosciente su questo pianeta.

L’emergenziale. Si tratta di una creatura che va a caccia nelle stagioni calde. Essendo l’estate priva di eventi particolarmente significativi che diano aria ed euro ai rotocalchi, è responsabilità impellente non esitare a impastare in prima pagina eventi sì certamente orribili ma di nessuna particolare novità, che divengono d’un tratto emergenze nazionali atte a sponsorizzare l’agenda politica del primo brontolone che passa e abbia in mano una soluzione inappropriata e inefficace. Un rimedio peggiore del problema, ovvio. Cosa pensavate?

Il narcisista. Il suo articolo è tipicamente incentrato sulla critica feroce di fenomeni di costume di  scarsa rilevanza che, tuttavia, procurano diversi pruriti cerebrali e talvolta intimi al suo autore. Esso opporrà il suo antidiluviano spirito del tempo a quello di tutte le generazioni successive, alternando nostalgici panegirici della bellezza di ciò che fu e stizzite missive di damnatio eterna. Lo farà nella lamentosa speranza di continuare a ricoprire un ruolo di rilievo nel mondo che cambia, ammesso e non concesso che l’abbia mai ricoperto. In tutti i casi, propone tesi ridicole con arrogantissima sicumera, lasciando intendere che la sua sia in primo luogo un’opinione necessaria, in secondo luogo un’opinione legittima, e in terzo luogo l’unica realmente concepibile da primati di media intelligenza. Poco propenso all’uso delle infinite potenzialità del testo argomentativo, depone tutta la forza delle sue ragioni nei suoi parametri anagrafici, nel suo titolo di studio (meglio se privato), in ricerche che ha male interpretato o esplicitamente manipolato, nelle opinioni dei suoi amici, parenti, lacché e così via. Questo lascia intendere che non abbia nemmeno mai provato a cercarla nella sua intelligenza. Non proprio. È che si arrangia, proprio come tutti quelli che cercano qualcosa e non la trovano.

Il tuttologo. In genere è una personalità esperta in un preciso campo del sapere, dove fa valere conoscenze ed esperienze acquisite negli anni. Il dramma è che si azzarda imprudente, figliol prodigo, a vergare prose perniciose a ciel sereno su questioni di palpabile estraneità rispetto alle sue competenze, e quando ciò accade rimbecillisce esponenzialmente fino a generare potenti vortici dapprima di insensatezza, poi di sconcerto e delusione in coloro che a tale figura riconoscevano un certo estro intellettuale magari anche gloriosamente meritato, ora messo in disparte da un altrettanto meritato imbarazzo imperituro. Il che può anche sembrare ingiusto, ma ci solleva dal peso immane di dover sopportare intere tonnellate di opinionismi irrilevanti da parte di qualunque balzano professionista logorroico che abbia mai conseguito qualche credito formativo universitario in vita propria.

Mi pare di aver qui racchiuso, pur non esaustivamente, i profili di particolare rilievo. Tenevetene alla larga di persona, digitalmente, a mezzo stampa. L’uso di un antiparassitario e la disdetta degli abbonamenti dovrebbe tenervi al sicuro

Desmonautica del 24/2/2016 "La difficoltà di avere difficoltà"

Data di trasmissione
Durata 9m 33s
“Desmonautica“ la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese.  “La difficoltà di avere difficoltà”

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/27/la-difficolta-di-avere-difficolta

 

Ho difficoltà a fare molte cose.

Non so condividere i miei spazi, non senza impazzire. Non so cominciare e finire le cose con facilità. Non me la cavo granché col linguaggio del corpo e le sottili implicazioni emotive dei messaggi sottintesi. Non sempre riesco a comunicare a voce, e anche quando posso, avverto un enorme peso nel tradurre le mie immagini in lessico intellegibile. Non posso tollerare  i programmi stravolti di punto in bianco. Non so gestire più di un impegno al giorno, massimo due, per le mie energie limitate e per via dell’angoscia e del disorientamento che mi porta la gestione simultanea o sequenziale delle mie istanze quotidiane. Non esco molto di casa perché mutare spesso ambientazione mi stressa molto. Non ho realmente idea di come ci si faccia delle amicizie, o di come si manutengano i rapporti umani: devo i miei residuati di socialità a tutte quelle persone che fanno lo sforzo di perseguire la mia compagnia. Ho bisogno di fare tutto sempre allo stesso modo e di obbedire a piccole e grandi compulsioni utili e inutili che non sono dettate dallo sfogo di un’ossessione ansiosa ma da un’innata, non estirpabile, tendenza alla routine, e non posso non ammettere che mi sento a disagio nel continuare questo paragrafo rompendo lo schema che mi fa iniziare le frasi con un bel non. Ho dei sensi che funzionano in modo intenso e bizzarro, offrendomi la capacità di causarmi disgusto fino al vomito di fronte a molti sapori e consistenze; sentirmi benedetto sulla terra per le deliziose, friabili onde sonore di tarallo masticato sull’autobus dalla passeggera dietro di me; scoppiare in una immensa crisi di rabbia notturna graffiandomi le braccia e sbattendo la testa contro il mobiletto del bagno per via della irritante frequenza dei miei che russano e dell’insopportabile nenia di slinguazzamento che fanno i gatti nei loro riti di toelettatura, poiché dormiamo nella stessa stanza da vent’anni con buona pace del mio ineluttabile bisogno di privacy; avvertire la benché minima variazione di temperatura dunque non riuscire a tenere in mano una tazza moderatamente calda e ciononostante uscire spesso di casa con un abbigliamento inviso a ogni briciolo di buonsenso meteorologico, sudando a fiotti o sfidando la morte per ipotermia con gagliardo sorriso futurista e mani cianotiche. Regolare amministrazione autistica.

Molto tempo fa mi sono accorto di queste difficoltà senza accorgermene davvero. Ho assunto presto la consapevolezza che la mia percezione non corrispondeva alle percezione delle persone che incrociavo. Non che sia poi così difficile quando chiunque ti fa notare che una buona parte dei tuoi modi di fare e d’essere sono per così dire inappropriati, fuori luogo, strani. Dove non sono arrivato io con arguto dedurre, c’è arrivata la pressione sociale con le persuasive argomentazioni della persecuzione fra pari; anche fra dispari, vista l’annosa abitudine delle persone dotate di un potere ad abusarne. Lezione appresa. Diverso non si può, trovarsi in una brutta situazione è un crimine imputabile anche se non è un crimine e anche se non è stato commesso. I bravi bambini obbediscono. Io ho obbedito. Per fortuna ho quasi smesso, ora consumo solo mezzo pacchetto al giorno.

Questo livello di realtà colora tutta la mia vita, il mio stare nel mondo, come anche il cambiarlo. Lo spazio e l’agire tradizionale della politica extraparlamentare – ma anche di quella parlamentare,  la quale però non ho mai vissuto e praticato, e mai accadrà – consiste in un insieme di implicite regole sociali le quali per lungo tempo ho tentato di capire e assecondare, inutilmente, quali diplomazie, narcisismi, bisogni d’appartenenza, omologazione, idiosincratiche intollerabilità di vario genere. La peggiore pretesa è però la straziante richiesta di abdicare la propria persona in favore di un’abnegazione totale, noncurante delle priorità, delle limitazioni e delle necessità individuali e sociali, figlia quell’idea assurda e reazionaria che è l’indipendenza: essere isole, che si sanno bastare da sole o che in questo modo amano raccontarsela; questa indipendenza, che non rappresenta le abilità legate all’autonomia personale, ma il cerotto  applicato su quell’esigenza palpabile che sono i nostri rapporti di interdipendenza reciproca, in termini di affetto, di cura, di soddisfacimento dei bisogni più e meno elementari; viene chiesto insomma di favorire fatica e intelletto a un gruppo, un collettivo, una rete – esattrici di lavoro emotivo che non ne restituiscono altrettanto – che sì, fornisce una forma primitiva, grossolana e distruttiva di supporto, ma soltanto a chi possiede la possibilità e la pazienza di farne porta e soltanto a costo di distruggerl* pian piano, spogliandol* infine del diritto alla sopravvivenza in nome di qualcosa di più grande, così grande da inghiottire contraddizioni, idiosincrasie, umanità. Che libertà è mai questa? Che giustizia porta con sé?  La libertà di farsi tiranneggiare da una comunità terribile, più fascista di quella che ci mette i piedi in testa di solito. La giustizia, quella delle forche.

 

Sono qui, diversi anni dopo, a fare i conti con quei lasciti, con l’eredità sostanziale della mia storia e delle mie peculiarità metà neurologiche, metà esistenziali. Stavolta ho con me dei fortunati incontri, una sviluppata capacità di scomporre ai minimi termini le verità che mi vengono proposte, una scarsissima pazienza per le stronzate. Sono capace, oggi, di difendere il bambino che ero e quello che c’è ora nell’uomo che sono: disincantato, umorista, consapevole, un pizzico stronzo, eppure così ostinato in una volontà sconfinata di cercare e offrire tenerezza. La vulnerabilità è un bene incedibile che si tiene in salotto per tutta la vita, un grazioso soprammobile. Non è un compito semplice prendersene cura. Quando mi serve aiuto, e mi serve, non so chiederlo mai e anzi mi accartoccio su me stesso, m’isolo e taccio. Questa è la difficoltà di sentirsi in difficoltà: avere bisogno di aiuto e non sapere come, se, quando chiederlo, a partire dalla posizione più scomoda che si possa assumere che però è l’unica possibile: o si chiede aiuto, o si continua a soffrire. Ma interpellare qualcun* è invitarl* nella mia dimora figurata; nel farlo chiamo implicitamente questa persona a passare di fronte al delicato oggettino di cristallo. Lei potrebbe accorgersi della sua presenza, decidere di toccarlo e farmi fremere nel timore che possa urtarlo, per sbaglio se non per volontà, e farne mille pezzi. Una paura non banale che si mostra nella mia tendenza così consolidata a ironizzare su assurdità, insensatezze, talvolta disgrazie e tenere distanti da sé le spiacevolezze e non averci a che fare. Una strategia ridanciana di stupidità emotiva, e per fortuna non ancora una pessima abitudine che rischia di estendersi ai problemi altri, minimizzandoli. Così ora, quando mi chiedono come va, quella frase curiosa, un’affermazione che sembra una domanda – con tutte le sue aspettative di risposta lineare e affermativa, autoconclusoria: tutto bene, grazie – mi sforzo di rispondere nel modo giusto. Una merda. Perché bisogna sapere che stare male è legittimo e la protesta anche di più. Perché la frustrazione de* singol* sia la rabbia di tutti e tutte.