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lotte carcere

Appello alla città: assemblea in piazza verso l'8 marzo

Data di trasmissione
Durata 31m 39s

APPELLO ALLA CITTÀ
ASSEMBLEA IN PIAZZA VERSO L'8 MARZO: SABATO 27 FEBBRAIO ore 16,30 Piazza Perestrello.

Nell'audio, montato dall'assemblea parenti e solidali dei detenuti, ascolterete le voci di partenti di persone detenute che hanno attraversato la radio nell'ultimo anno.

 

È passato quasi un anno dalle rivolte scoppiate nelle carceri di questo paese, proteste collettive che si sono espanse a macchia d'olio in tutto il mondo. Le persone prigioniere che si sono ribellate sapevano e sanno bene che nessun governante avrebbe mosso un dito per mettere in salvo dal contagio chi è rinchiuso: da sempre le galere escludono e vessano migliaia di vite, anche prima del Covid. Le proteste di chi era dentro hanno fatto scendere in strada anche chi ha i propri affetti rinchiusi, soprattutto le donne, che hanno deciso di non stare ad aspettare in silenzio, portando fuori con forza  le rivendicazioni di salute e libertà che venivano dai prigionieri e dalle prigioniere.

A Roma il tempo della rivolta è stato il 9 marzo, sia a Rebibbia che a Regina Coeli, la rabbia è esplosa e diverse forme di protesta sono continuate durante il corso dell'anno. Quel 9 marzo iniziavano a circolare le notizie della morte di alcuni detenuti durante le rivolte del giorno precedente a Modena e Rieti.

A Rebibbia 55 detenuti sono accusati di pesanti reati, tra cui devastazione e saccheggio, in seguito alla sommossa. Sono centinaia i detenuti che andranno a processo per le rivolte in tutto il paese. Possibile che lo stato abbia avuto il coraggio, dopo  le stragi e le torture di marzo e aprile che hanno tracciato una lunga scia di sangue, di mandare a processo centinaia di detenuti che hanno gridato la loro rabbia indicando l'unica soluzione possibile, ovvero lo sfollamento delle galere, per salvarsi dal contagio?

È la necessità di scongiurare nuove proteste a scatenare questa pesante vendetta. Le giuste rivendicazioni vengono messe a tacere con la violenza più feroce.

Sì, lo stato ci tiene alle sue galere, a quelle mura e a quelle sbarre così alte, che hanno un effetto su milioni di esistenze, anche quelle "libere". Le morti durante le rivolte  parlano chiaro, raccontano quello che lo stato
è disposto a farci per governare con la paura, per ribadire il suo potere se alziamo la testa, per impedire la solidarietà.

Il carcere non può restare una bolla separata da chi abita la città, non lo è e non possiamo permetterci di girare le spalle a chi è imprigionato/a.

Invitiamo tutte le realtà e le persone interessate a partecipare il giorno 27 Febbraio alle ore 16,30 in Pza Perestrello per un momento di confronto e aggiornamento sulla lotte nelle carceri e per parlare della mobilitazione nazionale dell'8 marzo sotto al ministero della giustizia.

Marzo 2020, quella nelle carceri è una strage di Stato.

NON LASCIAMOLI SOLI/E

Proposta di lotta dalle detenute del carcere di Trieste

Data di trasmissione
Durata 29m 21s

Al presidio dello scorso sabato 23 gennaio, le detenute della sezione femminile del Coroneo hanno proposto una battitura in protesta alla situazione che da ormai quasi un anno tutti i detenuti e le detenute delle carceri italiane sono costrette a vivere a causa dell’emergenza Covid. Le detenute propongono una battitura dentro le carceri alle 15.30 di LUNEDI 1 FEBBRAIO per dar voce alle loro rivendicazioni.

Le rivendicazioni sono:

1) Essere sottoposte a tamponi ed esami del sangue sierologici, piuttosto che essere costrette alla vaccinazione.

2) Indulto

3) Domiciliari per le persone con problemi sanitari e gravi patologie e per i detenuti in residuo di pena

Ribadiamo che è in corso una strage di Stato, quella che da marzo 2020 sta avvenendo nelle carceri, dopo i morti della scorsa primavera tramite le botte e il piombo sparato, le persone detenute continuano a morire per le negligenze sanitarie o per le ripercussioni delle botte di un anno fa come è avvenuto nel carcere di Santa Maria Capua Vetere. Per unire le proteste che stanno avvenendo nelle altre carceri di Vigevano, Torino, Varese…

Proponiamo di essere presenti sotto il carcere alle 15.30, con pentole, trombe e tutto ciò che possa far rumore, in modo tale da poter così dare voce anche fuori le mura alla loro lotta.

Assemblea permanente contro il carcere e la repressione

liberetutti@autistiche.org

Ne parliamo in collegamento telefonico con un compagno

Buon Ascolto!

Le condizioni nel carcere di Torino alla base dello sciopero della fame

Data di trasmissione
Durata 29m 33s

Il 21 gennaio Fabiola, Dana, Stefania ed Emanuela hanno cominciato lo sciopero della fame, costrette dalla grave situazione all’interno del carcere delle Vallette. Con lo scoppio della pandemia le condizioni delle carceri, già pessime, non hanno fatto che peggiorare ed è per questo che le detenute hanno richiesto il ripristino delle video chiamate, la possibilità di integrare le 6 ore di colloquio in presenza, con le video chiamate, visto che queste ultime non vengono assicurate, come da legge costituzionale, uno screening accurato di tutta la popolazione detenuta, così da verificare il reale stato dei contagi e la somministrazione dei vaccini a tutti i detenuti che lo vorranno.

“A seguito dell’impegno dell’amministrazione carceraria di Torino di garantire, ad effetto immediato, la possibilità di usufruire delle 6 ore ministeriali previste per i contatti con i propri familiari e a seguito delle notizie pubbliche rispetto al piano prevenzione Covid che da marzo riguarderà tutta la popolazione detenuta”, Fabiola, Dana, Stefania ed Emanuela hanno sospeso lo sciopero.

Non piegando mai la testa i rapporti di forza nella vita carceraria possono essere incrinati!

Ne parliamo in collegamento telefonico con un compagno
 

Buon Ascolto!

Il carcere è tortura: presidio al carcere di Sollicciano

Data di trasmissione
Durata 12m 15s

IL CARCERE È TORTURA

Pestaggi, costole fratturate, timpani rotti.
Questa è la rieducazione del carcere di Sollicciano, come emerso in questi giorni da indagini e articoli di giornale.

Ma come sono state rese note queste informazioni dà ancora più luce sul carcere italiano: cioè a partire dalla denuncia per aggressione e resistenza effettuata proprio nei confronti di uno dei detenuti pestati.
Come succede fin troppo spesso (sia dentro che fuori dalle galere) chi subisce soprusi da parte dello stato e dei suoi scagnozzi si ritrova poi a dovere anche pagare conseguenze legali, una procedura che descrive bene uno stato arrogante ed omicida sempre disposto ad autoassolversi.
Ci richiama alle recenti torture avvenute nel carcere di San Gimignano dove media e politici si sono lanciati a difendere i 15 secondini che hanno prestato brutalmente un detenuto.
Ci richiama a Paska, compagno denunciato in seguito a un pestaggio avvenuto durante un trasferimento.
Ci lascia capire di quanta impunità le forze della repressione ritengano di dover godere in questo sistema, impunità che fa sì che si possa entrare sulle nostre gambe all’interno di una questura o di una galera per uscirne dentro una bara.
Vogliamo rimarcare che i pestaggi, a S. Gimignano come a Sollicciano, rappresentano la ordinaria sanzione, da parte delle guardie, di una insubordinazione rispetto all’ordine costituito.
Che il carcere sia un mezzo utilizzato dallo stato per spaventare chi è fuori e annientare chi è dentro è una verità concreta.
Che sopraffazione e costrizione siano la struttura portante della galera e della società contro chiunque provi a ribellarsi e rifiuti di collaborare rimane una verità contro la quale è necessario lottare.
Lo faremo in solidarietà con tutt@ i compagn@ che si ritrovano prigionieri o sotto processo per le lotte contro questo stato che violenta, tortura e uccide ogni giorno attraverso i suoi servi.
Lo faremo perché riteniamo che la lotta contro le carceri, dentro e fuori le mura, sia un tassello fondamentale della rivolta contro l’esistente, contro questo stato che ci vuole collaboratori e servi.

Che la solidarietà resti sempre la nostra migliore arma.
Perché saremo tutt* meno liber* finché resterà in piedi una prigione!

Presidio sabato 23 gennaio ore 15 al carcere di Sollicciano

pubblichiamo da:

http://www.cpafisud.org/il-carcere-e-tortura-presidio-a-sollicciano/

Carcere: dalle rivendicazioni delle persone detenute alla proposta di vaccini e nuove galere

Data di trasmissione
Durata 23m 17s

In collegamento telefonico con una compagna torniamo a parlare della situazione nelle carceri durante la pandemia. Approfondimenti sulle lotte in corso, sul dibattito riguardo l'amnistia e l'indulto e la promessa dei vaccini. 

Di seguito un appello in solidarietà con i 5 detenuti presenti a Modena durante la rivolta del mese di marzo e gli indirizzi per scrivere:

 

Modena – Aggiornamenti e appello alla solidarietà con i 5 detenuti del carcere di Modena

A fine novembre 5 persone detenute nel carcere di Ascoli hanno scritto un esposto alla Procura di
Ancona. In questo atto, con grande coraggio, hanno riportato quanto realmente accaduto a marzo
nel carcere di Modena e di Ascoli in seguito alle rivolte, in relazione ai pestaggi, agli spari e a alla
morte di Salvatore Piscitelli.
Il 10 dicembre sono stati trasferiti nel carcere di Modena. La scelta stessa di questo trasferimento è
subito apparsa una forte intimidazione agli occhi di chi, sin da marzo, non aveva creduto alla
narrazione delle “morti per overdose”, fossero essi/e parenti o solidali, seppur tra loro sconosciuti/e.
Le condizioni di detenzione in cui hanno tenuto i 5 ragazzi a Modena sono state altrettanto
intimidatorie: in isolamento (sanitario), con divieto di incontro tra loro, in celle lisce con vetri rotti,
senza possibilità di fare spesa e di ottenere accredito dei versamenti in tempi utili per poter fare la
spesa, senza i loro vestiti e con coperte consegnate bagnate qualora richieste.
Immediatamente, all’esterno, si è attivata un’eterogenea rete di solidarietà, costituita da parenti e
solidali, che si è mossa su più fronti: sostegno legale, saluti sotto le mura del carcere, lettere, mail di
pressione alla direzione del carcere, sollecitazioni ai garanti regionale e nazionale.
Varie testate giornalistiche, a distanza di 9 mesi dal massacro avvenuto nel carcere modenese, hanno
riportato i fatti, o si sono trovate costrette a farlo, data la forza della voce dei 5 detenuti e la
determinazione di parenti e solidali in loro sostegno. La verità è scomoda da dire e da sostenere,
infatti non in tutti i casi è stata riportata per quello che è o è stata detta parzialmente. In un caso,
invece, un giornalista è stato licenziato per l’articolo scritto.
Molti giornali e media ufficiali, a marzo, avevano riportato senza se e senza ma la voce dei
carcerieri: i 14 morti durante le rivolte di marzo, 9 dei quali deceduti a Modena o in trasferimento
dal carcere di quella città, erano morti per overdose a loro dire. Ma dei pestaggi e degli spari
nessuno aveva parlato.
A detta del carcere di Modena, gli interrogatori dei 5 uomini che hanno fatto l’esposto sarebbero
dovuti avvenire lunedì. La realtà è stata diversa: sin da venerdì 18 il procuratore ha svolto gli
interrogatori. A questi sono seguiti trasferimenti in differenti carceri. L’intento, ancora una volta, è
la frammentazione e l’isolamento.
Al momento si conoscono le destinazioni di 4 dei 5 detenuti. Tutti loro, dopo l’isolamento effettuato
a Modena, verranno sottoposti a nuovo isolamento nelle rispettive destinazioni.
Una cosa è chiara: la forza e il coraggio di queste 5 persone vanno sostenuti con forza.
La solidarietà, nelle sue molteplici forme, va portata avanti per ridurre l’effetto di questa
frammentazione.
Lanciamo un forte invito a scrivere a tutti loro! Non lasciamoli soli: una lettera, una cartolina, un
telegramma! Spezziamo l’isolamento e rafforziamo la solidarietà.

Di seguito gli indirizzi, ad ora conosciuti, delle nuove destinazioni:

Claudio Cipriani
C.C. Parma, Strada Burla 57, 43122 Parma

Ferruccio Bianco
C.C. Reggio Emilia, Via Luigi Settembrini 8, 42123 Reggio Emilia

Francesco D’angelo
C.C. Ferrara, Via Arginone 327, 44122 Ferrara

Mattia Palloni
C.C. Ancona Montacuto, Via Montecavallo 73, 60100 Ancona

Belmonte Cavazza
C.C. Piacenza, Strada delle Novate 65, 29122 Piacenza.

SE LE MURA DELLE CARCERI SONO ALTE, SE CON LA DISPERSIONE PROVANO A
DIVIDERE CHI ALZA LA VOCE INSIEME, LA SOLIDARIETÀ LE SUPERA E CI TIENE
UNITE/I.

Sulle morti a Rebibbia

Data di trasmissione
Durata 11m 42s

In collegamento telefonico con una parente di un detenuto a Rebibbia parliamo della situazione all'interno del carcere e delle ennesime morti di Stato.

A seguire un comunicato della Rete Evasioni.

https://www.inventati.org/rete_evasioni/?p=3664

LA CONTA

“Già 22 detenuti suicidi dall’inizio dell’anno 2020…”,
“…sottolinea come questo sia l’ottavo decesso in un carcere del Lazio nel 2010, il terzo per suicidio”.

Questi gli incipit degli articoli, per altro pochissimi, seguiti alla morte di un uomo nel carcere di Rebibbia.
Nel carcere la conta è una prassi che vede i secondini, più volte nella giornata, presenti nella sezione e impegnati nell’odioso compito di contare le persone detenute.
Quelle vive, però…
Evidentemente questa attività trova la sua continuazione anche nella “conta” dei morti di carcere.
Perché, lo affermiamo per l’ennesima volta, quelle morti non possono essere annoverate nella categoria dei suicidi. Troppo comodo delegare il tutto alla volontà soggettiva. Troppo utile, troppo in odor di alibi.

Le morti in carcere sono dovute alla condizione di prostrazione psico-fisica a cui il sistema carcere induce. Una condizione che chiunque abbia vissuto la galera sulla propria pelle conosce molto bene e che non sempre si riesce a superare.
Una condizione che, per altro, è abbondantemente prevista dagli stessi operatori interni (guardie e non solo), visto che il primo colloquio di ingresso avviene con la figura dello psicologo il quale (con la freddezza e l’insensatezza tipica dei protocolli) ti chiede “Hai intenzioni suicidarie?”.
E parliamo della condizione detentiva “normale”, quella cioè non ulteriormente influenzata da contingenze particolari quale, per esempio, quella attuale data dall’emergenza Covid.
Persone detenute trattate come sempre (perché anche questa è prassi del sistema carcerario) da infanti, a cui non dare alcuna spiegazione su quanto stesse accadendo, salvo improvvise comunicazioni di interruzione dei colloqui con i propri affetti. Le uniche notizie erano quelle diffuse attraverso i canali televisivi e chiunque può ravvisare quanto elevato fosse il livello di paura che causavano.
Ci sono volute le rivolte di marzo, legittimamente rabbiose perché spinte dalla autodifesa a salvaguardia della propria vita, a far sì che ci fosse una parvenza di presa in carico da parte delle istituzioni, governative e sanitarie, della salute delle persone detenute.
Tutto colpevolmente tardivo, tutto colpevolmente superficiale.
Tavoli di confronto e discussione istituzionali sul come organizzare le patrie galere e come intervenire per prevenire la diffusione del contagio, dai cinici titoli tipo #iorestoincarcere, hanno avuto alla fine come unico risultato alcune sezioni destinate a reparti Covid, in cui isolare le persone contagiate.
Non bisogna per forza essere anarchici estremisti per porsi la banale domanda “se svuotano un reparto per destinarlo alle persone contagiate, non si causerà inevitabilmente un affollamento degli altri?”
Ma è l’identico, perenne, futile giochetto a cui con tanta solerzia si dedica il DAP: le patrie galere come un’enorme scacchiera sulla quale spostare le pedine da un quadrato ad un altro, senza che nulla accada.
“Tutto cambia perché nulla cambi”.

Chi ha deciso di andarsene dalla galera Rebibbia, nell’unico modo che ha ritenuto in quel momento possibile, era in isolamento sanitario e non sappiamo né mai sapremo cosa davvero l’ha spinto a quell’estremo gesto.
Eppure non è necessario chissà quale particolare sforzo intuitivo (se ancora proviamo anche solo empatia) per comprendere la condizione emotiva in cui poteva versare, considerato per altro la procrastinata chiusura dei colloqui e, più in generale, di qualsiasi entrata dall’esterno, fatto salvo di chi con il carcere ha garantita la propria sopravvivenza economica, operatori e secondini.

Un tempo si parlava di istituzioni totali di cui il carcere ne era degno rappresentante.
Oggi il linguaggio democratico sembra aver epurato il proprio vocabolario da definizioni così inequivocabili.
Quella sostanza per noi resta ed è irriformabile.
Ogni morte in carcere non sarà mai da noi annoverata tra i suicidi.
Le vostre “conte” ci fanno ribrezzo e mai le dimenticheremo.
L’unica sicurezza è la libertà!

Rete Evasioni

Bonafede e i PM antimafia per calpestare la vita di migliaia di persone detenute

Data di trasmissione
Durata 33m 8s

A due mesi dalle rivolte nelle carceri italiane, mentre migliaia di persone detenute continuano a vivere in condizioni inaccettabili, cambiano i vertici del DAP (Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria), prendendo un piega autoritaria e sviando l'attenzione dai veri problemi della popolazione detenuta. Ne parliamo con un compagno in collegamento telefonico.

Buon Ascolto!

Aggiornamenti sulle carceri della Dozza e Rebibbia dopo la mobilitazione del 16 Aprile

Data di trasmissione
Durata 5m 27s
Durata 17m 22s
Durata 4m 57s
Durata 9m 10s

Dopo la giornata di mobilitazione del 16 Aprile a cui hanno aderito varie città, continuiamo l'aggiornamento sulla situazione nelle carceri e sulle proteste dei parenti delle persone detenute e dei/delle solidali. 
In collegamento telefonico parliamo della mobilitazione sotto le carceri della Dozza a Bologna e Rebibbia a Roma. Più due testimonianze di chi ha i propri affetti nel carcere di Rebibbia. 

Buon Ascolto!