Grazie alla voce di Elena del comitato "Salviamo il Meisino", abbiamo descritto quanto sta caratterizzando il parco del Meisino e la città di Torino nelle ultime settimane.
Dopo aver discusso di quale sia l'importanza di tale parco all'interno della città di Torino, abbiamo descritto il progetto con il quale il Comune vorrebbe costruire una "Cittadella dello Sport" all'interno del parco. Un'opera finanziata dai fondi a debito del PNRR e contro la quale da diverse settimane diverse realtà tra cui il comitato "Salviamo il Meisino", si stanno battendo per impedirne la realizzazione.
Con un compagno e una compagna di Torino parliamo dell'udienza che c'è stata martedì riguardo l'Operazione City. Quest'operazione attacca chi ha partecipato alla manifestazione del 4 marzo 2023 all'interno della mobilitazione al fianco di Alfredo Cospito.
Inoltre presentiamo il corteo che ci sarà il primo novembre a Torino contro i CPR, in particolare contro la riapertura del CPR di Corso Brunelleschi, un centro di detenzione che era stato chiuso dalla rabbia dei reclusi.
"La guerra parte da qui" non è solo uno slogan, ma una realtà che gli studenti e le studenti di Torino hanno denunciato interrompendo il Senato Accademico. Mentre l'agibilità politica di piazza si restringe, gran parte dei giornali e degli "intellettuali" si spendono per criminalizzare e delegittimare chi mette in luce le collaborazioni con l'apparato militare di Israele e più in generale con la guerra. E' quanto accaduto ieri nell'università di Torino, dove diversi studenti hanno interrotto il senato accademico per denunciare gli accordi in cui l'università collabora con la guerra. Ne parliamo con una studente che ci racconta com'è andata ieri e le motivazioni della protesta.
A Torino contestata la presenza della presidente del consiglio Giorgia Meloni, in città per partecipare al festival delle regioni. Centinaia di persone, per la maggior parte studenti e studentesse dell'Università e delle scuole superiori, hanno manifestato per le vie del centro, si registrano incidenti con la polizia e varie persone ferite.
La prima corrispondenza è dalla piazza durante la mattinata
La seconda è una corrispondenza riassuntiva della giornata di lotta realizzata nel pomeriggio.
Corrispondenza dal presidio sotto il carcere di Rebibbia. Leggiamo la lettera di una detenuta nel penitenziario Le Vallette di Torino e un importante articolo del gruppo Mamme in piazza per la libertà di dissenso. Riflettiamo insieme sull'estate pesante appena passata e sui tanti suicidi avvenuti nelle carceri italiane.
Sei attivisti aderenti alla campagna “Non paghiamo il fossile”, promossa da Ultima Generazione, questa mattina hanno bloccato il traffico sulla strata provinciale 11 Padana Superiore Torino-Chivasso per circa 20 minuti.
I manifestanti intorno alle 8 si sono piazzati in mezzo alla carreggiata bloccando il traffico per protestare contro la disattenzione dell'opinione pubblica sull'emergenza climatica. Si nodtri microfoni una di loro ci spiega le ragioni della protesta
corrispondenza con una compagna dell'assemblea torinese in solidarietà ad Alfredo contro il 41bis e l'ergastolo ostativo verso l'udienza del processo Scripta Manent del prossimo 19 giugno. Il processo vede imputati Alfredo ed Anna per il reato di strage politica e in concomitanza all'udienza è stato convocato un presidio di solidarietà di fronte al tribunale di Torino.
Segue il comunicato di indizione:
Appello alla presenza solidale
Lunedì 19 giugno, presso la Corte d'assise d'Appello di Torino, si terrà l'udienza per il ricalcolo delle condanne per gli anarchici Anna Beniamino e Alfredo Cospito, nell'ambito del processo "Scripta
Manent".
Per quanto la Corte Costituzionale abbia dato indicazioni sulla possibilità di considerare alcune attenuanti in questo ricalcolo, Anna rischia ancora una sentenza a più di 20 anni e Alfredo l'ergastolo. Fattore non secondario: la giudice che aveva accettato l'eccezione sollevata dalla difesa degli imputati di ricorrere ad una consulta della Corte Costituzionale (rivelando così magari una sua predisposizione a recepire l'indicazione di tale organismo) nel frattempo è andata in pensione e non si può prevedere come il giudice che presiederà l'udienza intenda comportarsi.
Di questo processo abbiamo già detto molto, soprattutto grazie allo sciopero della fame di Alfredo e la mobilitazione che questa sua iniziativa ha reso possibile. Innanzitutto abbiamo cercato di evidenziare come questa operazione di criminalizzazione di alcune idee e pratiche dell'anarchismo possa rivelarsi in prospettiva un pericoloso precedente per la persecuzione delle azioni conflittuali, da qualunque componente sociale o politica queste vengano messe in atto.
Per farla breve: quando si procede per "strage contro l'incolumità dello Stato" per sanzionare azioni che non hanno fatto morti, feriti e neppure danni materiali rilevanti, l'oggettiva dinamica messa in atto dallo
Stato è quella di un irrigidimento repressivo che supera non solo il buon senso ma le stesse consuetudini giudiziarie. Uno "stravolgimento" dei termini e delle conseguenze penali che, facile prevedere, a cascata riguarderà anche altre azioni simili o, in proporzione, anche fatti di portata "minore".
Ma non è questo l'unico motivo per cui riteniamo sia importante una presenza solidale significativa per l'udienza del 19 giugno. Due altre questioni vorremmo sollevare o ricordare per evidenziare
l'importanza di questo appuntamento.
La prima è la constatazione che queste condanne non vengono dal nulla ma sono frutto anche del disinteresse che, a parte alcune componenti anarchiche e comuniste, ha accompagnato l'andamento del
processo "Scripta Manent". Considerata da molti, anche in ambito antagonista, come l'ennesima operazione che andava a colpire i soliti, ritenuti marginali, ambiti dell'anarchismo d'azione, la mancanza
di un'attenzione diffusa e "trasversale" rispetto alle sorti dei/delle compagn* imputat* ha lasciato la
mano libera ai vari inquirenti per "andarci giù pesante". Non è la prima volta che accade certo, ma altrettanto certamente è una questione su cui riflettere perché in futuro non ci si debba ritrovare, a giochi ormai fatti, a sbalordirsi per la dismisura delle pene comminate. E perché, soprattutto non ci si ritrovi con la consapevolezza che nulla o poco si è fatto per impedire che, a uomini e donne che hanno lottato, le sbarre chiudessero l'orizzonte per decenni se non per tutta la vita.
La seconda questione che, a nostro avviso, motiva con forza la partecipazione a questo momento solidale sta nella coerenza con quanto si è espresso mille volte durante la mobilitazione degli scorsi mesi: non solo non avremmo mai lasciato soli gli/le compagn* che con lo sciopero della fame ci hanno messo il loro (tantissimo), ma l'impegno collettivo a rompere il silenzio che avvolge il 41-bis, l'ergastolo
ostativo, la persecuzione dei/delle rivoluzionari*, l'inasprimento repressivo generalizzato sarebbe andato
avanti al di là della specifica iniziativa dei/delle compagn* in sciopero.
Ora che si gioca una decisiva partita per il futuro di Alfredo e Anna, non possiamo relegare ai passati mesi di forte mobilitazione la giusta tensione per contrastare la dinamica repressiva che vuole seppellirli in una cella e per continuare la lotta per una società senza oppressione né galera.
Il 19 giugno, dobbiamo esserci, in tant*,
fuori e dentro il Palazzo di Giustizia di Torino dalle 8.30!
Per chiudere
ci sembra opportuno ricordare che il 19 giugno, ogni anno, ci si mobilita in molte zone del globo per la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero, data che rinnova la solidarietà a tutt* i/le militanti imprigionat* in memoria del massacro di quasi 300 prigionier* politic* compiuto nel 1986 dall'esercito nelle carceri peruviane.
Assemblea contro il 41-bis e l'ergastolo ostativo - Torino
Ha suscitato molta attenzione mediatica, anche al di fuori dei confini piemontesi, lo sgombero di alcuni alloggi popolari occupati da famiglie di origine rom a Torino, in via Scarsellini. Abbiamo chiesto un commento sulla vicenda a Dijana Pavlovic, attivista ed esponente del Movimento Khetane.
Di seguito il comunicato stampa del Movimento Khetane.
Legalità e umanità: lo sgombero di via Scarsellini a Torino
Otto famiglie rom - 58 persone, 30 bambini - sono state sgomberate venerdì 14 aprile dagli alloggi popolari che occupavano abusivamente da due anni nella periferia sud di Torino. Assessori regionali e comunali richiamano questo intervento al necessario ripristino della legalità. Si dice legalità e umanità, di solito. Ci sembra vergognoso che in questo caso l’unica alternativa proposta alle famiglie sia stata mettere le mamme nei centri di accoglienza ma con un figlio solo, se per caso ne hanno di più, gli altri da soli nelle comunità, i padri per strada. In questo caso legalità e umanità non sono andate d’accordo, ed è inutile dire che ovviamente nessuno ha accettato. Questo avviene mentre a Roma UNAR, ente governativo, presenta la Strategia nazionale per l’inclusione di rom e sinti che prevede ben altre modalità di intervento.
Il movimento Kethane rom e sinti per l’Italia, attivo a livello nazionale e locale e al quale aderisrcono circa 12.000 rom e sinti, ritiene che interventi di questo genere non fanno altro che spostare il problema da qualche altra parte, anche dal punto di vista della legalità, rendono ulteriormente precarie le condizioni di vita di queste famiglie, e chiede all’amministrazione comunale di rendersi disponibile per individuare modi e pratiche che sappiano davvero coniugare legalità e umanità, nel rispetto delle norme e delle legittime aspettative di vita di 30 bambini e delle loro famiglie.
LA STORIA
Maggio 2020 una mattina, vigili, rappresentanti comunali e assistenti sociali si presentano in Via Germagnano 10, al campo Rom di Torino che era lì da venti anni e dove generazioni di Rom sono nati, cresciuti e si sono sposati e del quale facevano parte anche le 58 perone sgomberate..
L’allora amministrazione comunale guidata dalla sindaca Appendino fece una vera guerra per il superamento di Via Germagnano, successivamente ne farà anche un vanto per averlo chiuso.
L’unica proposta agli abitanti del campo è stata: 500€ per lasciare l’insediamento sottoscrivendo un documento che accertasse il tutto. A chi rifiutava di andarsene è stato detto che il campo sarebbe stato chiuso lo stesso e che gli assistenti sociali si sarebbero “occupati” dei bambini.
Le famiglie erano in uno stato precario con lavori saltuari, molti anche svaniti durante il periodo del Covid. Era assolutamente irrealistico aspettarsi che con un incentivo di 500 euro senza nessun progetto e in una situazione di grave precarietà queste famiglie potessero non occupare le case o ricreare baracche abusive. Probabilmente gli incentivi per uscire dal campo sono finiti nelle mani del racket delle occupazioni delle case popolari controllato da italiani. E come sempre, queste situazioni sono state abbandonate per due anni, lasciando spazio alla parte prepotente e criminale, e quando si è deciso di ristabilire la legalità nessuno ha distinto tra persone bisognose che cercano di sopravvivere meglio che possono e che anche in una situazione di estremo disagio hanno raggiunto un minimo di progresso e di stabilità e quelli invece che creavano disordine e disagio. Sono stati sgomberati tutti, senza il minimo rispetto delle raccomandazioni e delle disposizioni europee che prevedono alternative stabili per i casi del genere.