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I Nomi delle Cose

Trasmissione del 7/01/2015 "Violenza maschile sulle donne.....ricominciamo da tre"

Data di trasmissione
Durata 1h 8m 34s
Puntata del 7/01/2015

Buon Anno a tutt* con la prima trasmissione del 2015!

Immagine rimossa.
“Ovunque l’uomo soffre nella società maledetta, ma nessun dolore è paragonabile a quello della donna” Louise Michel/ Violenza maschile sulle donne…..ricominciamo da tre…” prima parte/La Parentesi di Elisabetta <Vigili e Chomsky>/ Violenza maschile sulle donne….ricominciamo da tre….” seconda parte

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/01/09/podcast-della-trasmissione-del-7012015/

La Parentesi di Elisabetta del 7/01/2015 "Vigili e Chomsky"

Data di trasmissione
Durata 6m 2s
“Vigili e Chomsky”

I/le vigili urbani/e di Roma sono oggetto di un attacco tanto insensato quanto infondato.

L’amministrazione capitolina di fronte al fatto che i vigili non hanno aderito ad una prestazione straordinaria-volontaria in concomitanza con il Capodanno (ma non erano quelli/e attaccati ai soldi?) ha modificato i turni di lavoro, commettendo un palese sopruso, e ha richiamato in servizio personale in ferie o a riposo violando consapevolmente lo strumento della reperibilità che andrebbe utilizzato solo per le catastrofi e, si

ccome a buttar lì numeri fa sempre effetto ha sparato la cifra di 835 dipendenti coinvolti saltando a piè pari ferie…riposi…maternità…

Ma, d’altra parte, cosa aspettarsi da un sindaco che è dirigente del Pd, medico trapiantista e che ha nominato Alfonso Sabella assessore alla Legalità e Trasparenza che nel 2001 venne nominato “coordinatore dell’organizzazione, dell’operatività e del controllo su tutte le attività dell’amministrazione penitenziaria in occasione del G8 di Genova”. Rientravano tra queste attività anche quelle tristemente note che si svolsero a Bolzaneto. Sotto gli occhi di tutti è che il suo comportamento in quell’occasione non è stato certo irreprensibile, anzi, il Tribunale di Genova, anche se escluse il dolo, considerò tuttavia tale comportamento “gravemente colposo”. Pur emettendo una sentenza di archiviazione, il Tribunale invitò a tener conto in altre sedi della correttezza del suo comportamento, per prendere le opportune misure disciplinari. Misure che, come si sa bene, non furono mai adottate.

Ma i vigli urbani se ne facciano una ragione, sono in buona compagnia di netturbini…infermieri…insegnanti…ferrovieri…perché i veri destinatari di questo attacco sono i lavoratori pubblici/che tutti/e etichettati/e come fannulloni.Immagine rimossa.

Il metodo usato dal neoliberismo è sempre lo stesso. Si individua una categoria sociale a cui addebitare le colpe del malessere collettivo e da dare in pasto ai cittadini /e.

Quindi, di volta in volta..i pensionati sarebbero parassiti che costano troppo alla collettività….i commercianti , i liberi professionisti, i piccoli imprenditori evasori fiscali a cui addebitare il tracollo dello stato sociale…..è la traduzione nel tessuto sociale della truffa della crisi economica che serve a giustificare privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione di massa, smantellamento dello stato sociale, della sanità e dell’istruzione pubblica, svendita delle imprese statali ai privati, possibilmente alle multinazionali.

In pratica vengono adottate la strategia della distrazione che consiste nel distogliere l’attenzione dai problemi importanti facendo infervorare i cittadini e le cittadine su temi di volta in volta scelti allo scopo e la strategia della gradualità facendo accettare misure inaccettabili passo dopo passo. Si perde così di vista la totalità del progetto in un susseguirsi di provvedimenti sempre separati fra loro.

Il neoliberismo è riuscito a mettere giovani contro anziani, dipendenti pubblici contro dipendenti privati, il popolo della partita IVA contro i salariati, i poveri contro i miserabili….in definitiva ha rotto la solidarietà tra lavorator/trici e la solidarietà tra gli oppressi/e, compresi uomini e donne al di là di belle parole e pelose iniziative.

E’ questo che bisogna oggi ricomporre: tutti gli strati sociali e i ceti massacrati dal neoliberismo che per la loro sopravvivenza possono e devono unirsi contro il tentativo, per ora riuscito, di naturalizzare il neoliberismo nella società.

E’ questo infatti il senso della parola “riforme” e della così detta “modernizzazione”.

E’ questo il ruolo dei quisling, degli ascari, dei collaborazionisti, dei sindacati concertativi che hanno accettato il principio, assolutamente contrario allo spirito e agli scopi dello sciopero, di un’autorità, come se questa fosse neutrale e super partes, che dello sciopero stesso programmi e pianifichi lo svolgimento perché non arrechi danno, dicono loro, alla cittadinanza.

E’ questo il ruolo dei governi d’ispirazione presidenziale e piddina che si sono succeduti in questo paese a partire dal governo D’Alema.

I/le vigili urbani/e, di fronte a questo accanimento violento e strumentale, dovrebbero chiedersi come si sono comportati/e quando gli attacchi sono stati rivolti ad altri settori e dovrebbero riflettere sul fatto che dal sentirsi lavoratori e lavoratrici appartenenti al mondo del lavoro e, in senso lato, di sinistra, hanno fatto un percorso per cui premono per entrare nel comparto sicurezza e hanno voluto essere armati.

Forse loro non hanno letto Chomsky e i suoi dieci punti, ma Renzi e sodali sì, e utilizzano, come è costume dell’attuale socialdemocrazia riformista, le categorie di sinistra per meglio stravolgere la comprensione dei loro obiettivi e naturalizzare anche qui da noi il neoliberismo e una società di tipo statunitense, ribadendo il modello degli USA che si presentano e propongono come Stato del Capitale.

Il neoliberismo è una società medioevale, ottocentesca e nazista ed è un crimine contro l’umanità.

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/01/08/la-parentesi-di-elisabetta-del-7012015/

Trasmissione del 17/12/2014 " Terrorismo, un marchio itinerante/Incontro sul genere con le studentesse del Virgilio"

Data di trasmissione
Durata 1h 9m 43s
Puntata del 17/12/2014

Questa è l’ultima puntata del 2014, riprenderemo le trasmissioni mercoledì 7 gennaio 2015. Nei mercoledì delle feste manderemo in onda delle sintesi di argomenti che pensiamo possano essere utili alla riflessione.

Ciao!  le coordinamente

 “L’odio di classe è molto forte nelle classi dominanti e si esprime attraverso la <legalità> ma viene definito violenza solo se è esercitato dalle classi subalterne/Terrorismo: un marchio itinerante/Inventarsi la giornata/Incontro con le studentesse del Liceo Virgilio”

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http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/12/19/podcast-della-trasmissione-del-17122014/

La Parentesi di Elisabetta del 17/12/2014 "Inventarsi la giornata"

Data di trasmissione
Durata 6m 33s
“Inventarsi la giornata”

  Immagine rimossa.Il capitalismo nella sua essenza autoespansiva ha la necessità di distruggere le economie di autosussistenza e marginali.

La distruzione delle economie di sussistenza comporta le “guerre umanitarie”, maniera elegante per giustificare il furto delle materie prime dei paesi del terzo mondo e la strumentalizzazione del tema dei diritti civili e in particolare di quelli delle donne perché con questa scusa vengono scatenate in quegli sfortunati paesi guerre interetniche e religiose che mandano al potere governi obbedienti ed asserviti all’occidente, quasi sempre integralisti e fondamentalisti con l’affossamento dei tentativi di costruzione di società che rivendicano laicità ed indipendenza.

La distruzione dell’economia marginale, invece, viene attuata soprattutto  nei paesi a capitalismo avanzato e qui da noi si manifesta con la criminalizzazione dei lavori di risulta che servono alla sopravvivenza materiale e immediata di persone e famiglie.

Naturalmente con “nobili motivazioni” .

I parcheggiatori abusivi sarebbero violenti e vengono equiparati a quelli che chiedono il pizzo, ma, guarda caso, vengono sostituiti con società che sono “autorizzate” a gestire i parcheggi e che, a loro volta, magari, fanno parte di filiere che si occupano dei campi più disparati. I bagarini, che non si sa che danno possano fare, vengono denunciati, multati e i loro biglietti sequestrati. Lo spettatore, però, non ha nessun vantaggio, anzi non può più comprare un biglietto all’ultimo momento, bensì ha l’aggravio del costo del diritto di prevendita che viene d’autorità incluso nel biglietto stesso.

Poi ci sono i così detti venditori abusivi che non sono altro che povera gente che cerca di sbarcare il lunario mettendosi ai margini dei mercati e che sono oggetto di veri e propri raid con sequestro della mercanzia, con scene di disperato dolore che sfociano qualche volta nel suicidio anche con modalità forti come il darsi fuoco.

Queste situazioni sono molteplici e si trovano negli ambiti più disparati, ma il tratto che le unifica è la necessità, non la scelta, di mettere insieme il pranzo con la cena e magari di mangiare almeno una volta al giorno.

La lettura della società divisa in classi è espulsa dal linguaggio e dall’immaginario. La povertà è una colpa dovuta a incapacità, indolenza, indole indocile e asociale.

E l’umana pietà è stata asfaltata in nome della logica del profitto.

I lavavetri sono letti come assillanti scansafatiche, chi chiede l’elemosina come partecipe di fantomatici racket malavitosi con quantità di denaro nascoste sotto il materasso, i Rom come ladri, asociali, sfruttatori di bambini. Ma pensate veramente che a qualcuno/a faccia piacere andare in giro tutto il giorno con la pioggia e con il sole a prendersi gli insulti della gente?

Gli africani/e, scappati/e dai loro paesi, dove la piccola proprietà agricola è stata smantellata dalla rapacità delle multinazionali occidentali, dove le bidonvilles delle città si sono ingrandite a dismisura per la fuga da campagne ormai incoltivabili, approdano da noi nella speranza di trovare occasioni per sopravvivere e magari per aiutare la famiglia, anche perché abbiamo fatto loro credere che siamo paesi felici, buoni e ricchi. E, invece, trovano rastrellamenti, detenzione amministrativa, rimpatri forzati e guerra fra poveri.

Ma in un crescendo, non rossiniano, ma osceno e violento, si dà una vera e propria  caccia ai falsi invalidi o a chi continua a riscuotere la pensione della nonna morta, come se ci fosse qualcuno che non preferirebbe un vero lavoro al vivere di espedienti.

Ma, guarda un po’, la maggior parte di questi casi si trovano al sud, come se questo fosse dovuto ad una caratteristica propria della gente meridionale. Si introduce, così, oltre alla condanna sociale anche un forte connotato di razzismo e si dimentica che tutto ciò è legato al ritardo economico di quelle aree geografiche nato in concomitanza con l’unità d’Italia che ha ridotto e trattato quei luoghi come colonie interne.

E allora? Una volta smascherati e tolto il sussidio dell’invalidità civile, di cosa campano?

Andranno a ingrossare la schiera di quelli/e che non hanno casa, che sono costretti a vivere nelle roulotte, nei campi di accoglienza che tanto accoglienti non sono?

Le economie marginali vengono perseguitate come vere e proprie forme delinquenziali e il neoliberismo instaura business sugli emarginati attraverso onlus e ong, associazioni e centri studi…… perché tutto viene perseguito, inglobato, controllato e messo a profitto. Ma i veri delinquenti sono quelli che dirottano le ricchezze del paese, che pure ci sono, verso gli apparati industriali-militari…..le forze di sicurezza…. le missioni all’estero ….. il mantenimento delle truppe americane nascoste dietro la sigla Nato….

Il neoliberismo è metabolismo sociale e si è infilato in ogni anfratto della vita…..ha destrutturato la capacità di indignarsi…attraverso il linguaggio politicamente corretto, legalista e violento dei sindaci del Pd che hanno la responsabilità maggiore nell’ aver introdotto la cultura poliziesca del sociale. La maggior parte della gente non si domanda più perché tante/i si rifugiano nelle stazioni, dormono negli aeroporti o negli ospedali, non si chiede perché, vuole soltanto non vedere, non essere disturbata da questa umanità dolente e non si rende conto che il crinale che divide emarginati e cittadini/e legittimi/e si assottiglia sempre più.

Solidarietà affettuosa e partecipe alle povere e ai poveri, a chi è costretto a sfidare tutti i giorni la miseria e ad inventarsi la giornata.

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/12/18/la-parentesi-di-elisabetta-del-17122014/

Trasmissione del 10/12/2014 "Tecnologia e controllo"

Data di trasmissione
Durata 1h 2m 38s
Puntata del 10/12/2014

 ” La tendenza è quella di far diventare ognuna/o guardiana/o di se stessa/o e delatrice/tore nei confronti delle altre/i” 

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” Tecnologia e controllo/ Emancipazione, liberazione, libertà/Il corpo”

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/12/12/podcast-della-trasmissione-del-10122014/

 

La parentesi di Elisabetta del 10/12/2014 "Emancipazione, liberazione, libertà"

Data di trasmissione
Durata 6m 5s

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/12/11/la-parentesi-di-elisabetta-del-10122014/

 

“Emancipazione, liberazione, libertà”

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C’è una domanda fra le tante che occorre porsi, senza giochi di parole, in forma diretta.
Perché un decennio di lotte femministe negli anni ’70 permettono ad alcune di accettare il presente omettendone la violenza e la miseria e magari tessendone le lodi?
Sicuramente influisce l’aver ripudiato il materialismo storico, il materialismo dialettico, la lotta di classe, la lotta di genere, oggi ritenute obsolete, per cui il punto di approdo è un emancipazionismo liberale, un liberalismo umanitario che santifica lo stato delle cose presenti e, quindi, la vittoria della cultura della stanchezza, della ripetitività e dell’asservimento quando non del silenzio e della complicità.
Si potrebbe disegnare una topografia di questo magma, ma sicuramente spiccano le figure di quelle che dichiarano superato il patriarcato e la società divisa in classi. Magari attraverso il politicamente corretto , la presunta incorreggibilità della natura umana, l’impossibilità antropologica della felicità, per concludere, in ultima istanza, che le donne stanno bene e che ,comunque, sono in un continuo progredire.
In definitiva la profondità del genere si è capovolta in un’estrema banalità.
Per rispondere alla domanda che ci siamo poste possiamo dire senza se e senza ma che la responsabilità non esclusiva, ma principale, è delle socialdemocratiche e riformiste, il cui pensiero e le cui azioni camminano con le gambe delle patriarche.
Anziché prendere consapevolezza della complessità sociale, delle fratture che, per certi versi, si sono accentuate mascherate dietro un cambio di abito di scena, interiorizzano i valori di questa società e ci vorrebbero far girare a vuoto cercando di sopprimere in tanti modi le alternative.
Si prestano, così, a perpetuare il dominio di classe e di genere e sono approdate a colonizzare amministrativamente la vita privata, l’esperienza individuale e collettiva. Disoccupazione, precarizzazione, lavoro sempre più monotono, servile, disumano è il paradosso della realtà.
E’ qui il carattere propriamente tragico degli anni che viviamo che ha le radici dentro le condizioni sociali nei rapporti fra gli esseri umani e che, nella sua ultima versione, si manifesta con la femminilizzazione del mondo del lavoro.
La violenza, la gerarchia, l’alienazione che era propria della famiglia, oggi viene proiettata e fatta vivere alla società tutta.
E’ il principio guida del neoliberismo. Siccome alcuni non hanno dei diritti, questi si tolgono a chi ce l’ha.
Il loro impegno è avere legittimazione abrogando il conquistato e rimuovendo e demonizzando il nuovo. Vogliono toglierci quello che è l’assunto fondante del femminismo, il sogno , l’ipotesi, la costruzione di un mondo in cui autorealizzarsi.

L’emancipazione è lo strumento, la liberazione il progetto, la libertà il soggetto.
La libertà, solo la libertà, è l’esplicitazione del sapere , delle possibilità intellettuali ed affettive e, quindi, di una vita completamente alternativa al plus-valore capitalistico e alla società patriarcale.
La libertà è il presupposto, la condizione di una vita degna di essere vissuta e occasione della costruzione dell’essere.
La libertà si afferma, dunque, dentro il rapporto dialettico tra lavoro materiale, lavoro immateriale, lavoro vivo e attività sociale. E’ liberarsi dal peccato, dalla pesantezza del reato e del reale, è sottrarsi agli orizzonti stabiliti dal potere, è produzione di soggettività, è costituzione di nuove realtà, è alternativa totale alla colonizzazione neoliberista della vita.
E’ la capacità, il desiderio di rompere con il comando patriarcale e di dispiegare una vita affettiva, autofondante, insieme autoappagante ed autonoma.
Questa società dà per scontate e ci fa interiorizzare la solitudine, la miseria, la paura, la rassegnazione, l’idea che non ci può essere niente di meglio, in definitiva naturalizza tutto questo e rompere con tutto questo è il primo atto di libertà.
La libertà è ribellione, è forza di dire no, è rifiuto della negatività che impregna i valori dominanti, passa attraverso una figura che riesce a rappresentarsi in tutte le sfere del divenire dell’essere. E’ un elemento positivo della costruzione di un essere che si cala nella sua singolare esistenza.
Le difficoltà, gli ostacoli creati dalla struttura del potere neoliberista e patriarcale non cancellano e non sminuiscono l’affermazione della libertà come elemento essenziale della vita. Una libertà che è quella dei corpi, della costruzione materiale di una vita possibile e degna.
La libertà ha ed è un fondamento materiale. Essa è lì, come l’hanno creata le lotte di classe e di genere, è produzione di soggettività, è lavoro e vita viva.
La libertà si presenta immediatamente come potenza costruttiva, positiva, come costituzione alternativa, come potenza materiale,
In definitiva la libertà significa liberare la liberazione.

 

Trasmissione del 3/12/2014 "Angela Davis e Ferguson/ Liceo Manara Occupato"

Data di trasmissione
Durata 1h 1m 59s

Puntata di mercoledì  3 dicembre 2014 

 ” Una donna viene sempre annunciata dal termine <donna> mentre è estremamente raro per un uomo venir designato con il termine <uomo>  ” Colette Guillaumin

 

” Strumenti di controllo: razzismo, autodisciplinamento,socialdemocrazia,fascismo”

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 ” Dal regime disciplinare a quello del controllo”

 Approfondimento 
“Incontro di genere e sul genere con le studentesse del Liceo Manara occupato”

La Parentesi di Elisabetta del 3/12/2014 "Dal regime disciplinare a quello del controllo"

Data di trasmissione
Durata 6m 14s

“Dal regime disciplinare a quello del controllo”

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Il patriarcato, così come si è innestato nel capitalismo è stato costretto dalle lotte femministe degli anni ’70 ad una mutazione e pertanto il concetto e la pratica del suo dominio si sono trasformati, dal regime disciplinare a quello del controllo.Di conseguenza questa nuova situazione implica grandi modificazioni sul terreno politico di concettualizzazione del patriarcato sia nella sua teoria che nella sua pratica.

Crollano, infatti, in questo passaggio, le sue caratteristiche precipue così come si manifestavano prima degli anni ’70, ed oggi si impone come cooptazione e promozione sociale di quelle componenti del genere storicamente oppresso che si prestano a perpetuare il dominio nei confronti di tutte le altre donne e degli oppressi tutti.

Tanto più grave è questo in quanto le condizioni socio-economiche ottocentesche in cui viene ricondotta la società, rendono ancora più penosa la condizione delle donne.

Il patriarcato, in questa stagione si è ridefinito accentuando le sue caratteristiche ma mascherandole dietro un emancipazionismo che si risolve in un controllo della vita a tutto campo e in un avvilimento della stessa divenuta merce.

Ma le patriarche ,quelle che hanno fatto propri i valori della società neoliberista e patriarcale, non si illudano, il loro potere è come quello dei soldi che sono dei buoni servitori ma dei cattivi padroni.

Disoccupazione, povertà, disperazione, costituiscono la trama dello sviluppo del modello neoliberista. Il movimento femminista non può più consistere nella semplice denuncia di questa situazione, non ci possiamo più muovere sulla base della percezione e della definizione delle nuove figure che perpetuano il patriarcato, tanto più che in questo momento si accentuano le forme di esclusione delle realtà alternative. Dobbiamo cominciare a delineare e a declinare alcune linee di ipotesi uscita o almeno a provarci tanto più necessarie dato che le patriarche, in cambio della loro intelligenza e della loro anima, hanno dato la capacità e/o possibilità di essere le “infiltrate” nel femminismo e fra le donne tutte.

E’ chiaro, perciò, che una azione politica efficace da parte del movimento femminista non può essere pensata se non a diretto contatto di un immaginario di uscita da questa società e si dispiega attraverso la difesa della più larga libertà intesa nel senso più compiuto e onnicomprensivo del termine.

Cominciare da un dibattito con un nuovo lessico politico che possa rappresentare un discorso costituente perché costruire un linguaggio non è un’operazione neutrale. E che non sia semplicemente descrittivo, ma che si distenda in maniera articolata per veicolare e far emergere le istanze di rottura che il movimento femminista ha costruito e costruisce contro l’ordine patriarcale, tanto più nel momento in cui le patriarche si mettono al servizio di una nuova, ma sempre vecchia, esigenza di governo e di governabilità capitalista e patriarcale.

Collegare le definizioni del nuovo lessico ad un’azione politica che accumuli esperienze e resistenze contro la ristrutturazione patriarcale nei rapporti di genere e delle relative relazioni di dominio.

Costruire un linguaggio nuovo, non quello stereotipato, manipolatorio, per rappresentare la nuova realtà, sprazzi consapevoli di una nuova società, questo è il nostro compito.

Il patriarcato, oggi, nella sua declinazione neoliberista sottopone e fa la guerra alla vita delle donne.

Sta a noi estrarre, generalizzare la potenzialità del movimento femminista nella prospettiva della nostra liberazione, percorso interrotto e bloccato dal tarlo socialdemocratico e dalla condizione di guerra ai diritti conquistati nella quale oggi viviamo.

Il patriarcato non può definirsi oggi se non a partire da questa continua attività anestetizzante e narcotica del dolore delle donne.

Da qui il senso della nostra militanza che si pone come esercizio immediato della lotta e della resistenza, che nasce dal rapporto tra teoria e azione, che emerge dalla definizione comune del riconoscimento del nemico, che ha la capacità di attraversare l’intero processo geopolitico e di vivere la lotta femminista come produttrice di trasformazione dell’orizzonte sociale.

Ora, con questa nuova realtà del lavoro che ha emancipato le donne e con la femminilizzazione del lavoro tutto, il neoliberismo ha sviluppato nuovi criteri politici di controllo sull’intera società. Il comando deve oggi estendersi con le modalità che aveva nell’ambito familiare e nella fabbrica all’intera società e la famiglia e la fabbrica divenute società rendono manifeste le contraddizioni , le miserie, la gerarchia, l’autoritarismo e l’ipocrisia che erano e sono loro proprie..

Il tessuto sociale ne è sconvolto, le figure della nostra oppressione si espandono a tutta la società. L’ipotesi keynesiana e socialdemocratica di emancipazionismo e di contrattualizzazione rivela il suo limite e, comunque, è stata accantonata se non rovesciata nei principi fondanti.

Pertanto un’azione politica efficace da parte del movimento femminista non può essere pensata se non ci poniamo a diretto contatto con l’esperienza e con un immaginario di uscita da questa società.

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/12/04/la-parentesi-di-elisabetta-del-3122014/

Trasmissione del 26/11/2014 "Svolta"

Data di trasmissione
Durata 58m 3s

“I Nomi delle Cose”

Puntata del 26/11/2014

Ancora oggi, alla luce dei fatti recenti, mi sembra che chi lotta, chi si schiera, chi si fa “partigiana” ha ben poco da vincere e tutto da perdere. Se non l’integrità-e non è poco-e il far “rete” con le altre, ed è già tanto. Non credo che le esperienze umane si possano paragonare e chi ha scontato anni di carcere lo sa sulla sua pelle, come oggi sappiamo che si paga in modo assurdo anche attaccare un volantino fuori posto, varcare la “zona rossa”, difendere la propria identità e dignità….allora la domanda è: quale valore hanno il nostro vissuto e le nostre azioni, la nostra storia anche, in un mondo che non ci riconosce e che non accettiamo? Come fare a essere quel qualcosa che illumina la notte con delle fiammelle così deboli? Io la risposta non ce l’ho.”

Elena/Scateniamotempeste

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” Scintille ” Svolta/ Resoconti e conti sul 25 novembre della coordinamenta/Armadi/Quell* che non hanno il genere, ma hanno la classe/Il tabù della povertà, l’angoscia e il silenzio che non sopporto più”

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/11/28/podcast-della-trasmiss…

"Quell*che non hanno il genere,ma hanno la classe" del 26/11/2014

Data di trasmissione

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/11/27/il-tabu-della-poverta-langoscia-e-il-silenzio-che-non-sopporto-piu-2/

Da “I Nomi delle Cose” del 26/11/2014

Quell* che non hanno il genere, ma hanno la classe,la rubrica di Denis ogni ultimo mercoledì del mese

“Il tabù della povertà, l’angoscia e il silenzio che non sopporto più”

Immagine rimossa. Ho un problema. Anzi, ne ho molti, che alla fine ritornano tutti alla stessa origine: soldi, o meglio mancanza di. Sono nella stessa situazione (o forse in una peggiore, per certi versi, a causa di alcune mie particolari condizioni, alcune esistenziali ed altre patologiche) di moltissime altre persone che vivono in Italia, in Europa e in ogni altro paese del pianeta Terra: sono affetto da un caso letale di pezze ar culo.

Mio padre faceva l’operaio in un magazzino adibito alla vendita di materiale edile, luogo che a Roma prende il nome di smorzo. Suo principale era un soggetto dotato dei più deleteri tratti dell’umana persona:  piccolo borghese tuttavia privo di qualsivoglia capacità imprenditoriale,  soleva tenere in soggiorno un busto del duce, del quale si prendeva cura con la stessa alacrità che lo stereotipo sessista della casalinga di Voghera riserverebbe al suo servizio da té. Bene: caso – ma soprattutto economia – vuole che lo smorzo dove il mio genitore paterno ha lavorato per un paio di decenni abbia chiuso i battenti esattamente un anno fa. Non prima di averlo costretto per mesi a ricevere buste paga nanoscopiche e assolutamente inadeguate al mantenimento di una famiglia di quattro persone; l’odio di classe è una cosa che va fatta per bene, e nessuno può saperlo meglio di un padrone.

Quest’estate, dopo un anno e mezzo di depressione galoppante, ho avuto modo di incominciare una psicoterapia (che attualmente proseguo, ma non riesco a pagare) che mi ha dato modo di far luce su un po’ di cose di me e del contesto, sia familiare che scolastico, in cui ho avuto modo di far crescere con varie storture di percorso i miei tessuti organici, muscolari-scheletrici e cerebrali. Colto da illuminazione, realizzo che di fare grafica pubblicitaria – scuola che avevo abbandonato senza alcun rimorso – non m’è mai importato più di tanto e che la mia strada è totalmente altrove. Corro dunque ad iscrivermi alle serali di un ITIS dotato, con mia somma gioia, dell’indirizzo elettronica e telecomunicazioni. Faccio piccoli passi per riprendere in mano, nella misura in cui mi è possibile, le redini della mia esistenza. Ma veniamo ad oggi. Fra un mese finiscono i soldi dell’INPS, e sono qui davanti a uno schermo che cerco di non schiattare immantinente, schiacciato dal peso di tutti i bisogni vitali che ho e non sono in grado di soddisfare.

Ad esempio sono affetto da quella che molto probabilmente è la sindrome dell’intestino irritabile, la quale porta con sé vari regali. Il suo dono più recente sono emorroidi prolassate che mi tengo da più di un mese e mezzo, e che noto, tattilmente, essersi ingrossate. Soffro di psoriasi, ansia e attacchi di panico. Molto probabilmente ho l’ovaio policistico, o qualcosa di analogo, viste le mestruazioni totalmente irregolari, nel tempo e nella quantità, e delle carie che non posso rimuovere. Vorrei perdere peso in quanto ampissimamente al di sopra del mio peso forma, ma vallo a trovare un nutrizionista gratis; starei anche cercando di andare in palestra, che continuo a pagare tramite un finanziamento precedentemente stipulato, ma a causa del mio abnorme calo di energie dovuto alla mia situazione psicologica sono di fronte all’impossibilità materiale di farlo ora; in ogni caso, le finanze prestatemi per fare elettrocardiogramma e certificato sono state investite in spese di sopravvivenza relative a cibo di discutibile qualità e basso prezzo, nonché cure veterinarie per uno dei miei gatti, il cui malore ha determinato un’emozione nel sottoscritto che, sempre a Roma, è nota ai più come coccolone. Inoltre, essere un ragazzo transessuale implica, per il mio benessere mentale, l’atto di procurarmi un endocrinologo e un avvocato che faccia gratuito patrocinio, per poter dapprima accedere alla possibilità di operarmi e in seguito ottenere dei documenti senza i quali ogni interazione sociale a sfondo anche lievemente burocratico-formale è l’inferno in terra. Nel caso non fosse già evidente, non ho soldi per fare niente di quello che mi servirebbe; aggiungo che, nonostante sia passato un bel po’ di tempo da quando è venuta a mancare la principale fonte di reddito del mio nucleo familiare, non risultiamo ancora nei database della gente papabile per l’esenzione, il che va a determinare un tragico paradosso dai connotati grossolanamente kafkiani: non posso usufruire né del servizio sanitario nazionale (dai tempi che rimangono in ogni caso eterni, e dalla qualità sempre più bassa) né di quello privato.

Non ho neanche modo di procurarmelo da solo, il reddito. I miei genitori hanno rispettivamente la terza media e la quinta elementare, e in un lasso temporale in cui è difficile farsi assumere anche qualora si avessero nel curriculum vitae due lauree con annessi master, corsi professionalizzanti più ogni altra esperienza formativa concessa in giro per le terre emerse italoparlanti, potete immaginare cosa significa. Le mie forze sono già divise perlopiù tra la mia ansia debilitante e il percorso di studi appena intrapreso, perciò non posso lavorare granché, e anche le volte in cui sono in grado, reperire chi abbisogna le mie prestazioni non è così semplice: specie per qualcuno che non ha mai messo piede nel mondo del lavoro, né subordinato né autonomo. Un livello aggiuntivo di difficoltà è rappresentato dal fatto che essere trans porta inevitabilmente, in questa società, conseguenze di carattere anche relativo all’impiego (non è un caso che la percentuale di disoccupazione sia così elevata tra le persone trans). È ancora più difficile tenendo conto del fatto che mi mancano persino i mezzi con cui offrirle, le prestazioni – sono infatti privo di un computer di mia proprietà che risponda alle caratteristiche necessarie per l’utilizzo in questo senso. Vivo peraltro sotto un tetto che, se venisse attuato il decreto Renzi-Lupi, non avrei più, poiché si tratta di una casa popolare. Tutto ciò mi uccide, nel significato più letterale di questa espressione. Perché condurre un’esistenza priva della più vaga parvenza di dignità è un potentissimo incentivo al desiderio di schiattare; che in realtà non avrei nemmeno, perché voglio vivere. Solo non ho intenzione di farlo in questa maniera.

Per quanto il tono utilizzato possa darne l’idea, non sto scrivendo la lettera di un suicida. Intendevo dire qualcos’altro: mi sono fratturato i coglioni, e non voglio sentirmi dire povero, o essere compatito. Non ne posso più del silenzio tombale collettivo che avvolge l’esistenza delle persone povere, disoccupate, proletarie e sottoproletarie; esperienze delle quali non posseggo certo l’esclusiva. Sono stufo del fatto che certe grida debbano esaurirsi in angosciate chiacchiere tra di noi, dove noi corrisponde al proprio circolo di amicizie, amori e compagneria assortita. È mai possibile che qui si viva una violenza sociale di un’estensione mai vista e che si tratti l’argomento come se fosse un imbarazzante pettegolezzo di condominio? È ridicolmente triste e ingiusto. Può non sembrare così, ma la presente è un’accusa che rivolgo in primis a me stesso. Sono il primo a vergognarsi di chiedere aiuto, in qualsiasi forma: ci ho messo un mese per esprimere il pensiero che sto esprimendo adesso. Mi viene detto che non sono l’unico, ma questo non mi fa stare meglio, mi fa stare peggio: sento il peso della responsabilità militante su di me e mi chiedo cosa facciamo, anzi, cosa non facciamo. In virtù del fatto che una delle poche cose che sono certo di fare bene è usare le parole, racconto di quello che mi è attorno nella speranza che inizi davvero a smettere di essere l’unico, perché se delle esperienze non si parla e non si sa nulla, quelle finiscono per non esistere.

Questa è guerra e nessuno sembra agire di conseguenza, se non il nemico. Servono case, mense, ambulatori, scuole e doposcuola, biblioteche, lavanderie, internet point e ogni forma possibile di spazio sociale e culturale autogestito.  Servono compagne e compagni che si occupino di fornire allacci di acqua, gas ed elettricità a chi non può più permetterseli. Dopo le lacrime per gli imprenditori impiccati bisogna tirarsi su le maniche per chi, acqua al collo, non può concedersi cerebralmente nemmeno per un secondo quell’ipotesi. Dove siamo, dove siete? Io aspetto, qui, una soluzione per me ma non soltanto per me, chiedendomi quando arriverà. Ora provo a dormire, insonnia permettendo.

Denis/Frantic

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