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Interrotto Senato accademico a Torino

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Durata 19m 1s

"La guerra parte da qui" non è solo uno slogan, ma una realtà che gli studenti e le studenti di Torino hanno denunciato interrompendo il Senato Accademico. Mentre l'agibilità politica di piazza si restringe, gran parte dei giornali e degli "intellettuali" si spendono per criminalizzare e delegittimare chi mette in luce le collaborazioni con l'apparato militare di Israele e più in generale con la guerra. E' quanto accaduto ieri nell'università di Torino, dove diversi studenti hanno interrotto il senato accademico per denunciare gli accordi in cui l'università collabora con la guerra. Ne parliamo con una studente che ci racconta com'è andata ieri e le motivazioni della protesta. 

A scuola di regime

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Corrispondenza con uno studente di Torino che racconta la manifestazione che si è svolta stamattina nel capoluogo piemontese dove era attesa Giorgia Meloni al festival delle regioni.

Corrispondenza con Gianluca Gabrielli, storico e insegnante, con il quale riflettiamo sulla scuola del ventennio fascista e la scuola neoliberista di oggi.

Concludiamo con una riflessione su quest'ultima a partire dai test di ingresso "somministrati" alle/agli studenti.

Alcuni approfondimenti:

CESP di BOLOGNA

Strapparsi il fascismo di dosso

Giorgia Meloni contestata a Torino

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A Torino contestata la presenza della presidente del consiglio Giorgia Meloni, in città per partecipare al festival delle regioni. Centinaia di persone, per la maggior parte studenti e studentesse dell'Università e delle scuole superiori, hanno manifestato per le vie del centro, si registrano incidenti con la polizia e varie persone ferite.

La prima  corrispondenza è dalla piazza durante la mattinata

La seconda è una corrispondenza riassuntiva della giornata di lotta realizzata nel pomeriggio.

Voci dal e sul Carcere

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Durata 1h 1m 32s

Corrispondenza dal presidio sotto il carcere di Rebibbia. Leggiamo la lettera di una detenuta nel penitenziario Le Vallette di Torino e un importante articolo del gruppo Mamme in piazza per la libertà di dissenso. Riflettiamo insieme sull'estate pesante appena passata e sui tanti suicidi avvenuti nelle carceri italiane.

La Torino-Chivasso bloccata da Ultima Generazione

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Durata 6m 13s
 
 

Sei attivisti aderenti alla campagna “Non paghiamo il fossile”, promossa da Ultima Generazione, questa mattina hanno bloccato il traffico sulla strata provinciale 11 Padana Superiore Torino-Chivasso per circa 20 minuti. 

I manifestanti intorno alle 8 si sono piazzati in mezzo alla carreggiata bloccando il traffico per protestare contro la disattenzione dell'opinione pubblica sull'emergenza climatica. Si nodtri microfoni una di loro ci spiega le ragioni della protesta

Presidio Corte d'assise d'appello Torino 19 giugno - Scripta Manent

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Durata 6m 26s

corrispondenza con una compagna dell'assemblea torinese in solidarietà ad Alfredo contro il 41bis e l'ergastolo ostativo verso l'udienza del processo Scripta Manent del prossimo 19 giugno. Il processo vede imputati Alfredo ed Anna per il reato di strage politica e in concomitanza all'udienza è stato convocato un presidio di solidarietà di fronte al tribunale di Torino.

 

Segue il comunicato di indizione:

 

Appello alla presenza solidale

Lunedì 19 giugno, presso la Corte d'assise d'Appello di Torino, si terrà l'udienza per il ricalcolo delle  condanne per gli anarchici Anna Beniamino e Alfredo Cospito, nell'ambito del processo "Scripta
Manent".

Per quanto la Corte Costituzionale abbia dato indicazioni sulla possibilità di considerare alcune  attenuanti in questo ricalcolo, Anna rischia ancora una sentenza a più di 20 anni e Alfredo l'ergastolo.  Fattore non secondario: la giudice che aveva accettato l'eccezione sollevata dalla difesa degli imputati di ricorrere ad una consulta della Corte Costituzionale (rivelando così magari una sua predisposizione a  recepire l'indicazione di tale organismo) nel frattempo è andata in pensione e non si può prevedere come il giudice che presiederà l'udienza intenda comportarsi.

Di questo processo abbiamo già detto molto, soprattutto grazie allo sciopero della fame di Alfredo e la  mobilitazione che questa sua iniziativa ha reso possibile. Innanzitutto abbiamo cercato di evidenziare  come questa operazione di criminalizzazione di alcune idee e pratiche dell'anarchismo possa rivelarsi in  prospettiva un pericoloso precedente per la persecuzione delle azioni conflittuali, da qualunque  componente sociale o politica queste vengano messe in atto.
Per farla breve: quando si procede per "strage contro l'incolumità dello Stato" per sanzionare azioni che  non hanno fatto morti, feriti e neppure danni materiali rilevanti, l'oggettiva dinamica messa in atto dallo
Stato è quella di un irrigidimento repressivo che supera non solo il buon senso ma le stesse consuetudini giudiziarie. Uno "stravolgimento" dei termini e delle conseguenze penali che, facile prevedere, a cascata riguarderà anche altre azioni simili o, in proporzione, anche fatti di portata "minore".
Ma non è questo l'unico motivo per cui riteniamo sia importante una presenza solidale significativa per  l'udienza del 19 giugno. Due altre questioni vorremmo sollevare o ricordare per evidenziare
l'importanza di questo appuntamento.
La prima è la constatazione che queste condanne non vengono dal nulla ma sono frutto anche del  disinteresse che, a parte alcune componenti anarchiche e comuniste, ha accompagnato l'andamento del
processo "Scripta Manent". Considerata da molti, anche in ambito antagonista, come l'ennesima  operazione che andava a colpire i soliti, ritenuti marginali, ambiti dell'anarchismo d'azione, la mancanza
di un'attenzione diffusa e "trasversale" rispetto alle sorti dei/delle compagn* imputat* ha lasciato la
mano libera ai vari inquirenti per "andarci giù pesante". Non è la prima volta che accade certo, ma  altrettanto certamente è una questione su cui riflettere perché in futuro non ci si debba ritrovare, a giochi ormai fatti, a sbalordirsi per la dismisura delle pene comminate. E perché, soprattutto non ci si ritrovi  con la consapevolezza che nulla o poco si è fatto per impedire che, a uomini e donne che hanno lottato,  le sbarre chiudessero l'orizzonte per decenni se non per tutta la vita.
La seconda questione che, a nostro avviso, motiva con forza la partecipazione a questo momento  solidale sta nella coerenza con quanto si è espresso mille volte durante la mobilitazione degli scorsi  mesi: non solo non avremmo mai lasciato soli gli/le compagn* che con lo sciopero della fame ci hanno  messo il loro (tantissimo), ma l'impegno collettivo a rompere il silenzio che avvolge il 41-bis, l'ergastolo
ostativo, la persecuzione dei/delle rivoluzionari*, l'inasprimento repressivo generalizzato sarebbe andato
avanti al di là della specifica iniziativa dei/delle compagn* in sciopero.
Ora che si gioca una decisiva partita per il futuro di Alfredo e Anna, non possiamo relegare ai passati  mesi di forte mobilitazione la giusta tensione per contrastare la dinamica repressiva che vuole seppellirli in una cella e per continuare la lotta per una società senza oppressione né galera.
Il 19 giugno, dobbiamo esserci, in tant*,
fuori e dentro il Palazzo di Giustizia di Torino dalle 8.30!

Per chiudere
ci sembra opportuno ricordare che il 19 giugno, ogni anno, ci si mobilita in molte zone del  globo per la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero, data che rinnova la solidarietà a  tutt* i/le militanti imprigionat* in memoria del massacro di quasi 300 prigionier* politic* compiuto nel  1986 dall'esercito nelle carceri peruviane.


Assemblea contro il 41-bis e l'ergastolo ostativo - Torino
 

Sgombero delle famiglie rom in via Scarsellini a Torino

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Durata 10m 2s

Ha suscitato molta attenzione mediatica, anche al di fuori dei confini piemontesi, lo sgombero di alcuni alloggi popolari occupati da famiglie di origine rom a Torino, in via Scarsellini. Abbiamo chiesto un commento sulla vicenda a Dijana Pavlovic, attivista ed esponente del Movimento Khetane.

Di seguito il comunicato stampa del Movimento Khetane.

Legalità e umanità: lo sgombero di via Scarsellini a Torino
Otto famiglie rom - 58 persone, 30 bambini - sono state sgomberate venerdì 14 aprile dagli alloggi popolari che occupavano abusivamente da due anni nella periferia sud di Torino. Assessori regionali e comunali richiamano questo intervento al necessario ripristino della legalità. Si dice legalità e umanità, di solito. Ci sembra vergognoso che in questo caso l’unica alternativa proposta alle famiglie sia stata mettere le mamme nei centri di accoglienza ma con un figlio solo, se per caso ne hanno di più, gli altri da soli nelle comunità, i padri per strada. In questo caso legalità e umanità non sono andate d’accordo, ed è inutile dire che ovviamente nessuno ha accettato. Questo avviene mentre a Roma UNAR, ente governativo, presenta la Strategia nazionale per l’inclusione di rom e sinti che prevede ben altre modalità di intervento.
Il movimento Kethane rom e sinti per l’Italia, attivo a livello nazionale e locale e al quale aderisrcono circa 12.000 rom e sinti, ritiene che interventi di questo genere non fanno altro che spostare il problema da qualche altra parte, anche dal punto di vista della legalità, rendono ulteriormente precarie le condizioni di vita di queste famiglie, e chiede all’amministrazione comunale di rendersi disponibile per individuare modi e pratiche che sappiano davvero coniugare legalità e umanità, nel rispetto delle norme e delle legittime aspettative di vita di 30 bambini e delle loro famiglie.
LA STORIA
Maggio 2020 una mattina, vigili, rappresentanti comunali e assistenti sociali si presentano in Via Germagnano 10, al campo Rom di Torino che era lì da venti anni e dove generazioni di Rom sono nati, cresciuti e si sono sposati e del quale facevano parte anche le 58 perone sgomberate..
L’allora amministrazione comunale guidata dalla sindaca Appendino fece una vera guerra per il superamento di Via Germagnano, successivamente ne farà anche un vanto per averlo chiuso.
L’unica proposta agli abitanti del campo è stata: 500€ per lasciare l’insediamento sottoscrivendo un documento che accertasse il tutto. A chi rifiutava di andarsene è stato detto che il campo sarebbe stato chiuso lo stesso e che gli assistenti sociali si sarebbero “occupati” dei bambini.
Le famiglie erano in uno stato precario con lavori saltuari, molti anche svaniti durante il periodo del Covid. Era assolutamente irrealistico aspettarsi che con un incentivo di 500 euro senza nessun progetto e in una situazione di grave precarietà queste famiglie potessero non occupare le case o ricreare baracche abusive. Probabilmente gli incentivi per uscire dal campo sono finiti nelle mani del racket delle occupazioni delle case popolari controllato da italiani. E come sempre, queste situazioni sono state abbandonate per due anni, lasciando spazio alla parte prepotente e criminale, e quando si è deciso di ristabilire la legalità nessuno ha distinto tra persone bisognose che cercano di sopravvivere meglio che possono e che anche in una situazione di estremo disagio hanno raggiunto un minimo di progresso e di stabilità e quelli invece che creavano disordine e disagio. Sono stati sgomberati tutti, senza il minimo rispetto delle raccomandazioni e delle disposizioni europee che prevedono alternative stabili per i casi del genere.

Corteo a Torino - Al fianco di Alfredo, al fianco di chi lotta!

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Durata 7m 18s

Corrispondenza telefonica con una compagna dalla piazza di Torino al fianco di Alfredo Cospito.

Di seguito

AL FIANCO DI ALFREDO, AL FIANCO DI CHI LOTTA!

La sentenza emessa dalla Corte di Cassazione venerdì scorso suona come una condanna a morte: Alfredo Cospito deve stare al 41bis e lì deve morire. Si chiude anche l’ultimo piccolo spiraglio di possibilità legale e si apre definitivamente la strada che porterà alle estreme conseguenze dello sciopero della fame portato avanti ad oltranza, per lui e per “noi” . La linea della fermezza e dell’intransigenza hanno prevalso in tutti i livelli dello Stato. Il potere esecutivo e quello giuridico, non sempre sovrapponibili, hanno compattato le loro fila e fatto fronte comune. Questo allineamento d’interessi, non importa se eterodiretto o meno, risuona come una dichiarazione di guerra interna. Il messaggio è chiaro nella sua crudezza: nel prossimo futuro la tolleranza starà a zero. Con una guerra alle porte d’Europa - e che ne sta già ridisegnando gli assetti – che diventa di giorno in giorno sempre più globale, le nostre menti non possono che ritornare ai giorni cupi precedenti allo scoppio del primo conflitto mondiale, tra chiamate alla mobilitazione generale e leggi marziali. Contesti estremamente diversi ma in cui è possibile rintracciare una qualche similitudine e parallelismo. Non vedere un’intima connessione tra guerra in Ucraina e repressione interna ci sembra miope, la logica che ci deve muovere ad agire contro la guerra e la NATO è la medesima che ci deve portare in strada per Alfredo e per la sua, che poi non è solo sua, battaglia. Lotte apparentemente diverse ma che in realtà non lo sono come ampiamente dimostrato dalle azioni e dagli interventi che hanno accompagnato il grosso corteo chiamato dai portuali sabato scorso a Genova. Inutile qui soffermarsi sull’ipocrisia di uno Stato che per giustificare il 41bis bolla Alfredo come stragista mentre di stragi ne compie di continuo (e i/le mort* del naufragio di Crotone sono lì a gridare giustizia, quella con la “g” maiuscola). Più interessante crediamo sia sottolineare, ancora una volta, la strategia repressiva complessiva: chiudere sistematicamente tutti gli spazi possibili di contestazione per tentare di farla finita con le istanze di cambiamento sociale recidendo anche i fili che collegano queste esperienze (già ridotte al lumicino e molto isolate, ma non è questa la sede per approfondire queste complicate questioni) con la loro memoria. Il 41 bis per Alfredo, la riapertura del caso di Cascina Spiotta, lo sgombero di un centro sociale, sono fatti apparentemente distanti ma in perfetta continuità. Per fugare ogni dubbio, qui non vogliamo dire che ci sia una sorta di “ufficio” in cui la sequela di DDL e operazioni di polizia e giudiziarie dell’ultimo decennio siano state dettagliate e programmate ma fare notare in controluce la strategia implicita della macchina statale. Come già avevamo scritto, la vicenda di Alfredo potrebbe contribuire a spezzare e disinnescare questa spirale repressiva. Fondamentale sarà riuscire a cogliere l’opportunità di portare la lotta di Alfredo al di fuori di una logica meramente anti-repressiva e provare così a sperimentare nuove angolature di attacco. Una cosa la possiamo affermare fin da ora: esisterà un prima ed un dopo la morte di Alfredo Cospito. La possibilità che la battaglia fino all’ultimo respiro di Alfredo venga assunta da tutti e tutte come una battaglia per riprendersi degli spazi di azione e legittimità politica in un paese che continuamente reprime ogni forma di conflitto e dissenso anche solo simbolico, crediamo ci siano tutte. La speranza è che questo sussulto dei movimenti per poter continuare a vivere e ad agire si riesca a legare con istanze sociali di una popolazione sempre più colpita da crisi, ansia e guerra.