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neoliberismo

La Parentesi del 20/1/2016 "I nuovi mostri"

Data di trasmissione
Durata 4m 28s
“I nuovi mostri”

 

 

Immagine rimossa. Una volta c’era la “macchietta” del pensionato che, mentre aspettava l’autobus o era in fila alla posta, non faceva altro che borbottare contro “le donne, il tempo ed il governo” come diceva De Andrè. E, magari, suscitava anche simpatia perché ricordava il vecchietto masticatabacco dei film western.

Oggi è cambiato ed è stato sostituito da nuovi figuri tutt’altro che simpatici: quello che aggredisce i disperati/e, spesso Rom, che rovistano nelle immondizie, quello che chiama subito i vigili urbani quando qualcuno scrive sui muri o attacca un manifesto, quello che insulta chi chiede l’elemosina o lava i vetri delle macchine ai semafori, quello che ha il cellulare sempre pronto per chiamare i carabinieri e fare la spia quando qualcuno schiamazza o alza la voce. Per non parlare di quelli/e che guardano con sospetto chi veste in modo dimesso e vorrebbero cacciare dai mezzi pubblici chi, secondo loro, puzza. Poi ci sono quelli/e che segnalano subito chi non paga il biglietto e chi, magari, occupa una casa. Come se fosse un piacere lavare i vetri agli angoli delle strade, rovistare nelle immondizie o non avere un tetto sulla testa.

E’ una cultura della delazione, ma quelli che l’hanno fatta propria sono gli stessi, ed è inutile che si nascondano dietro un ditino, che avrebbero segnalato chi era in sospetto d’essere ebreo o partigiano o semplicemente aveva avuto la leggerezza di esprimere critiche al regime.

Anche ora, nel silenzio più totale vengono rastrellati i migranti e le migranti, vengono rinchiusi nei Cie e rispediti nell’inferno da cui sono scappati. Gli zelanti uomini in divisa applicano la legge, la maggioranza tace e fa finta di non sapere e, comunque, pensa che se c’è una legge vuol dire che è giusto così. Per loro la legge è un totem. Senza rendersi conto che per una volta che sono martello, altre mille saranno incudine perché la marea montante dello sdegno cittadino verrà incanalata a seconda delle necessità su una o su un’altra categoria sociale: ora gli immigrati che portano via il lavoro o i dipendenti pubblici assenteisti e rubastipendio, poi i professionisti tutti evasori fiscali e poi i commercianti tutti ladri   e la volta ancora dopo toccherà agli abitanti delle periferie tutti delinquenti.

In pratica sono nati nuovi mostri, frutto di un’ingegneria politica che ha saldato una cultura intimamente fascista, profondamente razzista e classista con il politicamente corretto e che ha sdoganato la parte peggiore dell’essere umano fornendo l’alibi politico attraverso parole come decoro urbano, tutela dell’ambiente, legalità, sicurezza.

Gruppi di volontari puliscono i muri della città o i parchi o i giardini.

Comitati di quartiere si riuniscono contro gli schiamazzi della vita notturna, i cani che sporcano, le macchine in doppia fila, ma restano indifferenti davanti ai militari con il mitra ad ogni angolo della metropolitana e in ogni piazza della città.

Persone che non riescono a pagare la bolletta della luce o del gas, invece di prendersela con chi le ha ridotte così, protestano per il nero che vende occhiali senza permesso e, soprattutto, o dea ! senza scontrino, all’angolo delle strade.

Gente che si fa rapinare quotidianamente dallo Stato, inorridisce per il parcheggiatore abusivo e va a chiamare il vigile, ma non si scandalizza per i parcheggi a pagamento, le ZTL che impediscono di entrare in centro, i divieti di accesso nella città degli dei e non percepisce affatto che tutto quello che viene definito dal denaro è un provvedimento classista.

Si è completamente persa la cognizione di che cosa sia lo Stato, momento organizzativo di chi detiene il potere, e le oppresse e gli oppressi sono stati condotti a lavorare attivamente per chi attivamente li reprime, li controlla e li sfrutta.

E’ fondamentale trovare il modo di uscire da questa cultura politicamente corretta e fascista, nel senso più preciso e politico del termine, da questa gabbia comportamentale che ha inculcato nella mente delle persone i concetti di legalità e sicurezza, veri e propri strumenti di asservimento volontario.

In questo passaggio epocale in cui la borghesia transnazionale si pone come nuova aristocrazia la legalità assume i connotati di un nuovo “ipse dixit”.

 

La Parentesi del 13/1/2016 "Mala tempora currunt"

Data di trasmissione
Durata 4m 14s
 

“Mala tempora currunt”    Immagine rimossa.

Continuano le trattative tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea per il TTIP. La prima considerazione che balza agli occhi è che  continuano ad essere segrete. Un trattato che avrà ripercussioni importanti nella vita di milioni di persone viene condotto segretamente. Alla faccia di quelli/e che si riempiono la bocca di parole come democrazia, rappresentatività, partecipazione.

Non è necessario ricordare qui cos’è il TTIP: un attacco a tutto campo alla sovranità dei singoli paesi che minerà le possibilità di sopravvivenza di interi settori economici e industriali nonché un attacco a tutto campo alle conquiste alimentari, sociali, culturali ottenute nei singoli Stati europei. Il TTIP è una vera e propria Nato economica.

La Nato, di fatto, detta la linea politica estera agli Stati aderenti all’Unione Europea. Il TTIP lo farà anche nel campo economico.

Non è sufficiente dire che le lobby delle multinazionali anglo americane fanno pressione, è necessario dire che le stesse dettano l’agenda. Questo non è una novità negli USA dove le multinazionali dirigono la politica in maniera compiuta dai tempi dell’assassinio di J.F.Kennedy. Già Eisenhower, che pure veniva dall’esercito, nel discorso di commiato alla fine del suo mandato presidenziale, denunciò l’invadenza e qualche cosa di più dell’apparato militare industriale. L’espansione e la sempre maggior forza politico-economica che questo settore avrebbe raggiunto nei paesi capitalisti è stata analizzata e raccontata con estrema chiarezza da Rosa Luxemburg.

L’apparato militare industriale statunitense detta ora la politica estera dell’UE tramite il grimaldello della NATO . E si cerca di estendere questa ingerenza diretta  in tutti i campi tramite il cavallo di troia del TTIP. Di fronte all’importanza e alle devastanti conseguenze di questa operazione, colpisce il silenzio e la disattenzione in Italia rispetto al tema, non solo da parte dei media ma anche del movimento antagonista. Certo, i primi sono schierati, interessati e parte integrante del sistema, ma la  disattenzione del movimento è preoccupante .

L’unico paese dove il dibattito è forte e ci sono state imponenti manifestazioni di piazza contro il TTIP è la Germania dove il governo, che è espressione degli interessi dell’industria manifatturiera ed esportatrice, mettendo al primo posto gli interessi di quest’ultima con evidenti riflessi occupazionali, mostra poca propensione all’adesione al TTIP. Perciò balza agli occhi che l’SPD nel suo ultimo congresso, nel dicembre del 2015 dei tanti temi che poteva e avrebbe dovuto affrontare, ha trovato il tempo di discutere e di sancire formalmente per iscritto la sua disponibilità all’ adesione al TTIP.

Qualcuno potrebbe definire questa scelta improvvida dato che va contro gli interessi della Germania e non tiene conto degli umori e delle scelte dei tedeschi. Ma il gruppo dirigente dell’SPD queste cose le sa: Evidentemente ha puntato sull’influenza a tutto campo degli Stati Uniti e spera di eliminare Angela Merkel e di andare al potere da solo con una soluzione all’italiana.

Mala tempora currunt. E’ necessario mettere all’ordine del giorno lo smascheramento e la sconfitta politica della socialdemocrazia che naturalizza nei paesi europei il neoliberismo che vuol dire realizzare compiutamente in Europa la società americana. E passaggio fondamentale è l’uscita dell’Italia dalla Nato

 

Parentesi del 2/12/2015 "Impero e aristocrazia"

Data di trasmissione
Durata 5m 45s
Impero e aristocrazia

Immagine rimossa.   E’ evidente che ci sono tensioni fortissime nel mondo occidentale che scaturiscono dal tentativo, per molti versi riuscito, di costituire un’aristocrazia multinazionale che si propone di imporsi come soggetto contrattuale con la super potenza statunitense. In Europa l’iperborghesia annidata nelle multinazionali sta smantellando le forze sindacali e partitiche che si oppongono al neoliberismo e, quest’ultimo, significa disoccupazione, povertà, annullamento dello Stato sociale, venuta meno della sanità pubblica, del pensionamento generalizzato, della contrattualizzazione del salario. Tutto questo passa anche, necessariamente, attraverso la repressione e una cultura securitaria che colpiscono particolarmente i gruppi politici e le forze sociali che più contrastano il neoliberismo. La repressione, in tutte le sue articolazioni, sottolinea e caratterizza questo momento storico dell’autoespansione del capitale. E la repressione si colloca nello squilibrio fra strutture nazionali statuali e la ricomposizione capitalistica di fondo che è permeata dallo scontro fra multinazionali e Stati per la ricollocazione delle gerarchie capitalistiche che vedono gli Stati Uniti con il loro alleato inglese, all’offensiva e l’unico interlocutore è l’aristocrazia sovranazionale, l’iperborghesia, che vuole portare in dote al matrimonio la “testa” del mondo del lavoro. Il programma di classe oggi passa, oltre che su obiettivi e scadenze di lotta, anche su una valutazione degli equilibri, degli scontri, dei rapporti di forza che lo sviluppo globale presenta. Questa attenzione non è secondaria perché ne scaturisce la possibilità di porre qualche ostacolo alla voracità con cui l’iperborghesia si serve della socialdemocrazia come arma politica. Oggi, ci troviamo di fronte ad una situazione che non è più il lavoro in fabbrica a determinare i rapporti sociali bensì la messa al lavoro della società e, quindi, lo sfruttamento di tutti coloro che nella società sono attivi.

La classe operaia non ha mai amato il lavoro salariato in fabbrica, lavorare in fabbrica era ed è una terribile oppressione, un’esasperazione della sofferenza e dello sfruttamento della vita. Oggi, questo si è dilatato ed è uscito dalla fabbrica e si è generalizzato nella società tutta. Il blocco sociale che ha dominato l’Italia e i paesi occidentali finora si è rotto per scelta unilaterale dell’iperborghesia. Il capitalismo nella stagione neoliberista e la sovranità imperiale nella sua accezione più compiuta, cioè gli Usa come Stato del capitale, hanno bisogno di controllare la nostra intera esistenza a tutto campo anche con riferimento ai desideri e ai modi di vita e questo si sviluppa attraverso determinazioni gerarchizzanti sempre più forti. Pertanto, le guerre umanitarie sono sempre più insistenti e pesanti e non sono altro che modalità di intervento politico.

C’è una diretta correlazione tra la sottomissione dei lavoratori all’interno dei singoli paesi occidentali, tra le politiche di ristrutturazione interna e l’imposizione e la transizione nei paesi del terzo mondo da regimi “totalitari” a regimi così detti “democratici”.

Paradossalmente, ma purtroppo è così, lo scontro è solo nell’ambito del capitale. Si tratta di sapere chi sarà alla guida dell’Impero, se saranno gli americani in quanto nazione o l’aristocrazia sovranazionale. Pertanto, viviamo all’interno di un interregno capitalistico nel quale si svolge una guerra per comprendere chi dovrà governare, quali sono le trasformazioni delle filiere del comando e di ridefinizione delle classi sociali.

Dobbiamo nuovamente dire e riconoscere che cosa sia il potere e che cosa sia lo sfruttamento e su questo versante, possiamo capire chi è il nostro nemico e chi il nostro compagno.

Dobbiamo leggere che cosa sono divenuti i concetti di guerra e pace, di Stato-Nazione, di cittadinanza e diritti, di privato e di pubblico, ed ancora Nazioni Unite e diritto internazionale. E intorno alla consapevolezza di questi nodi, da come prendiamo posizione all’interno del passaggio storico nel quale viviamo, noi siamo in grado di scegliere amici e compagni/e di lotta, noi per i quali la libertà politica, l’amore per l’uguaglianza sociale, la resistenza contro il potere e il rifiuto della povertà camminano insieme.

La guerra che oggi ci è imposta investe la vita di tutti/e e di questo dobbiamo prendere coscienza, passaggio ineludibile per sperare di trasformarla in un movimento di lotta per la liberazione. Non c’è alternativa a questo obiettivo, non è possibile pensare la rivoluzione senza tutti i soggetti che possono contribuire alla sua realizzazione. Dobbiamo rimuovere con forza quella che è una delle caratteristiche del neoliberismo, cioè il concetto che povertà, gerarchia sociale, colonialismo siano una sorta di darwinismo economico-politico che, in definitiva, non è altro che un ritorno all’ottocento. Tanto più in una stagione in cui la guerra è divenuta la base stessa della politica, guerra interna ed esterna.

Da qui la necessità di riprendere le fila dell’analisi di classe a partire dai temi della teoria, della linea, del programma. In definitiva del progetto della rivoluzione.

Non c’è separazione tra economia, mercato mondiale, temi internazionali e rapporti interni agli Stati nazione e, quindi, con le stesse regole dei rapporti sociali di cittadinanza e, in definitiva, di classe.

Nell’impero e intendiamo quello a guida statunitense, aree di mercato organizzate sono auspicabili, ma gerarchizzate dentro e sotto lo sviluppo del comando imperiale. E questo vale anche per l’Europa che è la più importante fra le varie potenze continentali.

Siamo di fronte a una storia di amore e odio fra gli Stati Uniti e l’Europa e quando diciamo Europa è chiaro che l’Inghilterra non ne fa parte. In questa situazione l’iperborghesia europea si scontra con lo Stato del capitale dentro un equilibrio instabile. Questo è il senso della lettura diversa delle sanzioni alla Russia e degli attacchi all’economia tedesca, ammantati da nobili motivazioni.

Da un lato lo Stato del capitale presenta una proposta imperiale unilaterale nel suo progetto di dominio del mondo, dall’altro le iperborghesie europee multinazionali tentano di costruire una relativa indipendenza. Quindi l’Europa si trova oggettivamente collocata su di un terreno che non sempre coincide con gli interessi imperiali statunitensi. E’ su un terreno così pregnante che si può leggere l’attacco americano ai tentativi di quegli Stati europei che tentano di tutelare gli interessi delle loro iperborghesie. L’indipendenza europea all’imperialismo americano non è possibile a livello militare, ma cerca di realizzarsi nel differenziarsi rispetto alle scelte settoriali, ma anche questo è reso difficile dalla minaccia non solo militare, ma anche dalle ritorsioni economiche mascherate da provvedimenti a tutela dell’ambiente, dello sport, del diritto internazionale.

Ad oggi, lo scontro è impari perché la struttura imperiale statunitense non è semplicemente uno spazio geografico, ma costituisce un’unità di potere che si irradia in tutte le sfere e in tutti i paesi e pertanto non è soltanto un ritorno all’ottocento, ma è anche un nuovo feudalesimo fondato sull’azione unilaterale americana  che auspica ed è organizzata per ridurre gli stati nazionali a feudi da dare in gestione alle aristocrazie multinazionali locali il cui compito principale è configurare la legittimità imperiale. In pratica gli Stati Uniti accettano le aristocrazie nazionali, le iperborghesie locali, ma nell’ambito di una organizzazione piramidale.

Il primo passo è la rimozione del personale politico locale-nazionale e la sua sostituzione con funzionari politici che accettano in toto il neoliberismo nell’accezione e versione statunitense.

Questi, a loro volta, a cascata, rimuoveranno dai vertici delle grandi aziende statali e parastatali il personale tecnico dirigenziale già selezionato con i criteri che facevano riferimento al vecchio e sconfitto blocco sociale, con funzionari che tradurranno nel loro ambito le direttive governative che, a loro volta, naturalizzano gli interessi statunitensi nei rispettivi paesi. Non sono immuni da questo tornado le grandi aziende private e le organizzazioni internazionali di qualunque tipo, comprese quelle sportive. Nei loro confronti si sparerà con inchieste, denunce, multe, che ne piegheranno ogni velleità autonoma, rimuovendole o consegnandole a personale dirigente ossequioso e servile agli interessi della “casa madre”, cioè degli Stati Uniti. E’ con questa lente che dobbiamo leggere tanti avvenimenti perché il filo nero che li collega è molto più facile da rilevare di quanto tanti/e non propriamente in buona fede non facciano.

Essere attenti/e alla lettura non è soltanto un momento teorico-intellettuale, ma è un’esigenza di sopravvivenza per il mondo tutto visto che gli Usa, che spingono per un dominio unilaterale del mondo, sono guidati dalle multinazionali anglo-americane e queste ultime non hanno nessun tipo di remora, davanti a niente.

Trasmissione del 25/11/2015 "I ruoli, le donne, la lotta armata"

Data di trasmissione
Durata 1h 10m 58s
“I Nomi delle Cose” /Puntata del 25/11/2015 “Il valore politico della rottura”

 “Quale valore hanno il nostro vissuto e le nostre azioni, la nostra storia anche, in un mondo che non ci riconosce e che non accettiamo? Come fare a essere quel qualcosa che illumina la notte con delle fiammelle così deboli?/DESMONAUTICA, la rubrica di Denys ogni ultimo mercoledì del mese ” Una volta per tutte, la tecnologia non ci rende asociali”

 

“25 novembre 2015/”Spezzare la normalità dell’esistente”

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Trasmissione del 7/10/2015 "Lo stato dei movimenti, compreso quello femminista"

Data di trasmissione
Durata 1h 56m 1s

Questa è la prima trasmissione dell’anno politico 2015/2016, Buon ascolto!

“I Nomi delle Cose” /Puntata del 7/10/2015

Lo stato dei movimenti, compreso quello femminista

“Era una notte di lupi feroci, l’abbiamo riempita di suoni e di voci”

“Dedicata a Lucia Ottobrini/la trasmissione del nuovo anno politico: cosa resta e cosa cambia/Desmonautica/Mai contro sole/Lo stato dei movimenti”

Immagine rimossa.

 

La rubrica di Denys, all’interno della nostra trasmissione cambia nome ma non solo e da “Quell* che non hanno il genere, ma hanno la classe” diventa “Desmonautica” e Denys ci spiega perché:

“Desmos: legame e vincolo per definizione, ma anche rapporto e relazione,
interconnessione. Legamento nei libri di medicina, controllo in quelli
di meccanica, desmologico è lo studio dei legami chimici molecolari e
atomici. Desmonautica è quaderno di appunti e diario di un viaggio nei
tendini della società, e alle sue desmopatie.

Il desmonauta che lo narra ha smesso di non avere il genere ma avere la
classe. Per meglio dire, la classe ce l’ha ancora. Il genere pure, work
in progress. Tutto sta mutando e lui non facendo eccezione si è avviato
verso nuovi sviluppi, nuovi orizzonti, una nuova storia, sua e delle sue
idee, ed è ora convinto e intenzionato più che mai ad indossare tuta
antigravitazionale, solidi scarponcini e un paio di acuti occhiali
materialisti per guardare, sviscerare, analizzare spazi e tempi. Gli
spazi sono quelli del sapere, dell’agire, del divenire e
dell’attraversare, con i soggetti e le contraddizioni che contengono. I
tempi sono quelli che corrono, e qualche volta fanno un salto in avanti.

Ogni ultimo mercoledì del mese chiama le cose col loro nome con
interventi spurii tanto quanto le sue presenze nella sua rubrica, che
rimane dov’è: ogni ultimo mercoledì del mese, solito orario, sulla
frequenza 87.9FM di Radio Ondarossa.”

 

La Parentesi del 7/10/2015 "Mai contro sole"

Data di trasmissione
Durata 6m 22s
“Mai contro sole”

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/10/08/la-parentesi-di-elisabetta-del-7102015/

Immagine rimossa.

Quando si decide di intraprendere una lotta, il primo problema che ci si dovrebbe porre è il riconoscimento del nemico.

Non è questione da poco o da sottovalutare altrimenti rischiamo di combattere “contro sole” e, non vedere chi abbiamo di fronte, significa perdere in partenza.

Lo abbiamo già detto tante volte, siamo calate nella fase imperialista del capitalismo, nella sua fase che tende al monopolio. Il neoliberismo non è altro che il punto a cui è arrivato il capitale nel suo processo autoespansivo, è una vera e propria scelta ideologica e non il prodotto di un momento di crisi. O meglio, la crisi c’è ma è per tutti quelli attaccati dalle politiche neoliberiste, siano strati sociali o Stati, qui o nel terzo mondo, e nulla di quello che succede è il prodotto di una difficoltà del capitale, bensì di una precisa scelta.

Stiamo assistendo ad un lotta spietata senza esclusione di colpi per la ridefinizione dei rapporti di forza tra le multinazionali e gli Stati e con gli oppressi tutti.

Ma il neoliberismo è un prodotto ideologico statunitense che, testato nel Cile di Pinochet, attraverso l’Inghilterra è arrivato fino a noi in Europa.

Sono proprio gli Stati Uniti ad avere la pretesa egemonica  e a porsi come Stato del capitale.

Dire questo non significa fare dell’antiamericanismo, ma leggere gli avvenimenti che scorrono davanti ai nostri occhi per quello che sono, un attacco a tutto campo da parte degli Usa a tutti coloro che sono asimmetrici agli interessi statunitensi, un passo dopo l’altro, dalla Jugoslavia, all’Iraq, passando per l’Afghanistan, dalla Libia alla Siria o che possono essere funzionali al progetto espansivo come per l’Ucraina. Il progetto di dominio e di controllo mondiale degli Usa cammina senza soste e non riconosce neppure alleati, ma solo vassalli. E’ chiaro che essendo la fase imperialista, anche gli altri paesi sono imperialisti. L’Europa stessa avrebbe delle pretese di imporsi come polo imperialista autonomo dagli Usa, dato che i suoi interessi non sono sempre coincidenti, ma non ne ha né la possibilità, né la forza, soprattutto militare. Una potenza economica come la Germania è “occupata” dalle basi statunitensi e, infatti, non riesce a sottrarsi alle sanzioni nei confronti della Russia che la danneggiano fortemente. Il TTIP è emblematico dell’attacco sferrato dagli Usa all’Unione Europea.

Annacquare il discorso politico in un generico antimperialismo, significa non riconoscere il nemico e, quindi, sottovalutare l’importanza delle mobilitazioni contro la Nato, vero e proprio esercito di aggressione e danzare sopra una polveriera.

Ma, non riconoscere il nemico esterno, non permette neppure di riconoscere il nemico interno.

E’ il PD, nelle sue varie accezioni, ad aver naturalizzato e a naturalizzare il neoliberismo nel nostro paese e a rappresentare gli interessi delle multinazionali anglo-americane qui da noi e ad aver trasformato l’Italia in un governatorato. Ma il riconoscimento del nemico non avviene per posizioni ideologiche o preconcette, avviene solo e soltanto dall’analisi delle scelte e dei comportamenti politici. La socialdemocrazia si è trasformata in destra moderna e usando un lessico, parole, segni, segnali e modalità della sinistra è riuscita a naturalizzare il neoliberismo, un passo dopo l’altro, una “così detta riforma” dopo l’altra, fino all’attuale dilagare del governo Renzi, tra l’altro illegittimo, ma che rappresenta solo l’ultimo atto di un lungo percorso. La destra tradizionale è, in questo gioco, assolutamente perdente, attardata su modalità politiche, queste sì, della vecchia DC, dei contributi statali a pioggia, delle commesse nel sud, dei rapporti con la mafia…..a tutela degli interessi di una borghesia nazionale  destinata alla sconfitta dalla nuova iper-borghesia o borghesia transnazionale o borghesia imperialista che dir si voglia.

L’iper-borghesia sta ridefinendo gli assetti anche all’interno di quella che era l’ossatura della borghesia e in questa ridefinizione dei rapporti all’interno della classe ha buttato a mare la piccola e media borghesia, i piccoli imprenditori, i professionisti, gli insegnanti, il ceto medio nelle sue varie configurazioni.

Il traballante e strumentale stato sociale keynesiano, strumentale perché scelto, in verità, in funzione anticomunista, con riferimento non solo all’Unione Sovietica, ma ad un immaginario che attraversava  le classi subalterne, è venuto meno. E’ stato chiuso in maniera drastica e unilaterale ogni spazio di contrattazione.

Ma c’è l’impressione netta che le lotte che vengono messe in atto per contrapporsi al neoliberismo dilagante appartengano ancora ad una configurazione sociale keynesiana che non esiste più: gli scioperi, le proteste, le manifestazioni, i presidi….sono tutte forme di lotta che presuppongono un interlocutore. Ma l’interlocutore non c’è più, c’è solo un nemico.

E se il patto sociale è rotto, perché è rotto, e, purtroppo non l’abbiamo rotto noi, allora nessuno, ma proprio nessuno deve più nulla a questo Stato: nessuna tassa, nessun ticket, nessuna bolletta, nessuna multa, nessun biglietto…..nulla di nulla è più dovuto a nessun titolo.

Le lotte territoriali sono importanti, partire dai bisogni e dalle esigenze altrettanto, ma non basta, bisogna riuscire a parlare a tutti gli strati sociali colpiti dalla crisi, cogliere  e raccogliere quelle istanze che li attraversano e trasformarle in lotta di classe.

Ma qualsiasi lotta porteremo avanti non ci dovremo mai dimenticare chi è il nemico esterno, chi è il nemico interno e qual è l’obiettivo: uscire da questa società.

La Parentesi del 24/06/2015 " Pover* e povertà"

Data di trasmissione
Durata 5m 47s

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/06/25/la-parentesi-di-elisabetta-del-24062015/

 

“Pover* e povertà”

Immagine rimossa.

Nella tradizione cristiana che tanta parte ha avuto nella storia dell’Europa e di questo paese, la chiesa rifacendosi alla frase riportata nel vangelo, quella che dice “è più facile che un cammello entri nella cruna di un ago che un ricco vada in paradiso”, ha prestato molta attenzione ai poveri assolvendo, però, un ruolo di assopimento della loro voglia di lotta e della loro capacità di riscatto con una cultura che teorizzava che le povere e  i poveri avrebbero avuto il premio per le pene e le miserie di questa vita in quella dopo la morte.

Non solo, ma facendo proprie le teorie di Tommaso d’Aquino secondo cui ci si salva attraverso le opere, invitava i ricchi e i potenti a fare elemosina per guadagnare il paradiso. Così il cerchio era chiuso, i poveri accettavano la loro condizione e i ricchi e i potenti si mettevano a posto la coscienza.

Il tutto veniva fatto rientrare nell’ordine naturale delle cose.

La rivoluzione d’ottobre ha scompaginato questa impostazione quando il comunismo si è fatto potere. Attese millenaristiche e catartiche c’erano sempre state, ma la novità rappresentata dalla rivoluzione bolscevica è stata enorme, queste attese, per dirla come la chiesa cattolica, si sono fatte carne e sangue.

La condizione delle classi subalterne entra prepotentemente nello scenario della storia e della politica.

Il capitalismo adotta la soluzione socialdemocratica, comincia a parlare di guerra alla povertà, prospetta soluzioni riformatrici gradualistiche. Viene propagandato l’ immaginario di un progresso lento ma ineluttabile, un continuo miglioramento delle condizioni dei poveri e dei subalterni/e. Ma è dalle lotte dei lavoratori e delle lavoratrici che  vengono a cascata i contratti nazionali di lavoro, lo stato sociale e la sanità e l’istruzione pubbliche…..

Anche in campo internazionale il vento del comunismo e il rifiuto della cultura colonialista portano le lotte di liberazione nazionale. Quando i paesi affrancati dal colonialismo si trovano a fare i conti con una popolazione impoverita  dalla predazione coloniale, viene coniata la teoria del  “desarrollo”, l’equivalente delle teorie socialdemocratiche nostrane applicate ai paesi del terzo mondo che avrebbero potuto così godere di un miglioramento delle condizioni economiche e di un continuo progresso.

Il neoliberismo, l’attuale ideologia vincente, con la complicità della sinistra riformista e socialdemocratica che ha cambiato pelle ed è diventata destra moderna, ha rimosso dall’immaginario l’idea di comunismo e di libertà.

La povertà, quindi, non è più un crimine perpetrato dalla società, ma una colpa dei poveri. Viene introdotto un approccio che può essere definito  “razzismo di classe” nei paesi occidentali con un ritorno all’equazione ottocentesca  poveri uguale delinquenti, quartieri popolari uguale sentine di ogni bruttura.

Il ritorno all’ottocento è uno dei tratti caratteristici della società neoliberista..

Allo stesso tempo, nei paesi del terzo mondo, l’ ”uomo bianco” ha la pretesa, come nell’ottocento, di emancipare quei popoli, che non sarebbero in grado di gestirsi da soli, naturalmente per colpa loro, perché brutti, sporchi, cattivi e ignoranti.

Da qui le così dette  “guerre umanitarie” che altro non sono se non neocolonialismo.

E’ il ritorno alla cultura protestante, che non a caso coincide con l’ascesa politica della borghesia:  la ricchezza è il segno della benevolenza di dio. Concetto che tradotto in termini laici significa che si è ricchi perché si è più intelligenti e capaci.

Infatti ora, nella stagione neoliberista, una porzione della borghesia, quella transnazionale, si pone come aristocrazia e ha sostituito Versailles con Washington.

E’ il trionfo dell’innatismo e dell’idealismo, si è quello che si è per nascita e non per le vicende economiche, storiche, politiche e sociali.

La povertà è una colpa e la ricchezza è un merito. Omettendo completamente che i ricchi, quelli che ce l’hanno fatta, sono spesso i più corrotti, i più servili, i delatori, quelli senza scrupoli, e, a livello di nazioni, sono quelle che seminano morte  e distruzione quando non arrivano a veri e propri genocidi.

Teorizzare che essere ricchi e potenti è per meriti propri non è altro che la trasposizione della lettura religiosa che quello che accade l’ha  voluto dio, omettendo le dinamiche sociali ed economiche e dimenticando, altresì, che per diventare ricchi e potenti si sdoganano e si materializzano gli aspetti peggiori dell’essere umano.

In questo si realizza l’etica nazista del suprematismo di razza e di classe che, infatti è un’altra delle caratteristiche precipue del neoliberismo.

Il neoliberismo nel suo dipanarsi e nel suo realizzarsi, ha suscitato in maniera chiara e compiuta la necessità di un progetto di rottura rivoluzionaria per  i paesi occidentali e per i popoli del terzo mondo, progetto a cui noi, come femministe materialiste, intendiamo dare tutto il nostro apporto nella consapevolezza che non ci sono altre strade percorribili.

 

Trasmissione del 17/06/2015 " Il nostro destino è segnato?"

Data di trasmissione
Durata 57m 24s

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/06/19/podcast-della-trasmissione-del-17062015/

 


Puntata del 17/06/2015 “Il nostro destino è segnato?”
 
I bambini non sono innocenti,
sono imputati in attesa di giudizio.
I bambini vengono al mondo già colpevoli
nel misfatto di non essere nati
a immagine e somiglianza
delle illusioni.” Denis/Frantic
 
Immagine rimossa.
 

” Bambine, bambini e la selezione di genere e di classe/Le nuove frontiere del neoliberismo/ Putin/La comunicazione“