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Dijana pavlovic

Vita mia parla. Vita e opere di Marielle Mehr

Data di trasmissione
Durata 9m 51s

Va in scena sabato 13 maggio a Milano, alle ore 19.30 al centro culturale Asteria, "Vita mia parla", lettura-spettacolo sulla persecuzione dei rom dalle opere di Mariella Mehr.

Mariella Mehr era nata in Svizzera nel 1947, a 6 anni è stata tolta a sua madre e affidata a famiglie affidatarie, di quelle che "godevano di ogni diritto". Sua madre è stata sterilizzata e internata in un istituto psichiatrico per curare "il gene nomade". Lei era una bambina ribelle e dunque doveva essere curata. Anche lei a 9 anni, è stata mandata in un istituto psichiatrico e ha subito il primo di una lunga serie di elettroshock.
Maltrattata, violentata e torturata, 18 anni ha avuto un figlio che le è stato tolto e lei è stata sterilizzata.
Questo perché in Svizzera, come in Svezia, in Danimarca, in molti paesi cosiddetti civili le donne "zingare" venivano sterilizzate fino al '79.
Ma lei ha avuto la forza di combattere, insieme alle altre donne Jenisch Rom e Sinte che hanno subito il suo stesso destino. Si sono ribellate, hanno denunciato. Hanno ottenuto la fine del programma di sterilizzazione e le scuse ufficiali dello stato svizzero. Ben misera consolazione per le centinaia di vite distrutte.
È diventata prima giornalista, poi la più grande scrittrice svizzera di lingua tedesca.

Ai nostri microfoni Dijana Pavlovic, che porta in scena la sua storia.

Sgombero delle famiglie rom in via Scarsellini a Torino

Data di trasmissione
Durata 10m 2s

Ha suscitato molta attenzione mediatica, anche al di fuori dei confini piemontesi, lo sgombero di alcuni alloggi popolari occupati da famiglie di origine rom a Torino, in via Scarsellini. Abbiamo chiesto un commento sulla vicenda a Dijana Pavlovic, attivista ed esponente del Movimento Khetane.

Di seguito il comunicato stampa del Movimento Khetane.

Legalità e umanità: lo sgombero di via Scarsellini a Torino
Otto famiglie rom - 58 persone, 30 bambini - sono state sgomberate venerdì 14 aprile dagli alloggi popolari che occupavano abusivamente da due anni nella periferia sud di Torino. Assessori regionali e comunali richiamano questo intervento al necessario ripristino della legalità. Si dice legalità e umanità, di solito. Ci sembra vergognoso che in questo caso l’unica alternativa proposta alle famiglie sia stata mettere le mamme nei centri di accoglienza ma con un figlio solo, se per caso ne hanno di più, gli altri da soli nelle comunità, i padri per strada. In questo caso legalità e umanità non sono andate d’accordo, ed è inutile dire che ovviamente nessuno ha accettato. Questo avviene mentre a Roma UNAR, ente governativo, presenta la Strategia nazionale per l’inclusione di rom e sinti che prevede ben altre modalità di intervento.
Il movimento Kethane rom e sinti per l’Italia, attivo a livello nazionale e locale e al quale aderisrcono circa 12.000 rom e sinti, ritiene che interventi di questo genere non fanno altro che spostare il problema da qualche altra parte, anche dal punto di vista della legalità, rendono ulteriormente precarie le condizioni di vita di queste famiglie, e chiede all’amministrazione comunale di rendersi disponibile per individuare modi e pratiche che sappiano davvero coniugare legalità e umanità, nel rispetto delle norme e delle legittime aspettative di vita di 30 bambini e delle loro famiglie.
LA STORIA
Maggio 2020 una mattina, vigili, rappresentanti comunali e assistenti sociali si presentano in Via Germagnano 10, al campo Rom di Torino che era lì da venti anni e dove generazioni di Rom sono nati, cresciuti e si sono sposati e del quale facevano parte anche le 58 perone sgomberate..
L’allora amministrazione comunale guidata dalla sindaca Appendino fece una vera guerra per il superamento di Via Germagnano, successivamente ne farà anche un vanto per averlo chiuso.
L’unica proposta agli abitanti del campo è stata: 500€ per lasciare l’insediamento sottoscrivendo un documento che accertasse il tutto. A chi rifiutava di andarsene è stato detto che il campo sarebbe stato chiuso lo stesso e che gli assistenti sociali si sarebbero “occupati” dei bambini.
Le famiglie erano in uno stato precario con lavori saltuari, molti anche svaniti durante il periodo del Covid. Era assolutamente irrealistico aspettarsi che con un incentivo di 500 euro senza nessun progetto e in una situazione di grave precarietà queste famiglie potessero non occupare le case o ricreare baracche abusive. Probabilmente gli incentivi per uscire dal campo sono finiti nelle mani del racket delle occupazioni delle case popolari controllato da italiani. E come sempre, queste situazioni sono state abbandonate per due anni, lasciando spazio alla parte prepotente e criminale, e quando si è deciso di ristabilire la legalità nessuno ha distinto tra persone bisognose che cercano di sopravvivere meglio che possono e che anche in una situazione di estremo disagio hanno raggiunto un minimo di progresso e di stabilità e quelli invece che creavano disordine e disagio. Sono stati sgomberati tutti, senza il minimo rispetto delle raccomandazioni e delle disposizioni europee che prevedono alternative stabili per i casi del genere.

Sgomberate le case di via Bolla a Milano.

Data di trasmissione
Durata 9m 44s

A Milano lo sgombero di diverse centinaia di occupanti delle case di via Bolla 40 ha costretto numerosi gruppi familiari ad accamparsi per strada, letteralmente, in mancanza di altre alternative.

Con Dijana Pavlovic, del Movimento Khetane, facciamo il punto sulla situazione. Di seguito il comunicato di Khetane.

Lo sgombero degli abusivi di Via Bolla 40, a Milano, da settimane ha messo in mezzo alla strada 110 persone, di cui 37 minori, che creano 29 nuclei familiari Rom e non Rom.
Per allontanare gli occupanti dagli appartamenti, durante la notte gli incaricati entrano e distruggono ogni cosa spingendoli fuori con bambini appena nati, anziani, donne in gravidanza, donne sole e disabili. Questa situazione può solamente aggravare la condizione di salute di questi ultimi. Gli appartamenti vengono resi inabitabili perché distrutti con mazze e martelli così da costringere gli abitanti a dormire nei corridoi con minori che non possono più frequentare regolarmente la scuola a causa di questa situazione.
Nessuna di queste famiglie ha avuto avvisi se non dettati a voce.
Gli sgomberi senza un alternativa creano un disagio non solo alle persone persone coinvolte ma a tutto il paese in cui viviamo.
Bisogna considerare le condizioni di queste famiglie e riflettere sul futuro di ognuno di loro. Tutte le persone che abbiamo incontrato erano impaurite, disperate e senza nessuna sicurezza, compresi i bambini a cui in questo momento è negata un infanzia e un adolescenza serena.
Sono almeno 15 nuclei (di cui siamo certi) che sono lì da diversi anni, non hanno proprietà né risparmi e avrebbero requisiti come tutti gli altri per la casa popolare. Una grande problematica è la chiarezza su come entrare in questi progetti. D'altro canto dalla regione abbiamo saputo stamattina che per donne e bambini viene offerto un dormitorio o casa famiglia in cui poter dormire per qualche giorno e che poi "si devono arrangiare".
Abbiamo chiesto al prefetto di eseguire verifiche veritiere e trasparenti e di non intervenire con sgomberi e allontanamenti senza conoscere le condizioni di ogni singola famiglia e che a ciascun nucleo venga garantito un percorso di inserimento abitativo.