Ascolta lo streaming di Radio Onda Rossa

femminismo

La Parentesi di Elisabetta del 18/02/2015 " Forse ce ne siamo dimenticate...."

Data di trasmissione
“Forse ce ne siamo dimenticate…..”

Immagine rimossa.

Quando, alcuni anni fa, è stato diffuso il rapporto Nato “Urban Operations in the Year 2020”, abbiamo sentito un brivido lungo la schiena e inquietudine serpeggiante si è impadronita di noi. Non che noi non sapessimo come si muove il neoliberismo, la violenza che mette e sa mettere in atto, la sua completa mancanza di scrupoli condotto dall’unica idea guida del profitto, però quando abbiamo letto le parole con cui il Rapporto spiegava quello che sarebbe successo di lì al 2020 e come il potere socio-economico-politico si sarebbe mosso, ci siamo sentite spiazzate.

L’Operazione Terrestre o Operazione Urbana (UO-2020) all’orizzonte dell’anno 2020 esaminava la natura probabile dei campi di battaglia, i tipi di forze terrestri le loro caratteristiche e capacità.

iIl “Rapporto Urban Operations in the Year 2020” era redatto dalla RTO (Studies Analysis and Simulation Panel Group, SAS-030) :
La RTO, l’Organizzazione per la Ricerca e la Tecnologia della NATO è il centro di convergenza delle attività di ricerche/tecnologiche (R&T) per la difesa in seno alla NATO.

Riportiamo virgolettato dal testo: «Lo spazio di battaglia dell’anno 2020 sarà variabile in densità, non-lineare e più disperso. Sarà di natura cellulare, multidirezionale e sempre più determinato da elementi aerei e spaziali che si trovano al disopra del campo di battaglia. L’ambiente urbano sarà l’ambiente di conflitto più difficile, ma allo stesso tempo il più probabile». Questo dice e, in un contesto così delineato, si sottolinea la centralità di una razionalizzazione dell’interoperabilità delle forze NATO, dato anche l’allargamento seguìto al crollo del Patto di Varsavia, e, in particolare, da un punto di vista strettamente operativo, si caldeggia il dominio sull’informazione, una maggiore capacità tecnologico-militare e una ottimizzazione della logistica.

Alcune branche tecnologiche sono considerate d’importanza cruciale ed elenca, testualmente, «……le tecnologie elettriche ad alta potenza, le armi ad energia diretta, le tecnologie informatiche, le tecnologie delle telecomunicazioni, le tecnologie per la guerra elettronica e dell’informazione, i dispositivi elettronici, la biotecnologia, le tecnologie delle strutture e dei materiali, i fattori umani e le interfacce uomo-macchina, le tecnologie d’attacco di precisione, l’automatizzazione e la robotica».
L’interesse degli esperti NATO verso gli scenari urbani non è affatto casuale, è messa in preventivo la rivolta nei paesi occidentali e dato che le aree metropolitane continuano a crescere senza posa e a catalizzare la conflittualità sociale e politica, i contingenti militari impegnati nelle missioni NATO si trovano sempre più spesso a dover operare in ambienti urbani dove vengono a cadere gli elementi tattico-strategici che erano tipici dei grandi conflitti bellici del Novecento. Inoltre, la complessità “umana” e sociale degli scenari urbani, nell’ottica di una salvaguardia spettacolare di quelli che sono i miti democratici fondativi di un organismo come la NATO, aumenta la problematicità degli interventi e rende necessaria una versatilità tattica contro i punti critici del “nemico”.

Quindi, sapevano e sanno tutto…..cosa faremo… come ci muoveremo… come proveremo a ribellarci… e questo prima ancora della nostra ribellione…….il brivido si trasforma in una sensazione di inadeguatezza e di impotenza. Dovremmo essere noi a pensare per prime/i, dovremmo essere noi a inventare  sistemi di lotta.

Lo stesso brivido lo avevamo sentito quando nel ‘99 le truppe Nato avevano attaccato la Jugoslavia, bombardato le fabbriche di Belgrado e l’ambasciata cinese (per vedere l’effetto che fa?), quando il governo D’Alema aveva trascinato l’Italia in una guerra senza l’ombrello dell’Onu e senza avallo del Parlamento. La guerra era lì, di nuovo in Europa, al di là di uno straccio di mare.

Era la nuova legittimazione della Nato. Concepita in funzione anti patto di Varsavia, una volta sciolto questo, non avrebbe avuto più motivo di esistere. L’aggressione alla Jugoslavia ha fornito agli Stati Uniti l’occasione per avviare il nuovo concetto strategico della Nato, quello di esercito di aggressione al servizio dell’imperialismo statunitense. per rovesciare governi asimmetrici ai suoi interessi e come polizia militare per reprimere le rivolte popolari nel cuore stesso dei paesi occidentali.. Non si tratta più di affrontare direttamente il “nemico”, ma di modellare le condizioni per migliorare e rendere più efficace il proprio ingaggio militare tattico.

E qui intervengono le cinque fasi di gestione militare delle operazioni urbane, ovvero l’USECT:

“Understand”/Conoscenza dell’ambiente/ saper individuare e valutare le infrastrutture fisiche principali, le specificità sociali politiche e culturali della popolazione, le modalità di circolazione e di controllo locale delle informazioni, la possibilità di creare o sviluppare forze “collaborazioniste”…;

“Shape”/Modellamento/ capacità di creare enclavi sicure per la popolazione civile e/o di isolare le forze nemiche anche inibendo le loro potenzialità “culturali” e comunicative nei confronti dei civili…;

“Engage”/Ingaggio militare spaziare da operazioni di combattimento su vasta scala a interventi umanitari nei confronti dei civili e che si pone come fine il raggiungimento degli obiettivi tattico-strategici prefissati a monte dell’azione….;

“Consolidate”/Consolidamento/) consolidamento delle posizioni conquistate e progressiva disorganizzazione dell’avversario, soprattutto grazie all’instaurazione di poteri locali “amici” e al controllo sui piani di ricostruzione….;

“Transition” /Transizione/ riconsegna dei meccanismi di controllo dell’area urbana alle autorità locali con progressivo sganciamento del contingente militare impiegato.

Forse abbiamo dimenticato tutto questo? Forse quello che sta succedendo in Ucraina non ci fa correre i brividi lungo la schiena? La Siria e l’Ucraina, passando per l’Iraq e la Libia, sono gli ultimi tasselli. Da qui, anche, la cooptazione nella Nato di paesi dell’Est europeo.

Questo è il senso del ruolo della Nato che a partire dalla Jugoslavia ha destabilizzato interi paesi e aree geografiche, questo è il senso dell’apparizione dei Talebani, dell’Isis e di tutta la pletora degli integralismi musulmani, pagati, equipaggiati ed addestrati dagli Stati Uniti direttamente o tramite gli stati vassalli.. Qatar.. Arabia Saudita… Bahrain, questo è senso del rovesciamento di Saddam Hussein e della sua impiccagione, questo è il senso dell’aggressione alla Libia e del linciaggio di Gheddafi, questo e non altro è il senso dell’aggressione alla Siria e del colpo di stato in Ucraina.

La Nato oggi si propone come polizia internazionale rompendo la divisione tradizionale tra esercito e polizia, trasformando intere aree geografiche in luoghi di detenzione a cielo aperto, balcanizzando interi ambiti geografici con la nascita di Stati da trasformare in basi militari Usa, crocevia di ogni traffico illecito sul modello del Kossovo.

La Nato non è più un problema solo di chi si pone in maniera antagonista, non è più un problema esclusivamente politico e ideologico, è motivo di preoccupazione per tutti/e quelli/e che pensano che diritti civili, diritto internazionale e autodeterminazione dei popoli non siano solo parole vuote di propaganda.

Per questo l’uscita dell’Italia dalla Nato diventa tema centrale su cui mobilitare e riunire tutte le forze che rifiutano il modello neoliberista, che sperano in una politica internazionale pluralista sottratta al monopolio di un solo paese e che ricercano autenticamente scenari di pace.

Uscire dalla Nato, chiudere le basi Nato in Italia, oggi è uno degli obiettivi politici più importanti che abbiamo di fronte. Le analisi politiche non possono essere solo esercizio teorico, devono tramutarsi in scelte precise.

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/02/19/la-parentesi-di-elisab…

Trasmissione dell'11/02/2015 "Contro la guerra del Capitale, contro l'ordine patriarcale"

Data di trasmissione
Durata
Puntata dell’ 11/02/2015

“Contro la guerra del Capitale, contro l’ordine patriarcale”

Immagine rimossa.” Non ho voluto essere razione di carne per l’uomo né dare schiavi ai Cesari” Louise Michel/ < La  Coordinamenta verso l’8 marzo… >
NO ALLA GUERRA!
Contro la guerra del Capitale/Contro l’ordine patriarcale/ Fronte esterno e fronte interno/ Distruggi l’immagine mercificata dell’amor borghese”

 

 

La Parentesi di Elisabetta dell'11/02/2015 "Fronte esterno e fronte interno"

Data di trasmissione
Durata
“Fronte esterno e fronte interno”

        C’è un fronte esterno in cui si esprime l’imperialismo e la pretesa egemonica dello Stato del capitale, gli Usa. Gli Stati Uniti, supportati da alleati e vassalli e con la Nato trasformata in esercito di aggressione, intendono piegare tutti gli stati asimmetrici ai loro interessi. Le guerre neocoloniali ….. la destabilizzazioni di stati sovrani come ora l’Ucraina… non sono altro che l’esplicitazione della pretesa di dominio USA. L’Ucraina è il terreno su cui piegare la Russia, altrimenti sarà la guerra con tutto ciò che un conflitto mondiale può esprimere ora. Merkel e Hollande si sono precipitati a cercare di convincere Putin perché l’Europa è ad altissimo rischio in caso di conflitto. Gli interessi dell’Europa non sono quelli degli Stati Uniti e ciò nonostante Francia e Germania non si potranno sottrarre. Le richieste che gli Usa pretendono che Putin rispetti, mi ricordano tanto un vecchio film del 1979 “Zulù Dawn” in cui gli inglesi in Sudafrica propongono al sovrano Zulù un accordo irricevibile per non scatenare il conflitto, ma lo scopo reale è quello di scatenarlo proprio attraverso l’improponibilità delle richieste

Immagine rimossa.

Smascherare i meccanismi reali è necessario, ma sono così sotto gli occhi di tutti che non ce n’è neppure bisogno. Il nostro no alla guerra imperialista è totale, assoluto e irrevocabile.

E c’è un fronte interno. Il neoliberismo ha scatenato la guerra alle cittadine e ai cittadini dei paesi occidentali, è una scelta ideologica a tutto campo. Sono stati chiusi tutti gli spazi di mediazione, l’impoverimento che in misura diversa colpisce tanti strati sociali ed è sempre più profondo non è il risultato non previsto di una presunta crisi economica ma è voluto e calcolato . Il controllo sociale è serrato, la militarizzazione dei territori e delle città mette in scena il rapporto Nato “Urban Operations 2020”. Chi si oppone come in Val di Susa, chi manifesta il proprio dissenso, chi trasgredisce viene immediatamente criminalizzata/o con pesanti condanne penali e amministrative che mirano a colpire la vita materiale dei singoli/e e a metterli nell’impossibilità di essere antagonisti/e, pena la perdita di tutto quello che hanno. Il neoliberismo è riuscito a mettere poveri contro poveri, così detti cittadini legittimi contro migranti, occupati contro disoccupati….Il PD e i suoi collaterali sono i principali artefici della naturalizzazione del neoliberismo qui da noi. Il riconoscimento del nemico e saper distinguere l’aggressore e l’aggredito sono passaggi fondamentali del fare politico.

Dovremmo cercare di ripensare le modalità di lotta e di coinvolgere tutti gli strati sociali attaccati dal neoliberismo.

Poi c’è un altro fronte esterno che riguarda il nostro specifico.

Dobbiamo fare i conti con la strumentalizzazione che il neoliberismo fa dei diritti umani, del razzismo, delle oppressioni e della violenza sulle donne e sulle diversità. La modalità di sottomissione e di gestione delle donne e delle diversità sessuali è cambiata, non avviene più attraverso la condanna sociale diretta, ma attraverso la colpevolizzazione attuata dal politicamente corretto, la tutela vittimizzante che prevede l’asservimento volontario. L’emancipazione è diventata uno strumento per inglobare le soggettività che in cambio della propria personale promozione, aderiscono e si fanno sponsor dei valori della società neoliberista e partecipano attivamente all’oppressione di tutte le altre e tutti gli altri. L’emancipazione delle donne e delle diversità sessuali e l’integrazione che si pretende dai/dalle migranti sono meccanismi simili: chi è disponibile viene inglobato/a, ma deve assumere i valori di questa società, deve mettersi una maschera bianca, diventare più realista del re e partecipare alla condanna e alla persecuzione di tutte quelli e tutte quelli indisponibili a questa soluzione.

Mai come in questo momento il genere è stato attraversato dalla classe e il tradimento di genere di quelle che si sono vendute al patriarcato assumendo i valori di questa società, va denunciato e smascherato.

Poi c’è un altro fronte interno. E’ la gabbia, anzi il sistema di gabbie, in cui ognuna di noi è chiusa, fatto di norme, stereotipi, convenzioni, ritualità, normalità….giudizi… condanna sociale…. spesso introiettate in maniera inconsapevole anche da noi stesse, contro cui combattiamo tutti i giorni cercando di prenderne consapevolezza, di renderle palesi , di metterle in discussione…ma anche questo non è facile. Spesso quando pensiamo di aver spezzato queste invisibili sbarre della gabbia che ci circonda, scopriamo che ce n’è un’altra, in un perverso gioco di scatole cinesi. E in tutto questo ci sono gioie e dolori…. un bicchiere di vino… carezze…sorrisi oppure rabbia… impotenza …insoddisfazione… insicurezza… sbagli…ci siamo noi, insomma, femministe e compagne, sempre.

 

 

 

 

Trasmissione del 4/02/2015 "Stupri di pace, stupri di guerra"

Data di trasmissione
Durata
Puntata del 4/02/2015

"Stupri di pace, stupri di guerra"

Immagine rimossa.

“Dietro l’idea di <differenza> si cela la dominazione“ Colette Guillaumin/ Stupri di pace, stupri di guerra - prima parte/Giallo e rosso/ Stupri di pace, stupri di guerra -seconda parte/

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/02/07/podcast-della-trasmissione-del-4022015-2/

La Parentesi di Elisabetta del 4/02/2015 "Giallo e rosso"

Data di trasmissione
Durata
“Giallo e rosso”

Immagine rimossa. Immagine rimossa.A Roma, la scalinata di Viale Glorioso che porta da Trastevere al Gianicolo era stata dipinte con i colori giallo e rosso per festeggiare la vittoria del secondo scudetto della Roma dell’ 82/83.

Questa presenza storica nel panorama della città è stata nei giorni scorso sbiancata su disposizione dell’ineffabile sindaco Marino che bisogna sempre ricordare che è dirigente del PD nonché noto medico trapiantista.

La vicenda va ben al di là del tema strettamente contingente perché denota una mentalità per cui non contano ideali, sogni, speranze e passioni, ma un presunto decoro.

Chiarito che dipingere una scalinata in giallo e rosso non deturpa niente, è necessaria una ulteriore e ben più importante precisazione: chi ha sollecitato l’iniziativa e chi materialmente l’ha eseguita ( non si nasconda dietro il ditino di formulazioni tanto accattivanti quanto fuorvianti) con la stessa logica avrebbe cancellato anche “W l’Italia” durante il Risorgimento e “Via i tedeschi” durante l’occupazione nazista di Roma.

E’ la stessa mentalità per cui un altro dirigente del Pd, ex segretario della CGIL, che ogni tanto viene riproposto, bontà sua, come leader di una fantomatica sinistra che dovrebbe rinascere, Cofferati, sanzionava le scritte fatte durante i cortei a Bologna perché violavano la proprietà privata dei palazzi e la bellezza della città e voleva far pagare ai manifestanti stessi, sempre bontà sua, e agli organizzatori le spese per la pulizia delle strade dopo la manifestazione.

Per non parlare dell’ex segretario del PD, ex direttore dell’Unità, Walter Veltroni, che quando era sindaco di Roma ha fatto affiggere manifesti per tutta la città, questi sì con spreco di denaro pubblico e deturpamento dell’ambiente urbano, che invitavano, con tanto di numero telefonico, la cittadinanza a denunciare chi osava scrivere sui muri. Non solo, ma aveva tentato di istituire un repertorio di chi acquistava bombolette spray e/o vernice nei negozi di ferramenta e affini con l’obbligo per i commercianti di tenere aggiornato l’elenco trasformandoli in poliziotti ausiliari.

In definitiva il culto della delazione da instillare nei cittadini/e, la mentalità poliziesca in cui imbrigliare commercianti e commessi/e.

Tutti questi avvenimenti, però, non sono fatti isolati, ma pezzi del mosaico che fa sì che il ministero degli interni e la polizia si costituiscano parte civile nei processi contro i manifestanti, magari, guarda caso, contro i/le Notav e fiocchino le condanne amministrative con relativi risarcimenti danni che sono veri e propri macigni contro ogni forma di dissenso. Vorrebbero farci protestare solo e soltanto con processioni dove chiedere, sapendo in anticipo che non otterremo nulla, una qualche grazia all’autorità costituita che ha sostituito dio , la madonna e i santi.

Un’ubriacatura , un’onnipotenza di potere che per potersi esercitare deve arrivare in ogni anfratto dei territori, delle città, dei quartieri e delle vite personali.

Noi siamo femministe e scriveremo sempre e comunque in ogni dove e su qualunque scalinata che non c’è proprietà privata, autorità civile, simbolo religioso rispetto a cui ci fermeremo con ossequioso rispetto. La nostra vita, la nostra libertà di scelta vale molto di più di qualsiasi muro pulito.

Non dimentichiamo che quando ci fu l’aggressione alla Jugoslavia, con la violazione della costituzione e senza l’approvazione del parlamento, apparvero a Roma tante scritte sui muri contro i bombardamenti delle fabbriche di Belgrado e contro D’Alema, allora presidente del consiglio, scritte che furono cancellate in una notte, sindaco Francesco Rutelli, dal solito ineffabile ufficio al decoro urbano.

Sindaci e servizio che sono stati, invece, latitanti quando, sempre a Roma, in via Angelo Emo apparve una scritta che diceva “partigiani vermi”. In quell’occasione hanno voltato gli occhi da un’altra parte: la proprietà privata e il decoro urbano non erano più così importanti.

La scritta è stata corretta da una mano sensibile che ha sostituito la parola vermi con “viva i partigiani” E nessuno l’ha vista, per fortuna, questa mano, perché altrimenti sarebbe incorsa nei rigori della legge.

Tutto questo è controllo sociale e fa parte di un unico progetto insieme ai lampioni intelligenti , alle ZTL, alle telecamere, alle cimici ambientali nei locali pubblici…..naturalmente veicolato con nobili motivazioni, tanto che girano per la città zelanti volontari che sotto l’egida del comune e a titolo gratuito, si prestano a cancellare scritte e staccare adesivi senza rendersi conto che sono parte di un sistema di repressione, che si prestano al controllo poliziesco del sociale, che fanno passare il principio che si possono far lavorare gratis le persone.

Il neoliberismo è un progetto scellerato e nazista e in Italia lo naturalizza il PD.

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/02/05/la-parentesi-di-elisabetta-del-4022015/

Trasmissione del 28/01/2015 "Con cosa dobbiamo fare i conti..."

Data di trasmissione
Durata
Puntata del 28/01/2015

Con cosa dobbiamo fare i conti…..

Immagine rimossa. ” Ma quale memoria? / Attualità femminista “Con cosa dobbiamo fare i conti….”/  Borsa nera/  <Quell* che non hanno il genere, ma hanno la classe>La miseria del sovversivismo”

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/01/30/podcast-della-trasmissione-del-28012015/

Quell* che non hanno il genere, ma hanno la classe" del 28/01/2015 "La miseria del sovversivismo"

Data di trasmissione

“La miseria del sovversivismo”

  Immagine rimossa.Si creano spesso polemiche su quali scelte siano rivoluzionarie, o quantomeno le più sovversive da farsi, e viceversa. Credo che questo dibattito non abbia niente di politicamente produttivo e abbia tutto di alienante per ogni parte coinvolta. La “sovversività” di qualcosa dipende dal contesto in cui quel qualcosa viene agito – e perciò si può attribuire ad un azione o un discorso un carattere sovversivo soltanto in una contigenza ben precisa, poiché questi sono un prodotto storico e culturale di determinante circostanze; queste stesse circostanze ne determinano il significato e, ne consegue, l’eventuale divergenza dallo stato di cose presenti e dall’egemonia culturale attuale.

Adottare uno sguardo intersezionale mette in luce l’inconsistenza di questa idea, dal momento che ne smaschera la pretesa di universalità. Come si può dire ad esempio cosa è sovversivo per una donna fare se già soltanto tenendo in considerazione la diversità tra donne bianche e quelle che non lo sono l’esperienza cambia profondamente e con lei anche l’ipotetico da farsi rivoluzionario? Per le bianche è stato sovversivo uscire dalle mura di casa e farsi strada nel sociale, nel pubblico; per le non bianche si può dire altrettanto, quando la schiavitù coloniale andava a colpirle proprio recidendo ogni tipo di legame familiare?

L’idea di una scelta sovversiva mi richiama alla mente, nella sua ingenua socialdemocraticità, un’altra idea, che è anche una pratica: quella del consumismo etico. Entrambe postulano prima di ogni cosa che sia possibile scegliere e che dal momento che è possibile scegliere, la scelta da fare è quella che viene posizionata come eticamente (e quindi politicamente) auspicabile.  Ci sono buoni motivi per dubitare che questa possibilità di scelta esista e ce ne sono altrettanti per sconfessare l’imprescindibilità di certe scelte, e cito quella che mi sembra più significativa: il rischio ahimè piuttosto concreto di una critica che continui a vertere inutilmente sul gesto individuale senza tenere minimamente conto né delle sue ragioni né del contesto in cui si svolge, perseguendo un ideale fascista di coerenza più vicino al martirio che alla lotta contro ogni forma di oppressione.

Il sovversivismo non è un -ismo per come lo concepiamo di solito, cioè  discriminazione, oppressione, ostilità aperta o sottile e molto altro che riguarda una specifica categoria di soggetti umani o non umani in maniera sistematica. È più un modo di pensare teso alla trasgressività compulsiva. Julia Serano in Whipping Girl lo definisce in maniera molto più precisa e contestuale all’ambiente femminista e queer: il sovversivismo è la pratica di esaltazione di certi generi, certe espressioni sessuali e certe identità semplicemente perché sono non convenzionali o non conformi. Serano dice:

In superficie, il sovversivismo dà l’apparenza di ospitare una serie apparentemente infinita di generi e sessualità, ma questo non è proprio il caso. Il sovversivismo ha confini molto specifici; ha un “altro”. Glorificando identità e le espressioni che sembrano sovvertire o sfocare i binari di genere, il sovversivismo crea automaticamente una categoria reciproca di persone le cui identità di genere e sessuali e le espressioni sono di default intrinsecamente conservatrici,  addirittura “egemoniche”, perché sono viste come rinforzo o naturalizzazione del sistema del binarismo di genere.

Julia Serano, nel suo libro, lo usa per descrivere come gli atteggiamenti sovversivisti si manifestino negli spazi queer e trans contemporanei, in cui i maschi / le identità transmaschili sono visti come più sovversivi rispetto a quelle femminili / transfemminili , e dove le identità e le espressioni (ad esempio le pratiche legate al drag, l’essere genderqueer) che sfocano il genere sono viste come più sovversive di quelle identità considerate binarie (ad esempio, donne e uomini transessuali).

Un altro esempio di questo atteggiamento è costituito dall’esclusione delle persone bisessuali, giustificata per l’appunto con argomentazioni risibili quali il rafforzamento del binarismo di genere, il quale deriva dall’errata considerazione che l’interpretazione letterale dell’etim0logia di una parola ne indica il significato odierno. Se bisessuale è un esercizio di binarismo per via del fatto che bi significa due, allora le lesbiche provengono dall’isola di Lesbo, percependo salari in cloruro di sodio. Bisessuale, proprio come omosessuale e transessuale, è una parola nata nel contesto medico e reclamata dalla comunità arcobaleno, perciò il suo binarismo vero o presunto non è affibbiabile alla c0munità, agli individui che ne fanno parte e all’identità romantico-sessuale che rappresenta, specie se una parte considerevole delle organizzazioni e comunità di persone bisessuali adottano una definizione di bisessualità che binarista non è. Se pensiamo altrimenti, dovremmo accusare coloro che si definiscono omosessuali di autopatologizzarsi. C’è un binarismo di genere, certo, ma  le accuse di rinforzo arrivano a una comunità piuttosto marginalizzata. È curioso che tutti si preoccupino di chi per davvero o per finta rafforza il binarismo senza preoccuparsi di chi, in primo luogo, l’ha edificato nei corpi e nelle esperienze. Questi censori sono funzionali alla guerra intracomunitaria, al mantenimento del mortifero dominio eterosessista, e sono considerevolmente responsabili dell’indisturbato proseguire delle ingiustizie inquadrate dalle agghiaccianti statistiche che riguardano le persone bisessuali. Ma ritorniamo a noi.

Quello del “rinforzo” è un mito, prodotto proprio dal binarismo di radicalità/non-radicalità, il sovversivismo appunto, attuato da soggettività che nel tentativo di abbattere gerarchie ne costruiscono altre, generando un’altra diversità, un nuovo “altro da sé”, che si suppone conservatore e per questo è considerato cattivo; inoltre, un grosso pericolo del sovversivismo risiede nel fatto che esso genera un processo di esclusione di ciò che sembra meno trasgressivo, atipico, non convenzionale e poi si rende complice della sussunzione neoliberista della gettonata controparte “sovversiva” commerciandola, perciò  depoliticizzandola e depotenziandola nelle sue già scarse potenzialità. Infine, esso si accompagna quasi inevitabilmente alla ricerca della purezza militante individuale, un mostro  che trasforma la solidarietà in competizione e l’azione diretta in mania di protagonismo, cuocendo ogni potenzialità di cambiamento sociale nel brodo di un più che disumano ultraindividualismo celolunghista. E questo è quanto mi basta per rifiutarlo con tutto me stesso.

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/01/29/la-miseria-del-sovversivismo/

La Parentesi di Elisabetta del 28/01/2015 "Borsa nera"

Data di trasmissione
“Borsa nera”

Immagine rimossa.  Immagine rimossa.Durante gli anni della seconda guerra mondiale e in quelli immediatamente successivi si verificò il fenomeno della borsa nera. Nonostante le pene fossero molto severe divenne così importante che coinvolse molta parte della popolazione.

La minoranza che non ne ebbe bisogno apparteneva ad un ambito privilegiato. Anche in guerra e nei periodi di crisi c’è chi sta bene e magari accumula grandi ricchezze sul dolore e la miseria dei/delle più.

Nonostante le campagne di demonizzazione che propagandavano che la borsa nera era “contro la patria”, che sabotava lo sforzo bellico, che imboscava le derrate alimentari…. e nonostante la repressione vera e propria che arrivava fino alla fucilazione, il mercato clandestino finì in concomitanza con il miglioramento delle condizioni sociali degli anni ’50.

Questo conferma l’inconsistenza di chi pensa che il ricorrere a mezzi definiti illegali da parte dei più sia qualche cosa di leggibile antropologicamente, magari con risvolti razzisti, da far ricadere sulla testa di …migranti….Rom…meridionali…senza tetto…disadattati sociali a vario titolo insofferenti alle regole …..non a caso i più poveri e le più povere.

La maggior parte delle persone la notte vorrebbe dormire sonni tranquilli e se sceglie strade che questo sistema definisce illegali lo fa perché le sue condizioni economiche sono inaccettabili o perché il livello di sopruso ha raggiunto limiti di intollerabilità.

Perché abbiamo ricordato la borsa nera? Perché la gente dimentica, non fa tesoro di quello che racconta la storia e si fa coinvolgere dall’ideologia dominante.

La memoria non dovrebbe servire a oleografiche cerimonie sterili, funzionali a far dimenticare che le situazioni si ripetono seppure sotto altre vesti, ma ci dovrebbe ricordare che i protagonisti sono sempre gli stessi e la stesse.

La platea dei poveri in Italia, per limitare il discorso al nostro paese, si allarga e i poveri e le povere sono sempre più poveri/e e perciò possiamo ipotizzare verosimilmente che tanti, troppi dovranno trovare loro malgrado una soluzione per mangiare almeno una volta al giorno, per avere un tetto sopra la testa, per accedere alle cure, per comprare un paio di scarpe, un cappotto e mandare i figli e le figlie a scuola.

A nessuno/a piace vivere sotto i ponti o in una macchina, per chi ce l’ha, o andare a dormire negli ospedali pubblici o alla stazione o lavare i vetri ai semafori e magari avere un bambino/a a cui è negata la mensa scolastica perché non ha pagato la retta.

I gretti, gli indifferenti, i benpensanti non siano tanto sicuri della loro attuale condizione economica, l’esperienza greca e portoghese ce lo insegna, il modello americano si sta espandendo anche in Europa. Le statistiche ufficiali statunitensi, naturalmente false e taroccate al ribasso, ci dicono che 50 milioni di americani vivono in condizioni di povertà da paesi del terzo mondo.

Gettare nella pattumiera il neoliberismo, questo mostro tentacolare dalle mani adunche e insanguinate che lacera la condizione dei/delle più per il privilegio sgangherato e volgare di una minoranza, è una necessità. Chi ne veicola i valori per tornaconto personale non si creda assolto e assolta, dietro il belletto e il trucco delle belle e forbite parole c’è il volto della morte che semina lutti.

I ruoli sono sempre gli stessi, c’è chi rastrella, chi è attivo/a nelle espulsioni e detenzioni, chi picchia i manifestanti, chi licenzia, chi strumentalizza le oppressioni, chi fa finta di non vedere e si gira dall’altra parte…. E chi si espone, chi lotta, chi paga per questo un prezzo molto alto….

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/01/29/la-parentesi-di-elisabetta-del-28012015/

Trasmissione del 21/01/2015 " Il femminismo è antifascista, altrimenti non è femminismo"

Data di trasmissione
Durata
Puntata del 21/01/2015

Il femminismo è antifascista, altrimenti non è femminismo!Immagine rimossa.

 Tutto quello che ho
è il mio sguardo miope e astigmatico sul mondo
(che, comunque, vede meglio di tanti altri)…./
 Femminismo e antifascismo
“…una femminista è antifascista per definizione, altrimenti non è femminista…” da <Un altro genere di comunicazione>/ La Parentesi di Elisabetta ” I poveri, le povere e i cammelli/ Follia securitaria, collegamento con una compagna NoTav

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/01/23/podcast-della-trasmissione-del-21012015/

La Parentesi di Elisabetta del 21/01/2015 "I poveri,le povere e i cammelli"

Data di trasmissione
Durata
“I poveri/le povere e i cammelli”

Sembra, diciamo sembra perché le notizie dei media sono da prendere sempre con le molle, che una vecchietta di 82 anni, Giovannina, sfrattata da casa, abbia volutamente lasciata aperta la bombola del gas e scritto un biglietto in cui diceva che così l’appartamento , chi l’aveva sfrattata, non se lo sarebbe goduto. E l’appartamento è saltato in aria, provocando nel palazzo un morto e parecchi feriti.

Immagine rimossa.

Al di là delle letture psicologiche, antropologiche e innatistiche, che lasciamo a chi le teorizza e le motiva, è evidente che la povertà è una condizione sociale e politica e la sua percezione è cambiata nel corso del tempo.

Nella cultura giudaico-cristiana che tanta parte ha avuto nella storia dell’Europa, i poveri trovavano conforto nel principio che le pene che pur dovevano subire in questa vita, se fossero state accettate con serenità, sarebbero state ricompensate nell’aldilà.

In pratica la traduzione del principio evangelico “..è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco vada in paradiso”.

E questo si traduceva nel “dovere” dei ricchi di essere caritatevoli e di conquistarsi il regno dei cieli attraverso le opere, soprattutto di bene.

La prima rottura con questo quadro è operata dalla Riforma protestante nella versione luterano-calvinista che, recuperando Agostino in contrapposizione a Tommaso D’Aquino, teorizzava e teorizza che la ricchezza è la manifestazione tangibile della predilezione di dio.

Non a caso la Riforma per le modalità con cui si impose, reprimendo e soffocando le istanze comunistiche di Muntzer, costituì una spinta importante per l’affermarsi della borghesia e contribuì a creare le premesse perché la stessa si imponesse come classe dirigente.

Poi, il trionfo del capitalismo negli anni della sua affermazione, cioè nella stagione vittoriana, coincise con la percezione e la lettura dei poveri/e come delinquenti e dei quartieri popolari come problema di ordine pubblico.

Fu la Rivoluzione d’ottobre, trasformando il marxismo da tema per iniziati a strumento concreto e il comunismo da utopia, uno dei tanti sogni coltivati dall’umanità, a realtà realizzata e realizzabile, a costringere la borghesia ad affrontare il problema dei poveri/e con modalità diverse.

Fu la paura del comunismo che aleggiava dopo la rivoluzione d’ottobre a spingere la borghesia ad elaborare l’idea che fosse necessario, per la propria conservazione e crescita, un rapporto diverso sia con la povertà nei paesi occidentali, sia con i popoli del terzo mondo per i quali coniò la teoria del “desarrollo”.

La venuta meno della paura del comunismo, la demonizzazione della sua stessa idea e il contemporaneo autosviluppo del capitalismo che è approdato al neoliberismo, hanno rimosso nella borghesia qualsivoglia idea di mediazione con i poveri e le povere, qui da noi e nei paesi del terzo mondo.

Il capitale si mostra ora con il suo vero volto, senza il trucco con cui si era mascherato, e si esplicita compiutamente come nella stagione vittoriana.

I poveri sono tali per colpa loro e vanno affrontati con criteri di ordine pubblico. Sono potenzialmente tutti delinquenti.

I quartieri dove si affollano vanno percepiti con preoccupazione di ordine legale-poliziesco-militare.

I popoli del terzo mondo vanno riportati alla stagione coloniale, guidati da proconsoli occidentali di estrazione locale, devono rinunciare ad ogni pretesa di effettiva indipendenza, devono cedere le loro materie prime alle multinazionali occidentali e le popolazioni locali devono essere ridotte in semi-schiavitù e accettare la nostra penetrazione economica.

In definitiva una vittoria a tutto campo dei valori della cultura capitalista, una volta veicolata attraverso il principio della superiore civiltà e ora attraverso quello della vera democrazia.

Un cocktail esplosivo, mix di alcune idee guida: l’irriformabilità della natura umana, la naturalità delle differenze sociali, la normalità dell’ accettazione delle ingiustizie non più perché lo vuole dio, ma perché questo è il destino dell’umanità e lo vuole il mercato.

Ma, evidentemente, la vecchietta non si è fidata del premio nell’al di là e tanto meno della teoria del cammello. Non si è colpevolizzata per la sua condizione di indigenza pensando di meritarsi l’esclusione sociale per incapacità come teorizza il neoliberismo, ma non è neppure sprofondata in sensi di colpa e non si è vittimizzata come pretende questa società perché ha dichiarato di non essere affatto pentita.

Ma non è che forse qualcosa ha capito?

Ma se l’avessero trovata morta stecchita di freddo su qualche panchina, si sarebbe pentito qualcuno?

Ma di chi è la responsabilità di tutto questo, dello sfratto e del palazzo saltato in aria? La responsabilità è delle Istituzioni, di chi autorizza sfratti senza preoccuparsi di che fine faccia chi abitava lì, di chi gli sfratti li esegue nascondendosi dietro il comodo schermo della legalità e della legge, di chi non attiva i servizi sociali per trovare alternative abitative valide e dei servizi sociali stessi la cui unica preoccupazione sembra che sia togliere i figli/e alle madri detenute. Questo sfratto è passato attraverso diversi snodi istituzionali e tutti sono rimasti indifferenti alle conseguenze sociali delle loro scelte e dei loro comportamenti.

Il neoliberismo esplicita fino in fondo la natura del capitalismo ed è di una violenza inaudita ed è più che mai valido quello che diceva Rosa….o socialismo o barbarie.

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/01/22/la-parentesi-di-elisabetta-del-21012015/