Sardegna: domiciliari per un petardo, corteo contro l'occupazione militare a Decimomannu

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Dai microfoni di radio ondarossa avevamo già parlato della perquisizione nei confronti del compagno accusato di aver lanciato un petardo durante una manifestazione al porto di Cagliari. La manifestazione era stata indetta contro l'occupazione militare in Sardegna e in particolare contro l'esercitazione Joint Stars. Ieri (venerdì 13 giugno) la vicenda ha avuto un ulteriore epilogo, il compagno è stato fermato in macchina, portato in questura, e notificati i domiciliari come misura cautelare. Misura che è stata firmata poche ore prima dal GIP (giudice delle indagini preliminari) giusto il giorno prima di un nuovo corteo contro l'occupazione militare in Sardegna. Si tratta di una storia che se si legge all'interno di un contesto globale in cui i bombardamenti delle guerre scandiscono sempre più il ritmo di questi tempi, oppure all'interno di un contesto più locale, fatto di decreti sicurezza che restringono sempre più gli spazi della contestazione, è una storia preoccupante che fa riflettere. In particolare in un momento in cui ci sarebbe un'urgenza sempre maggiore di interrompere il linguaggio della guerra, l'assedio dell'esercito israeliano e il genocidio in Palestina. 

Oggi nel giorno in cui è convocata una manifestazione antimilitarista davanti alla base di Decimonannu vi proponiamo l'intervista al compagno colpito dalla limitazione della libertà, ci racconta la sua versione dei fatti e anche la situazione delle mobilitazioni in Sardegna. 


Seguono il comunicato della CASSA ANTIREPRESSIONE SARDA - OFFICINA AUTOGESTITA KASTEDDU sul provvedimento al compagno e il testo d'indizione del corteo.

CUNCORDANT SA GHERRA SI SPANTANT PO UNU GUETU (FANNO LA GUERRA E SI SPAVENTANO PER UN PETARDO)   Poche ore fa un nostro compagno è stato posto agli arresti domiciliari. La DIGOS lo ha fermato in macchina e dopo le pratiche di rito tra questura e scientifica lo ha accompagnato nel suo domicilio, con le consuete restrizioni.   Come al solito grande coordinazione tra questura e Unione sarda, che ancora prima che l'avvocato potesse raggiungerlo già pubblicava un articolo on-line.   L’ accusa è quella di aver esploso un petardo in una manifestazione svoltasi al porto di Cagliari qualche settimana fa, per protestare contro la presenza di navi militari in città, navi presenti nelle acque sarde per l'esercitazione Joint stars, navi che esportano la guerra nel mondo.   Il petardo avrebbe ferito lievemente un agente della Digos, che – probabilmente piagnucolando - è riuscito a farsi refertare ben due settimane di prognosi, peccato che tre giorni dopo il corteo sgambettasse in città per effettuare le perquisizioni.   L'esito di quella perquisizione è risultato negativo. Lo stesso giorno è stata perquisita anche l'Officina Autogestita Kasteddu, dove invece sono stati rinvenuti 7 petardi che oggi pare siano diventati il motivo per cui il GIP ha firmato le misure cautelari.   Nasce spontaneo chiedersi come abbia fatto un GIP ad attribuire proprio a Luca il possesso di quei 7 petardi trovati in un luogo collettivo attraversato da molte persone.   Nasce spontaneo anche chiedersi se sia casuale che il giorno dell'arresto sia oggi, cioè alla vigilia del corteo di Decimomannu previsto per domani alle 15.   In uno Stato in cui la guerra e il riarmo diventano un'economia fiorente suona bizzarro condannare una persona per aver forse esploso un petardo davanti a delle navi piene di missili.   Ma ormai siamo abituati alle tortuosità della legge dello Stato italiano e alle interpretazioni che giudici e magistrati ne danno. Le forzature sono ormai un'abitudine, e il processo Lince è la forzatura più evidente fra i processi a noi vicini: 40 persone imputate, alcune con accuse di terrorismo, per aver bloccato delle esercitazioni e tagliato delle reti.   Pochi giorni fa è diventato legge il nuovo Decreto sicurezza che sancisce un altro evidente passo verso la repressione e la criminalizzazione di qualunque tipo di dissenso.   Come tante altre volte, non ci interessa sapere se un compagno abbia lanciato o meno un petardo, chiunque lotti per la liberazione della nostra terra dall’oppressione ha il nostro pieno sostegno e complicità.    Nello scenario di guerra attuale, che ha visto oggi l’ennesima prova di forza di Israele, mentre continua il genocidio in Palestina e il dissenso preoccupa più della guerra stessa, la migliore risposta a questo attacco repressivo la possiamo già dare domani, al corteo di Decimomannu. Andiamoci in tanti e tante, con più determinazione che mai, mostrando a polizia e giudici che le lotte non si fermano.   ND’ ACAPIANTA UNU SI FURRIANTA IN MILLI (NE PRENDONO UNO SI ARRABBIANO IN MILLE)     SEMPRE DALLA PARTE DI CHI LOTTA. LUCA LIBERO     CASSA ANTIREPRESSIONE SARDA I COMPAGNI E LE COMPAGNE DELL'OFFICINA AUTOGESTITA KASTEDDU
 


Si torna sempre dove si è stati/e bene, o dove si crede di aver lasciato qualcosa… È facile inorridire e prendere posizione quando si ha a che fare con il passato. Ci riescono persino le istituzioni contemporanee. Quando l’orrore appartiene al  nostro tempo invece tutto si fa più complesso. Tutto sembra mutevole ed interpretabile in base a chi prende parola. Genocidio, guerra, bombardamento: sono termini che noi occidentali siamo abituati/e a collocare nei libri di storia, almeno se si tratta di immaginarli come possibili sui nostri cieli e sulle nostre case. Sono 80 anni che consideriamo la nostra pace inviolabile. Quella balcanica è stata una una parentesi che in qualche modo, ci diciamo, non ci riguardava. Non c'era pericolo di ritorsioni. Ma anche stavolta, del resto, qualcuno/a si dirà: “sì, ma non è qui!”, e a costoro è facile ribattere che l’ipotesi del qui, se dovesse diventare reale, non lascerebbe neanche il tempo di razionalizzare quanto è facile perdere la vita.  Non ci sarebbe il tempo di abituarsi all’idea che tutta quella morte, così distante quando puoi tenerla sullo schermo in una mano, all’improvviso sarebbe attorno a noi, nelle nostre vie, o forse perfino la nostra… Che poi anche il “non è qui, sono solo ipotesi, non succederà mai” regge poco se sulle nostre teste, nelle nostre coste e nei nostri mari si addestra anche l’esercito israeliano e se siamo uno degli avamposti militari più consistenti in quest’Europa del “riarmo”. Eppure neanche questo sembra mettere in discussione il nostro apparente e relativo benessere, nonostante chi ci governa decida di regalare miliardi alle aziende di armamenti mentre in ospedale ci si affolla e si muore quasi come se la guerra qui ci fosse già davvero; mentre il costo della vita si fa sempre più proibitivo e si fa fatica ad accedere persino ai beni primari. A  diventare poveri ci si abitua. E allora scendiamo in piazza perché ci sentiamo parte di quel popolo palestinese che ancora non soccombe sotto il peso delle bombe; perché non accettiamo che ciò avvenga anche grazie a chi si esercita in casa nostra; per chi in Europa e ovunque la guerra non se l’era scelta come mestiere e per tutti quei popoli costretti a viverla ogni giorno; perché sentiamo l’orrore di un presente che un giorno, forse sempre meno lontano,  potrebbe essere il nostro futuro e che nel migliore dei casi ci costringerebbe ad una vita miserabile di fame e lutto. Si potrebbe continuare ancora… ma in fondo c’è  bisogno davvero che qualcuno/a scriva l’ennesimo elenco di ragioni per cui di tornare arrabbiati davanti a una base militare ne vale e ne varrà sempre la pena? Ognuno avrà le proprie. Il 14 Giugno torneremo con tutta la passione e la rabbia di cui siamo capaci all’aeroporto militare di Decimomannu, non perché ci siamo stati/e bene, ma perché lo troveremo lì dove lo abbiamo lasciato. E continuiamo con ostinazione a coltivare il desiderio che possa arrivare un giorno in cui non ce lo troveremo più.