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Contro il carcere 21 luglio

Data di trasmissione
Durata 1h 0m

Un'altro tentativo fasullo per prendere in giro detenute e detenuti?  Sembra proprio di si!
Ddl "Compagna" per l'amnistia e l'indulto: la relazione e l'articolato
Il Senatore Luigi Compagna (Pdl) ha presentato un disegno di legge che prevede la concessione di amnistia per i reati per i quali "è stabilita una pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, ovvero una pena pecuniaria, sola o congiunta a detta pena", e di indulto "nella misura non superiore a quattro anni per le pene detentive e non superiore ad euro 10.329,13 per le pene pecuniarie, sole o congiunte alle pene detentive". Per i detenuti affetti da hiv o da altre gravi patologie incompatibili con il regime carcerario l'indulto è previsto con il limite di 5 anni.
    Si sono dichiarati contrari Gasparri (Pdl) a nome dei parlamentari di quel partito, Castelli (lega) e Di Pietro (Idv)
Favorevoli, per ora, Rita Bernardini dei radicali nel Pd

Dopo il lungo esame in sede referente in Commissione Giustizia, l’avvio della discussione in Assemblea il 5 luglio e la nuova assegnazione alla Commissione in sede deliberante è entrato in dirittura di arrivo il ddl 3291-bis sulla esecuzione domiciliare per le pene non superiori ad un anno. Il nuovo testo è oggi nuovamente all’ordine del giorno della Giustizia e per completare l’iter si attende di approfondire ulteriori emendamenti per la cui presentazione il termine è stato fissato a mercoledì 21. Giovedì proseguirà la discussione in merito. Il progetto normativo indica espressamente una serie di reati e di soggetti (detenuti sottoposti a regime di sorveglianza particolare, detenuti per i quali c’e un elevato rischio di fuga ecc.) per i quali non è applicabile il beneficio e pone a carico del pm la trasmissione al giudice di sorveglianza della richiesta di sospensione corredata da un verbale di accertamento della idoneità del domicilio.
 

Cambiamo impostazione: pene alternative la "normalità" il carcere come "eccezione"
di Francesco Drago*, Roberto Galbiati** e Pietro Vertova***
Il Sole 24 Ore, 19 luglio 2010
Il disegno di legge proposto dal ministro Alfano prevede di eseguire presso un domicilio pubblico o privato, anziché in carcere, la pena detentiva non superiore ai dodici mesi (anche se costituente parte residua di una maggior pena). Si tratta di un provvedimento studiato per risolvere temporaneamente il problema del sovraffollamento delle carceri italiane (problema che in realtà accomuna molti paesi europei). Gli effetti attesi sono chiari.
Da un lato, dovrebbe alleviare le sofferenze dei carcerati dando la possibilità a qualche migliaia di persone di scontare gli ultimissimi mesi di pena ai domiciliari e contemporaneamente rendendo gli spazi carcerari più vivibili per chi ci rimane. Circa la propensione alla recidiva, gli effetti sono sicuramente non negativi. Le statistiche mostrano che il tasso di recidiva delle persone che scontano la pena prevalentemente in misura alternativa è di gran lunga inferiore (di circa la metà) a quello delle persone che scontano la pena prevalentemente in carcere. Certamente questo è in parte legato al fatto che i giudici concedono le misure alternative ai detenuti potenzialmente meno recidivi. Tuttavia non è da escludere un effetto della tipologia di pena sul comportamento recidivo. Recenti studi suggeriscono che la commutazione del carcere in pene alternative tende a ridurre la propensione a ricommettere reati.
Vi è però un aspetto culturale e simbolico del Ddl su cui è lecito nutrire delle perplessità. Questo provvedimento lancia infatti il messaggio che la pena alternativa al carcere sia una “concessione” ai detenuti, da prendere solo in condizioni di emergenza. E se, al contrario, considerassimo prassi l’uso delle pene alternative ed emergenziale quello del carcere? Era questa, del resto, la ratio della legge Gozzini, votata dal parlamento nel 1986 con un larghissimo consenso e il solo voto contrario del Movimento sociale italiano.
Il problema centrale su cui soffermarci riguarda la crescita strutturale del numero di carcerati. L’Italia è in effetti il paese europeo con il maggior tasso di crescita della popolazione carceraria dal 2007 a oggi, senza che questo possa essere spiegato da una differenza significativa nei reati (in base ai dati degli istituti nazionali di statistica, il tasso di criminalità in Italia risulta il più basso tra i maggiori paesi europei). Il governo Berlusconi ha approvato a gennaio un piano di edilizia carceraria che prevede di aumentare di 21mila posti la capienza degli istituti di pena. Bisogna chiedersi se sia questo il modo migliore di affrontare il problema del sovraffollamento. I tempi di costruzione delle nuove carceri sono in effetti troppo lunghi per stare al passo con l’aumento della popolazione carceraria, mentre i crescenti vincoli al bilancio pubblico rendono poco auspicabili gli aumenti delle spese connesse all’allargamento del sistema penitenziario (stimabili in 600 milioni all’anno ogni 10mila persone in carcere).
Alcuni paesi europei, come Germania, Portogallo e Austria, hanno preso direzioni più agili e meno costose, che hanno permesso di ridurre la popolazione carceraria attraverso semplici provvedimenti legislativi che hanno introdotto la depenalizzazione di reati minori e l’estensione delle pene alternative. La via italiana alla riduzione del numero dei carcerati, e quindi alla soluzione strutturale del problema del sovraffollamento carcerario e al contenimento dei costi, potrebbe andare in tre direzioni.
La prima riguarda l’uso delle pene alternative al carcere. Circa i due terzi di coloro che hanno pene definitive, attualmente 20mila persone, hanno una pena residua da scontare inferiore a tre anni. Per questi detenuti varrebbe la discrezionalità dei giudici nel decidere misure alternative alla loro detenzione in carcere. La legge cosiddetta ex-Cirielli pone però una serie di limitazioni alla discrezionalità dei giudici, rendendo di fatto sempre meno praticate le misure alternative. Andrebbe quindi largamente rivista ridando piena discrezionalità ai giudici.
La seconda riguarda l’uso della custodia cautelare. Quasi la metà dei detenuti nelle carceri è in attesa del giudizio di primo grado, con una percentuale doppia rispetto a quella della media europea. Questo denota un’anomalia italiana nell’uso della custodia cautelare. Su questo tema sia il governo che la magistratura dovrebbero fare una seria riflessione per capire i motivi dell’uso improprio ella custodia cautelare nel nostro paese.
La terza riguarda la legge sull’immigrazione. Pare che circa 2.500 persone siano attualmente in carcere per violazione della normativa riguardante l’ingresso e il soggiorno in Italia dei “non cittadini italiani”. Su questo tema occorrerebbe riflettere doppiamente, sia sulla misura della pena carceraria, che appare del tutto sproporzionata, sia sul reato in sé: qual è la funzione sociale di considerare reato stare nel nostro paese?

* Università di Napoli Parthenope
** Cnrs EconomiX, Paris
*** Università di Bergamo