Ascolta lo streaming di Radio Onda Rossa !

neoliberismo

La Parentesi doppia dell'11/5/2016 "Il neoliberismo medioevale" "La nuova aristocrazia"

Data di trasmissione
Durata 5m 33s
Durata 7m 20s
“Il neoliberismo medioevale”

Immagine rimossa.

Abbiamo già parlato qui del neoliberismo fascista, cioè dei caratteri nazisti e fascisti che informano questa società. Ma questa stessa società ha anche caratteristiche medioevali.

L’agire sociale tollerato è quello che si esprime per corporazioni, associazioni categoriali spoliticizzate, a tutela di interessi specifici di gruppo. Ne sono un esempio le associazioni dei consumatori, ma anche quelle che raggruppano le minoranze sessuali, o i comitati, le organizzazioni che dovrebbero “salvaguardare” le donne come genere oppresso.

Tutto viene ricondotto ad una generica matrice culturale che dimentica la struttura della società e la divisione in classi.

Ognuno così finisce per chiedere tutele e visibilità, riconoscibilità e legalizzazione organizzandosi in un gruppo di interesse. I “centurioni” che accompagnano i turisti al Colosseo, i venditori ambulanti, le sex workers, tutti chiedono albi professionali in cui essere inseriti e riconoscibilità in un gruppo. Vengono così criminalizzate e perseguite tutte le economie marginali e tutti e tutte coloro che non possono essere inquadrate in una categoria o che non vogliono legare la propria vita ad un ambito specifico.

Tanto più questa società pretende flessibilità e capacità di adattamento sul lavoro, tanto più ha la pretesa di inquadrare, ghettizzare, definire, rinchiudere in categorie sempre più specifiche.

L’attacco portato alle classi subalterne con la precarizzazione delle esistenze e l’abbattimento dello stato sociale ha poi messo le premesse dell’impossibilità di chi appartiene alle classi sociali svantaggiate di uscire dalla propria condizione. Studiare è sempre più oneroso e difficile, i costi dell’università hanno provocato una forte diminuzione delle iscrizioni ed anche quelle/i che riescono ad iscriversi e a studiare non sono premiati con quel salto sociale che era possibile anni fa.

Ormai la platea dei laureati/e che finiscono a fare mestieri di minima, dal cameriere al fattorino, dal centralinista all’addetto alle pulizie è sempre più vasta. Pochissimi riescono a fare un salto sociale e saranno sempre di meno perché sono le stesse famiglie a non far studiare più i figli/e. A conferma dell’errore grave di chi negli anni passati si è laureato/a in prima generazione e ha attribuito alle proprie capacità e alla propria bravura l’essere passato ad una condizione di vita migliore dei nonni e dei bisnonni, come se questi non fossero stati adatti allo studio per colpa loro, dimenticandosi o facendo finta di dimenticarsi che sono state le lotte di quegli anni ad aprire a questa possibilità. I figli sono sempre più, come si diceva una volta, legati alla professione del padre.

Ma l’isolamento delle classi subalterne è fisicamente visibile anche nella struttura e nell’organizzazione della città. Le strisce blu dei parcheggi a pagamento che permettono la sosta solo a chi appartiene al quartiere, la chiusura di intere parti di città alla gente comune che ogni mattina arriva nei centri storici solo per lavoro, ricorda la gente del feudo che viene al castello solo per servire. Ma almeno, durante il medioevo, il castello era anche rifugio in caso di pericolo e tra il signore e i servi c’era un accordo di servizio ma anche, in teoria, di tutela. Qui, nessuno/a si illuda, non c’è nessuna tutela. Le porte del castello verranno chiuse. E i servi resteranno fuori. Ma non si illudano anche i “signori”, nessuno sarà al riparo dalla guerra e dalla devastazione che stanno preparando. Ora il ponte levatoio è stato sostituito da una miriade di telecamere e di sistemi di controllo che permettono o meno l’accesso, che scelgono chi ha diritto di entrare e chi no e che cosa può portare indosso o non può portare. Pagando delle gabelle si può anche ovviare parzialmente alla difficoltà di accesso e comunque si deve chiedere il permesso sempre che venga concesso. Vi ricordate Benigni e Troisi in un famoso film? “chi siete, da dove venite? Dove andate? Un fiorino! ”

E, proprio a proposito di fiorini, c’è la spinta ad abolire il contante, incentivata in ogni modo, con la propaganda alle carte di credito e ai bancomat, con l’obbligo di avere il conto corrente per il versamento dello stipendio o della pensione che non si può più prendere in contanti, con gli acquisti on line fortemente scontati, con la riduzione delle banche a sale di slot machine insieme alla riduzione drastica del personale e del contatto con il pubblico, con la persecuzione ed il controllo di tutto quello che avviene in denaro reale e non virtuale. Chi non ha un minimo di possibilità economiche ed è escluso dal circuito dei “cittadini legittimi” già ha cominciato a ricorrere al baratto per il vestiario, per il cibo, in mercatini improvvisati soggetti alla persecuzione delle forze di polizia e dei vigili urbani. Chiaramente la scusa è sempre la stessa: problemi igienici, degrado ambientale, riciclaggio di oggetti rubati.

E, soprattutto, ricordatevi di buttarvi celermente da parte quando passa un corteo di auto istituzionali e affini, blindate e oscurate con i poliziotti o la stradale di scorta e a sirene spiegate, c’è sempre il rischio di una scudisciata di medioevale memoria.

 

 

“La nuova aristocrazia”

Immagine rimossa.

Si va formando un’iperborghesia transnazionale che ha la pretesa di porsi come nuova aristocrazia, un’élite che coniuga alle posizioni di potenza alcuni segni di coesione culturale. La posizione di potenza deriva dai posti che costoro occupano all’interno dei gruppi finanziari, di consulenza o nelle industrie giuridiche, in altri termini, nelle sale di comando dei flussi monetari e delle decisioni d’autorità.

L’iperborghesia mondiale è spartizione di posti chiave e, in questi, non si giustappone alle borghesie nazionali o regionali, le sostituisce. E la borghesia tradizionale, così come noi la conosciamo, sarà ricondotta al ruolo di servizio che aveva ai tempi della nobiltà.

Tre esempi per definire le caratteristiche dell’élite emergente:

La capacità di concentrarsi, in modo concertato, su operazioni finanziarie a livello mondiale per trarne grande profitto indifferente alla rovina di centinaia di milioni di individui;

La capacità di intervenire anche militarmente in altri paesi per impossessarsi delle enormi ricchezze e riserve finanziarie utilizzando anche la polizia-Nato;

La capacità di far funzionare il teatro mediatico ottenendo il consenso delle masse, per cui un presentatore televisivo conta molto di più di un “esperto” che egli fa apparire o scomparire dal teleschermo ogni volta che serve.

L’iperborghesia occupa le funzioni di chi l’ha preceduta, ma su scala mondiale. Per questo la vecchia borghesia non riavrà il suo ruolo. Assistiamo alla riduzione delle remunerazioni e delle responsabilità delle categorie borghesi tradizionali che vedono il loro ruolo mortificato e derubricato. Nei posti chiave avviene man mano la sostituzione della vecchia borghesia con le nuove figure neoliberiste.

L’iperborghesia “nidifica” presso le borghesie nazionali che vengono trattate come reti coloniali, in una realtà che la vede sempre più distaccata non solo dalla popolazione, ma, anche, dalle sorti dei ceti medi. Si “riconosce” già nel modo di porsi, nell’ ”abito-divisa” maschile e femminile, nel tipo di carriera universitaria, nel moralismo vittoriano di ultima generazione, funzionale solamente alla soggezione ed al ricatto degli oppressi. Non ha patria, non ha dio, non ha bandiere, non è razzista, ma tutto questo non la assolve, anzi, chiarisce, ancora di più, l’oscenità dell’utilizzo strumentale che fa di queste categorie. La nascita di questa élite comporta, anche, un vero e proprio impoverimento culturale ed è, addirittura, anticulturale. E’ naturale che sia così perché il valore supremo è l’azione attraverso la quale si è capaci di trasformare tutto in merce e in ricchezza. La vita è sostanziata dal denaro e dal suo accumulo. E, questo, al di là degli schermi lessicali, in ultimo, non è altro che la capacità di provocare l’altrui rovina e la miseria dei/delle più. L’iperborghesia, quindi, porta un attacco senza quartiere, vera e propria ridefinizione della classe, alle borghesie nazionali e allo Stato Nazione attraverso la demonizzazione delle istituzioni parlamentari, delle funzioni della così detta “democrazia”, attraverso l’annullamento delle forme di mediazione, partiti, sindacati, e con lo svilimento del termine stesso di politica.

La tendenza è la trasformazione degli Stati in protettorati e colonie a seconda del ruolo e del livello, guidati da funzionari che sono nient’altro che vassalli. I partiti socialdemocratici, da noi il PD, si sono assunti questa funzione di vassallaggio.

Il rapporto di vassallaggio è fortemente gerarchizzato e basato sul servizio. Al vertice della piramide ci sono Gli USA che si pongono come riferimento statuale transnazionale. In cambio i vassalli hanno privilegi personali o di gruppo. La popolazione è costituita da servi e non ha nessuna voce in capitolo. L’annullamento dello stato sociale cammina, paradossalmente, pari passo al disfacimento delle borghesie nazionali.

Sempre a proposito della formazione delle élites internazionali, non si può non parlare delle Ong. Queste sono il banco di costruzione del percorso formativo delle élites sovranazionali che, attraverso queste esperienze, innescano ulteriori carriere nelle istituzioni statali, nelle grandi agenzie di consulenza e nelle stesse multinazionali. L’esperienza acquisita nelle Ong, associata alla visibilità mediatica, alla pratica del “lobbying”, torna utile nella riconversione come “imprenditoria morale”. Uscire dall’Ecole Nationale d’Administration (ENA), dalla Bocconi, da Harvard è un buon viatico per diventare ministro a Parigi e a Roma. Un gruppo di privilegiati/e per nascita e censo, può, contemporaneamente, far valere la propria notorietà nazionale per esprimersi sulla scena internazionale e investire nell’internazionale per rafforzare le proprie posizioni nel campo del potere nazionale. A questo punto, le grandi istituzioni “filantropiche” private, come le fondazioni Ford, Rockefeller, Soros sono un passaggio obbligato ed un crocevia per la formazione della classe dirigente, il cui personale passa, indifferentemente, dal FMI, dalle istituzioni sovranazionali ad una carica di ministro di un governo locale. Tutto nobilitato dal fatto che le fondazioni e le Ong si presentano a tutela dei diritti della persona e dell’ambiente, saltando a piè pari che i loro valori neoliberisti sono quelli che permettono e promuovono la violazione dei diritti della persona e la distruzione dell’ambiente. E, come ricorda Pierre Bourdieu ( Raisons Pratiques- Seuil 1994), a proposito dell’imperialismo ammantato dalla bandiera dei diritti umani e della democrazia,”il richiamo all’universale è l’arma per eccellenza”.

Venendo meno il riferimento statuale e la dimensione politica dell’agire sociale, è estremamente difficoltosa per gli oppressi/e l’individuazione del nemico che è possibile identificare solo nella struttura che mette in atto il mero controllo sociale, repressivo e poliziesco. Questo è l’unico compito, infatti, che viene demandato a chi ha preso in carico il vassallaggio. Le decisioni vengono prese altrove e il contatto tra chi prende le decisioni e chi le subisce è inesistente. Il potere sembra qualcosa di inafferrabile.

Le proteste sociali perciò potrebbero prendere sempre di più l’aspetto e le caratteristiche delle rivolte, dei riots, delle jacqueries.

E’ necessario, perciò, smascherare il ruolo del PD che si pone come potere locale del governo dell’iperborghesia e ha quasi compiuto il programma di naturalizzazione del neoliberismo nel nostro paese, recuperare il concetto di lotta di classe e ripensare radicalmente le forme e le modalità delle lotte da mettere in campo.

Trasmissione del 4/5/2016 "Liberiamoci della Bestia-Intervista a Daniela Pellegrini"

Data di trasmissione
Durata 1h 1m 19s
 
” I Nomi delle Cose” /Puntata del 4/5/2016 ” Liberiamoci della Bestia/ Intervista a Daniela Pellegrini

” Dedicato alle mie simili indomite resistenti nei secoli e oggi: voi siete la forza, la civiltà e la sapienza della specie,non dibattetevi tra le bestie,dissociatevi e forse si educheranno alla vostra sapienza. Non più compiacenti alla bestia, ora è il tempo di essere FIERE!/Immagine rimossa.

LIBERIAMOCI DELLA BESTIA ovvero di una cultura del cazzo” Milano, marzo  2016 Intervista in diretta a DANIELA PELLEGRINI in occasione dell’ uscita del suo ultimo libro”

Immagine rimossa.

 

poi/ NATO= aggressione militare / TTIP  = aggressione economica MANIFESTAZIONE NAZIONALE 7 maggio a Roma

Immagine rimossa.

 

Trasmissione del 20/4/2016 "Riflessioni femministe sul neoliberismo fascista"

Data di trasmissione
Durata 1h 4m 35s
Puntata del 20/4/2016 ” Riflessioni femministe sul neoliberismo fascista Immagine rimossa.

 

“….RESISTI RESISTI RESISTI../RIFLESSIONI FEMMINISTE SUL FASCISMO/L’ideologia fascista/Il fascismo neoliberista/Richiamare gli ambasciatori/ ANTIFASCISMO MILITANTE”

Immagine rimossa.

 

“….RESISTI RESISTI RESISTI…Resistenza è quando faccio in modo che ciò che non mi sta bene non accada più”  REFE,Relazioni Femministe-Digitalis Purpurea-dicembre 2012-Liberamente ispirato a “Disoccupate le strade dai sogni” di Alois Prinz

Immagine rimossa.

 

 

 

Trasmissione del 24/2/2016 "La verità attraverso l'immagine?"

Data di trasmissione
Durata 1h 2m 27s
“ La verità attraverso l’immagine?

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/26/podcast-della-trasmissione-del-2422016/

“L’area della comunicazione sociale è l’area della vita sociale.Sul terreno sociale, l’esistenza di un evento è strettamente legata al suo essere comunicato(…)La produzione di falsificazioni,mentre dissimula eventi sociali reali, ne propone una “rimodellizzazione” falsa.E’ vera e propria controrivoluzione che si svolge e si pratica sul terreno dei linguaggi”Memoria collettiva  Memoria femminista “2012

 

Immagine rimossa.<L’immagine-prova e l’immagine di guerra>Incontro con Alessia Lombardini

Immagine rimossa.

 

Barzelletta macabra/ DESMONAUTICA/La difficoltà di essere in difficoltà”

 

La Parentesi del 24/2/2016 "Barzelletta macabra"

Data di trasmissione
Durata 4m 22s

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/25/la-parentesi-di-elisabetta-del-2422016/#more-7973

 
Immagine rimossa.“Barzelletta macabra”

Gira in rete una barzelletta macabra che dice che Equitalia prende ai ricchi per dare ai poveri e che pagando le tasse si incrementerebbe lo Stato sociale.

Peccato che questi bontemponi che la raccontano, non sappiamo quanto in buona fede, dimentichino i toni trionfalistici con cui i dirigenti di Equitalia sciorinano i sempre nuovi traguardi raggiunti nell’esazione delle tasse. Ed altresì omettano di ricordare che quando non c’era Equitalia e non c’era una pressione fiscale così rapace, lo Stato sociale, invece, c’era e, per certi versi, funzionava.

Dai dati ufficiali al febbraio 2016, risulta che negli ultimi venti anni i tributi sono quasi raddoppiati, crescendo del 92,4%. Le tasse locali, tra il 1995 e il 2015 sono passate da 30 miliardi a 103 miliardi di euro con una crescita pari quasi al 250%. Nello stesso periodo le tasse centrali sono passate da 228 miliardi di euro a 393 miliardi, con un aumento del 72%. Solo dal 2011 al 2015 le imposte sugli immobili sono cresciute del 143%.

Lo Stato sociale, però, è stato smantellato pur in presenza di un rastrellamento fiscale ben più cospicuo per cui, evidentemente non è il risultato del prelievo fiscale, bensì è il frutto di una combinazione fra scelte politiche e lotte. E siccome, sempre i buontemponi della barzelletta di cui dicevamo, sembrano essere preda di amnesia totale, fanno finta di non sapere che le maggiori entrate fiscali andranno ai militari, alle missioni all’estero, alla Nato e agli apparati repressivi e di controllo che, bontà loro, si chiamano magistratura e forze dell’ordine. Naturalmente con il corollario dei finanziamenti pubblici ai partiti e alla stampa di regime.

Sono gli stessi che raccontano che c’è la crisi e che, per questo, dobbiamo stringere la cinghia, dimenticando che i miglioramenti in ogni campo in questo paese sono stati ottenuti in concomitanza con le lotte degli anni ’70 dove pure c’era l’ennesima crisi del petrolio per cui gli italiani andavano a piedi, il ministro di turno si faceva fotografare in bicicletta, salvo salire subito, a telecamere spente, sulla macchina di servizio, e la televisione ci raccontava quanto era bello riscoprire i cavalli e le passeggiate salutari.

Ma, ora, non c’è nessuna crisi, o meglio c’è un forte impoverimento di tutti sociali colpiti dal neoliberismo, impoverimento che è una vera e propria scelta ideologica del capitale in questa fase che mira a ridefinire i rapporti di forza sia all’interno della classe sia con le classi subalterne.

Il numero di poveri/e si allarga sempre più e sono sempre più poveri, gli occupati diminuiscono, i contratti a tempo indeterminato sono un privilegio, i liberi professionisti devono indossare l’abito divisa e lavorare come impiegati nei grandi studi, i quali a loro volta si concentrano e diventano succursali di multinazionali che si occupano di tutto, dalla pornografia  all’ecologia, dall’architettura  alle questioni legali. I dettaglianti sono destinati a scomparire, la grande distribuzione li farà fuori tutti. I lavoratori e le lavoratrici se ne facciano una ragione, sono stati turlupinati dai sindacati e dai partiti socialdemocratici, non avranno più l’orgoglio di essere operai/e.

Hanno venduto la primogenitura in cambio di un piatto di lenticchie.

Le proletarie torneranno a fare le collaboratrici domestiche contendendo il poste alle migranti. Vi ricordate quando si diceva che le migranti e i migranti facevano i lavori che le italiane e gli italiani non volevano fare più?. Tantissime donne sceglieranno la prostituzione, con buona pace dei moralisti e delle moraliste d’accatto che le giudicano o le vogliono salvare, mentre dimenticano che è un lavoro come un altro solo che non ha bisogno di laurea, curriculum e investimenti.  La piccola e media borghesia scompariranno, saranno drenati i loro risparmi e dovranno vendere la seconda casa e poi anche la prima. Ai pensionati/e  spetterà la dignitosa povertà, un vestito d’inverno e uno d’estate. Rivedremo tante persone senza denti, si allargherà la platea di quelli che chiederanno l’elemosina, di quelli che andranno ad abitare nei campi nomadi che tanto nomadi non sono perché la presenza degli italiani è numerosa e i bambini i cui genitori non pagheranno la mensa scolastica guarderanno i più fortunati mangiare, ritorneremo alla coabitazione.

In definitiva la popolazione  sarà gettata nella disperazione, e i media e la televisione, gli sceneggiati e i film commissionati ad hoc ci racconteranno un’Italia che non esiste. Realizzeremo così il modello americano: il paese più criminale di questo mondo e il popolo più disperato senza stato sociale, senza copertura sanitaria, dove la casa di proprietà o vivere una serena vecchiaia è un sogno irrealizzabile, dove non esiste contratto lavorativo nazionale e sistema pensionistico.

Il neoliberismo è la realizzazione della società americana. Conosciamo quello che ci aspetta, non dobbiamo fare dotte analisi, ce l’abbiamo sotto gli occhi. Saremo tutte/i  controllate/i come quegli animali che si credono liberi e hanno invece il cip sulle orecchie e  sono ripresi e ascoltati in ogni momento della loro vita.

Una situazione insostenibile  dove l’unica possibilità di sfogo è la guerra al vicino di casa, la rabbia verso il migrante, la guerra ad altri disperati/e che culmina poi nello sparare al dirimpettaio o ai colleghi sul luogo di lavoro oppure ai primi che incontri per strada.

Questo per la popolazione tutta, mentre quelli che lavoreranno direttamente per il sistema avranno il rango  di animali da cortile.

E’ un ritorno a tutto campo alla società ottocentesca dove la povertà è un crimine e il povero  un delinquente.

Dobbiamo domandarci perché tutto questo è successo negli Stati Uniti e sta succedendo anche da noi, altrimenti ci ritroveremo senza possibilità di lottare.

E’ necessario scardinare i concetti di legalità, di gerarchia, di meritocrazia, rifiutare la militarizzazione del proprio territorio e l’aggressione ai popoli del terzo mondo. Guardare con disprezzo quei disonesti intellettualmente che ci raccontano che la legge è al di sopra di tutto, che le istituzioni difendono tutti mentre, di volta in volta, scoprono una categoria sociale da demonizzare e contro cui scatenare la canea sociale, che ci raccontano che con il merito si va avanti, che i più capaci e meritevoli saranno premiati. La variante italiana che il venditore di noccioline può diventare presidente degli Stati Uniti

Renderci conto che il patto sociale è stato rotto in maniera unilaterale da chi detiene il potere e che quindi noi non dobbiamo più nulla a questo Stato, men che meno le tasse di qualsiasi tipo siano e qualsiasi tipo di balzello, dobbiamo rifiutare qualsiasi tipo di controllo, almeno assumerci il coraggio di dirlo, diffondere  alterità e difendere sempre chi si ribella a questo sistema.

Detta così potrebbe sembrare una bella petizione di principio, uno sciorinare idee difficilmente realizzabili.

Invece è più semplice di quanto si possa pensare perché tutte e tutti noi abbiamo cervello per pensare, occhi per vedere e possibilità di prendere posizione.

Tutte e tutti noi, tutti i giorni, ci troviamo di fronte a situazioni in cui possiamo intervenire.

Togliere ogni valenza politica alle lotte e ridurle a situazioni delinquenziali è lo strumento messo in atto dal potere.

E’ da lì che dobbiamo ricominciare, dagli appuntamenti politici: chiudere Equitalia, chiudere i covi del PD, uscire dalla Nato.

 

La Parentesi del 17/02/2016"Mistificazioni neoliberiste"

Data di trasmissione
Durata 5m 50s
“Mistificazioni neoliberiste”

 

Immagine rimossa. Il 15 gennaio scorso è stato varato dal Consiglio dei Ministri il decreto legislativo sulle depenalizzazioni che prevede che una serie di reati non rientrino più nella casistica penale, ma vengano sanzionati amministrativamente. Nei vari commi di legge per i comportamenti in questione viene sostituito al termine “è punito” il termine “è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria”. Si tratta di illeciti svariati che vanno da reati cosi detti “Contro la fede pubblica” e cioè, per esempio, uso di atto privato falso, falsità in scrittura privata a quelli “Contro la moralità e il buon costume”, da quelli in “Materia di Previdenza” come omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali a quelli in “Materia di circolazione stradale” come la guida senza patente, solo per citarne alcuni e varrebbe la pena che ognuno/a se li andasse a leggere tutti.
In questa casistica estremamente varia è contemplato anche il reato d’aborto, cioè l’aborto fuori dalle regole imposte dalla Legge 194/78. La Legge 194/78 prevede la possibilità di aborto solo se viene seguito un percorso obbligatorio amministrativo e medico e solo nelle strutture pubbliche. Se la donna che vuole abortire non segue questo percorso e se non lo fa nelle strutture pubbliche, fino all’altro giorno, la trasgressione era penale. A seconda della gravità della trasgressione era prevista la multa fino a centomila lire, vale a dire 51 euro, o la reclusione fino a sei mesi. Ora le regole e il percorso sono rimaste le stesse, ma la trasgressione è stata depenalizzata e soggetta a multa da 5 mila a 10 mila euro.
Detta così sembrerebbe una buona cosa. Invece no, perché non intacca assolutamente lo spirito della legge. L’aborto, che dovrebbe essere libero, continua ad essere permesso solo secondo il percorso e i dettami della norma che, per inciso, non funziona affatto perché abortire nelle strutture pubbliche è un terno al lotto visto l’altissimo numero di obiettori di coscienza, nel Lazio l’80%, ma con l’ introduzione di una multa così alta si attua un ulteriore filtro fortemente classista. Tutto quello che passa attraverso il denaro è una discriminante di classe e, quindi, dato che la possibilità di abortire delle donne delle classi subalterne in strutture pubbliche è estremamente limitata, queste non potranno più abortire con il fai da te o, meglio, dato che necessariamente continueranno a farlo ,non andranno neppure in ospedale in caso di complicazioni per non prendersi anche la salatissima multa.
Quindi è evidente la mistificazione portata avanti da questa cosi detta depenalizzazione che si configura in maniera evidente come una forma di controllo poliziesco e di classe estremamente forte.
Ma non è un decreto infelice o mal riuscito, fa parte di una modalità specificatamente neoliberista di affrontare il sociale.
Fa parte di questa tendenza anche la spinta ad una riforma carceraria sempre più tesa a sostituire per molti reati la detenzione in carcere con misure alternative.
I richiami della Corte europea dei diritti dell’uomo all’Italia che focalizzavano l’attenzione sul sovraffollamento, sulle condizioni igieniche precarie, sulla mancanza di aree di socialità o cortili per l’aria, hanno costituito la chiave per un cambio di indirizzo politico che dovrebbe prevedere un maggiore ricorso alle pene alternative e sostitutive della carcerazione che non è solo italiano, è un indirizzo di tendenza nei paesi occidentali.
Anche qui, detta così, sembrerebbe una buona cosa. Invece no. Certo, stare fuori è meglio che stare in carcere, ma questa disponibilità del sistema neoliberista nasconde una strategia di controllo sociale devastante.
Se a un detenuto/a viene concesso di “espiare” la pena a casa, al lavoro, nei servizi sociali o in una qualunque configurazione esterna, la sua vita sarà per legge soggetta a controllo e anche quella dei familiari, dei datori di lavoro, dei colleghi, di tutte e tutti quelli che sono con lui/lei in relazione . In questo modo è possibile mettere in atto un controllo sociale serrato sul territorio e addirittura costringere il territorio ad autoregolarsi. Ognuno/a diventerà controllore di se stesso e degli altri.
Così il cerchio è chiuso, la vita è diventata un carcere e chi si vuole sottrarre è molto più individuabile, circoscrivibile e neutralizzabile.
La partecipazione alle manifestazioni, l’impegno politico, i tentativi di organizzarsi in lotte sociali contro la mancanza di alloggi, il caro scuola, la disoccupazione.. sono sanzionate amministrativamente con multe salate con il chiaro intento di dissuadere da subito chi può avere intenzione di portare avanti una qualsivoglia lotta.
Le persone non solo sono sottoposte ad un forte controllo poliziesco ma dovrebbero imparare ad autocontrollarsi, controllare gli altri/e e piegarsi ad un asservimento volontario.
Possiamo solo autorganizzarci e tagliare i ponti con questa impostazione sociale, rifiutare il coinvolgimento, rifiutare ogni collaborazione, smascherare i veri obiettivi che sono sempre ammantati da nobili motivazioni.
Siamo tutte e tutti detenuti politici.

La Parentesi del 10/2/2016 "Falsa immagine"

Data di trasmissione
Durata 6m 52s

https://coordinamenta.noblogs.org/post/2016/02/11/la-parentesi-di-elisa…

 

“Falsa immagine”

Immagine rimossa.

Il patriarcato è un processo di sovranità, non c’è peggiore mistificazione che considerare il patriarcato capace di autoregolazione. E’ sempre un rapporto tra chi comanda e chi obbedisce.

Che cosa è il femminismo? assumere il rapporto patriarcale non come concluso e definito, ma come rapporto di forza che di volta in volta si modifica sulla base della lotta, dei modi della lotta e pertanto delle figure della progettualità.

Più precisamente l’analisi femminista oggi si scontra con il ruolo delle patriarche. Queste nella nostra stagione quando la vita intera è sussunta nel capitale e la valorizzazione dello stesso è prodotta da una società messa al lavoro con una femminilizzazione che caratterizza tutto il rapporto produttivo e lo sfruttamento tipico della società patriarcale, si diffondono sull’intero tessuto sociale. E’ a partire da questo momento che la condizione femminile si trasforma perché non riguarda più solamente la condizione materiale femminile ma anche le dimensioni dei soggetti produttivi socialmente.

Patriarcato e patriarche vivono in simbiosi. I disastri di questo connubio, di questa costituzione materiale, sono sotto gli occhi di tutte. Guerra di poche elette contro la stragrande maggioranza delle donne e degli oppressi tutti.

E questo passare, armi e bagagli, dalla parte del patriarcato corrisponde all’esigenza che lo stesso ha di spezzare le lotte della “classe donne” strumentalizzando la parola femminista. Si è data la stura ad una strana situazione, ambigua, perversa, ma prepotente e violenta che consiste da parte del patriarcato nello spostare i limiti, le forme e gli spazi del suo essere e del suo comando.

Da qui la necessità, il desiderio di ogni donna sfruttata, derisa, umiliata nella stagione neoliberista. I processi di disciplinamento delle donne con i metodi tradizionali lasciano ora spazi a nuove, diffuse e ramificate strutture di controllo. A questo punto diviene fondamentale il problema di come resistere, ribattere e riprendere l’iniziativa contro il nuovo assetto patriarcale nella stagione che questo ha cooptato chi per tornaconto personale o di ceto si è venduta. Il femminismo non è stato sconfitto, né riassorbito nelle dinamiche neoliberiste, è un insieme di singolarità che lottano contro il potere neoliberista e patriarcale che cerca di trovare nuove mitologie di coesione e di identificazione.

Il femminismo, come negli anni ’70, è un’affermazione di singolarità che si riconoscono in una lotta collettiva, è una forza di metamorfosi sociale e antropologica, è una concezione militante e creativa, non è solo un nuovo modo di vivere, anche se lo è, ma è soprattutto produzione di soggettività politica che si può realizzare solo producendo libertà.

Dentro il processo neoliberista che ha prodotto l’alleanza tra patriarcato e patriarche siamo tutte povere, vale a dire siamo tutte nelle mani di un potere che ci fa regredire e ci rende completamente asservite ad uno sfruttamento totale e a tutto campo.

Le patriarche mettono in atto un meccanismo per cui presentano l’emancipazione come il femminismo realizzato e concretizzato proprio nella loro posizione di privilegio al servizio del potere, e, allo stesso tempo, dietro questo specchio che riflette una falsa immagine lavorano per il neoliberismo. Approvano e sponsorizzano leggi che mettono sul lastrico tutte le altre donne togliendo loro indipendenza economica e possibilità di scelte autonome, attivano e sollecitano una legislazione securitaria e di controllo che rende la vita militarizzata, contrabbandando per sicurezza quella che invece è cultura dello stupro, promuovono la denuncia d’ufficio, togliendo quella che è la base di ogni scelta di autonomia non solo nostra ma di ogni soggettività, predicano l’antirazzismo e promuovono invece politiche di discriminazione avallando tutto le scelte che riguardano le politiche neocoloniali e di aggressione ai paesi del terzo mondo e la colonizzazione di interi territori interni, impostando così gerarchie di razza e di classe che rafforzano le gerarchie di genere in tutta la società, vanno a braccetto con chi sul fronte interno ed esterno pratica l’aggressione militare ed armata togliendo la discriminante antifascista, sponsorizzando gli USA, cavalcando gli opposti estremismi, dichiarandosi pacifiste e democratiche e arrogandosi così il diritto di essere loro ad esercitare violenza.

Coltivano i servizi sociali e l’associazionismo connotandolo con caratteri polizieschi e dietro l’ipocrisia della tutela ai minori puniscono le donne refrattarie a questo ordine sociale. Propagandano come positivi i ruoli delle donne nelle istituzioni repressive e di controllo cercando di farci dimenticare che le “tendine rosa” coprono un doppio tradimento, sempre quello di genere e quasi sempre quello di classe.

E il loro essere donne ed essere parte integrante della socialdemocrazia riformista mette in difficoltà e ricatta chi vuole contestare loro tutto questo.

Ma l’essenza, lo spirito e l’esperienza delle nostre lotte ci permette di diventare adulte sperimentando l’esercizio della verità. Il nostro essere femministe si realizza attorno alla possibilità di imporre una misura, un argine, una figura alternative alla miseria e alla tristezza di questo mondo.

La costruzione del femminismo dà voce a tutte le espressioni dell’esistente e riesce a rivelarle. Per questo smascheriamo il modello neoliberista di democrazia, di liberazione che si presenta e si definisce come corruzione delle singolarità. Battersi per la libertà è l’orizzonte verso il quale il femminismo si indirizza.

Si tratta di praticare un’interazione continua di singolarità, di antagonismo e di progetto costituente.

Il patriarcato impone la guerra alle donne come fondamento di ogni ordine politico utilizzando le patriarche come ascari. Da qui la necessità della guerra alla guerra.

Le patriarche non sono nostre sorelle, stanno dall’altra parte della barricata.

Il patriarcato ci fa la guerra, non dobbiamo credere alle sirene che ci raccontano di una pace illusoria. Il femminismo è trasmutazione vitale della condizione di morte delle donne che ci è comunemente imposta, è creatività di affetti, di relazioni, di militanza le cui intensità sono irriducibilmente singolari e plurali.

 

La Parentesi del 3/2/2016 "Stato sociale"

Data di trasmissione
Durata 5m 5s
“Stato sociale”

 

Immagine rimossa.

Lo stato sociale si è presentato, a partire dagli anni ’30 e, poi, soprattutto dalla seconda metà del XX secolo, come tentativo da parte del capitale di contenere la lotta di classe e magari di regolamentarla dentro le sue esigenze di sviluppo  cioè della valorizzazione capitalistica della forza lavoro. Le politiche dello stato sociale hanno rappresentato la risposta alla paura determinata dalla rottura dell’ordine capitalistico provocata dalla rivoluzione d’ottobre. L’affermazione, l’espansione dello stato sociale è stata, da subito e da sempre, condizionata dallo spessore e dalla qualità della lotta di classe dell’offensiva operaia durante i vari cicli che hanno percorso il XX secolo.

Ha contato anche la necessità da parte del capitale di creare una recettività all’altissima offerta di prodotti industriali, ma lo stato sociale ha rappresentato soprattutto il tentativo di devitalizzare le ondate di lotta della classe operaia.

La formula capitalista della stagione d’oro dello stato sociale, cioè dopo la fine della seconda guerra mondiale, è la dimostrazione dello spessore a cui erano arrivate le lotte operaie. In quella stagione il capitale ha stretto alleanze con i sindacati e con la socialdemocrazia al fine di legittimare “democraticamente” il proprio potere coniugando questa legittimazione con gli interessi volti a sollecitare una domanda interna per garantire i processi di valorizzazione del plusvalore.

Questa impostazione, continuamente investita da successive ondate di lotte operaie, è stata interrotta, in maniera drastica e per scelta di parte, dal grande capitale a guida statunitense quando ha optato per il neoliberismo. E’ stato un passaggio nodale. La rottura, la scelta neoliberista ha comportato una trasformazione dei soggetti in campo. Il neoliberismo mette tutta la società al lavoro e mette tutto il mondo sociale sotto il proprio comando.

Questa risposta del capitale di superare l’azione di classe smantellando lo stato sociale è quindi una scelta ed è avvenuta attraverso una serie di processi di privatizzazione, presentati come necessari e utili per la collettività e avallati come tali da sindacati e socialdemocrazia. Tutto ciò all’interno dei paesi dell’area capitalistica accompagnato da una spinta e da una accelerazione dei processi di globalizzazione economica che trovavano campo libero in seguito al crollo dell’Unione Sovietica che, a torto o a ragione, veniva identificata con il comunismo.

Margaret Thatcher e Ronald Reagan hanno aperto la breccia nello stato sociale, ma chi si è prestato ad ucciderlo è stato Tony Blair e i suoi epigoni socialdemocratici.

Se consideriamo lo stato sociale per quello che è sempre stato, cioè non come concezione statale, ma come prodotto delle lotte operaie, cioè manifestazione tangibile della lotta di classe, allora comprendiamo che la battaglia per lo stato sociale è ancora viva perché è la manifestazione della capacità del movimento di classe di incidere su tutti i nodi del processo sociale.

Ma questo non può essere attuato cercando mediazione e contrattazione, che sono state chiuse in maniera unilaterale e a tutto campo, dal capitale, bensì soltanto recuperando l’offensiva di classe degli strati sociali attaccati dal neoliberismo, platea sociale che proprio il neoliberismo ha reso più vasta e variegata. Solo così sarà possibile, a ricaduta, riottenere quello che è stato tolto e rispondere alle nuove esigenze dettate dalla sensibilità della nostra stagione. La centralità è la lotta politica ed è inutile inseguire i discorsi fuorvianti e parziali sulla crisi o sulla sostenibilità. Lo stato sociale è il sottoprodotto di una lotta politica che ha mire ideali molto più alte e che si pone il problema dell’uscita dalla società del capitale.  Una nuova stagione di lotte non deve lasciare al capitale né alla sua manifestazione organizzata, lo Stato, né ai suoi surrogati, il comando e il monopolio di gestire quello che è nostro.

Gli aspetti dello sfruttamento sono molteplici, pertanto, molte modalità possono e devono prodursi per costruire un nuovo programma politico incentrato su desideri e spinte rivoluzionarie perché solo così nel presente, a ricaduta, lo stato sociale verrà proposto dalla controparte come possibile mediazione.

Lo stato sociale non ha soltanto rappresentato un’esperienza storica, ma è stato anche un’esigenza, un’aspettativa che, per molti versi, si è realizzata.

Bisogna ricostruire le modalità, le occasioni, la scansione per cui si è affermato, tenendo conto dei nuovi soggetti che sono presenti oggi nella stagione neoliberista.

La Parentesi del 27/1/2016 "Davos"

Data di trasmissione
Durata 7m 10s
“Davos”

 

Immagine rimossa. Il neoliberismo, fase attuale dell’autoespansione del capitale sottopone la vita alla guerra e quest’ultima impone a tutti una conseguente violenza esercitata e/o subita.

Disoccupazione, povertà, conflitti etnici e religiosi costituiscono la trama dello sviluppo di questo modello. I ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre di più e sempre più poveri.

Sono stati rimossi con scelta voluta i grandi dispositivi della sanità pubblica, del pensionamento universale, dell’assistenza generalizzata ai deboli della società.

In Europa, perché in Usa sono stati già realizzati da tempo, questi processi, promossi dalla socialdemocrazia, risultano particolarmente veloci e precipitosi.

Il comando capitalista in questa stagione dalla fabbrica si è esteso all’intera società. La modalità dello sfruttamento si espande, instaura tecniche di appropriazione capitalistica nuove e, per la stragrande maggioranza delle persone, insostenibili. La sussunzione della società nel capitale oggi allarga indefinitamente lo sfruttamento sull’intero terreno sociale.

Militari, magistratura, media, polizia, Ong, sono messi al servizio di una lotta scatenata per battere un nemico esterno ed uno interno, per riorganizzare una gerarchia dei rapporti internazionali e ridefinire i rapporti di classe all’interno dei singoli paesi. Questo significa distruggere popolazioni, respingerle indietro di secoli, gettare nella disperazione le popolazioni del terzo mondo e i cittadini/e dei paesi occidentali.

Oggi assistiamo alla teoria e alla pratica che la guerra è la prima giustificazione dell’ordine e della sicurezza. La repressione da essere una situazione congiunturale oggi è un dispositivo nei confronti di quelli che vengono espulsi dai benefici del contratto sociale.

Le guerre neocoloniali ammantate da guerre umanitarie sono un passaggio voluto per ridefinire i rapporti di forza internazionali.

Per questo ogni anno a Davos cittadina svizzera del Canton Grigioni, si riuniscono i grandi interessi occidentali per fissare le linee guida dei processi di sfruttamento sulla realtà planetaria. L’incontro è promosso dal Forum economico mondiale, WEF ed è conosciuto proprio come Forum di Davos, associazione, bontà sua, senza fini di lucro, con sede a Cologny, vicino a Ginevra. E’ finanziata dalle circa mille imprese associate, in genere multinazionali con fatturato superiore ai 5 miliardi di euro. Le imprese associate sono quasi sempre leader, nel proprio settore o Paese, e hanno un ruolo chiave nell’orientarne gli sviluppi futuri. La fondazione opera anche come Think Tank e pubblica numerosi documenti di approfondimento, sotto forma di report e analisi di scenario sui temi della crescita economica, della finanza, della sostenibilità ambientale, dello sviluppo sociale e della salute.  La struttura organizza alla fine di gennaio, un incontro tra esponenti di primo piano della politica e dell’economia internazionale con intellettuali e giornalisti selezionati, per discutere delle questioni mondiali che, per i loro interessi, vengono ritenute più importanti. L’incontro è a inviti e si tiene a porte chiuse. In occasione del meeting, i vertici delle imprese associate alla fondazione incontrano una ristretta platea di leader politici, di organizzazioni non governative, sempre utili, di esponenti della comunità scientifica, di leader religiosi e di giornalisti. Il programma dei 5 giorni dell’evento riguarda temi chiave del dibattito mondiale dettati dal punto di vista occidentale e in particolare statunitense.  L’evento, quindi, organizzato dalle grandi potenze finanziarie serve per confrontarsi con i poteri statali e, soprattutto, con il potere imperiale degli Stati Uniti. Davos rappresenta bene la struttura attuale del potere globale gerarchizzato: all’apice ci sono gli Usa e in un rapporto di compartecipazione, ma sempre subalterno, le potenze multinazionali e i governi dei paesi capitalistici avanzati.

Davos è la cartina di tornasole che ci dice qual è la composizione imperialista, come sono articolati i diversi livelli di controllo all’interno del sistema, di esercizio della guerra, e della repressione all’esterno e all’interno contro i popoli del terzo mondo e i cittadini dei paesi occidentali. Questo è il vero ordine del giorno in quella riunione.

Davos è una rappresentazione teatrale del neoliberismo. Il capitale diviene sempre più parassitario e per questo deve ricorrere alla guerra preventiva e si è dato strumenti adeguati trasformando gli eserciti in strutture di controllo per poter intervenire in tutti gli spazi del mondo. E’ stata costruita una rete di dispositivi polizieschi e militari che si integrano e si sostituiscono vicendevolmente. E’ un reticolato di presenze nel territorio il cui principale obiettivo è sconfiggere l’esigenza di libertà, coadiuvato da organizzazioni non governative, banche che fingono di essere benefattrici, media che fingono di raccontare la cronaca.

E’ un salto di qualità nell’organizzazione capillare della violenza legittima.

Perciò i tentativi di sottrarsi a questo monopolio come quelli portati avanti in Brasile, in Argentina, in Bolivia, in Ecuador, in Uruguay, da Kirchner o da Correa, da Chavez prima e da Maduro dopo, o da Mujica o da Rousseff sono il male assoluto nel mirino dell’impero e sottoposti ad attacchi concentrici perché devono essere rimossi con le buone o con le cattive. Ma non credano i benpensanti occidentali di ricavare un qualche ritorno dalle politiche neocoloniali così come è successo nella stagione coloniale.

I territori dei paesi a capitalismo avanzato sono divenuti un luogo dove non si riesce più a distinguere azioni di polizia e guerra a bassa intensità e le città saranno pattugliate come le città della Cisgiordania.

“Nel lungo periodo, l’organizzazione si potrebbe adattare a seconda della situazione. Si potrebbero affrontare sfide quali la guerra nucleare” Questo è quanto ha dichiarato pochi giorni fa, nell’incontro a Davos di quest’anno, l’ineffabile segretario della Nato, Stoltenberg.

I popoli del terzo mondo sono messi al lavoro come schiavi e le popolazioni occidentali sono lasciate senza lavoro o con lavori precari o di risulta. Il loro dramma attuale è di non prendere coscienza del perché la povertà stia diventando una dimensione comune e l’ostentazione della ricchezza sia diventata la sola morale.