Ascolta lo streaming di Radio Onda Rossa !

Aquila

41bis: domenica 10 novembre presidio al carcere dell'Aquila

Data di trasmissione
Durata 31m 19s

10 novembre L’Aquila – Presidio al carcere

Da pochi giorni Anna, prigioniera anarchica rinchiusa nella sezione AS2 del carcere de L’Aquila, è stata trasferita nel carcere di Lecce. Stessa cosa è avvenuta per l’altra donna rinchiusa in quel reparto.

Ciò indica l’attuale chiusura della sezione, obiettivo per il quale, a inizio estate, era stata messa in campo una forte mobilitazione. La protesta aveva visto le compagne, lì recluse, mettere in atto un lungo sciopero della fame al quale hanno aderito anche molti altri compagni detenuti in altre carceri italiane. Moltissime sono state le azioni e le dimostrazioni di solidarietà verso quella lotta e non solo da fuori le galere.

Tra queste, un segnale molto importante era venuto proprio dalle battiture quotidiane compiute da alcuni detenuti e detenute in regime di 41Bis del medesimo carcere abruzzese. Un segnale di solidarietà straordinario, compiuto da persone rinchiuse in condizioni che non ci stancheremo mai di definire come TORTURA, le quali sono sotto il continuo ricatto di provvedimenti e ammonizioni anche per molto meno.

L’attuale svuotamento della sezione AS2 de L’Aquila non sarà mai motivata, da parte del DAP o da qualsiasi altra istituzione, come il risultato della lotta dei detenuti.
Né per noi può essere considerata altro che un miglioramento momentaneo, all’interno di un’ingiustizia che rimane intatta e verso la quale non dobbiamo smettere di lottare: il sistema carcerario.

Tornare fuori dalle mura di quel carcere è un passaggio importante per comunicare con le persone ancora lì rinchiuse, che hanno contribuito a quella lotta e per ricordare loro che, anche se con il 41Bis lo stato mira al totale annientamento degli individui, non sono sole.
E per ribadire ancora una volta che solamente attraverso lotta e solidarietà possiamo migliorare le nostre vite.

CONTRO il 41 BIS, l’ISOLAMENTO, i REGIMI DIFFERENZIATI e la TORTURA
SOLIDALI CON TUTTI I PRIGIONIERI E LE PRIGIONIERE IN LOTTA

Venerdì 5 Luglio: tutte insieme all'Aquila

Data di trasmissione
Durata 14m 55s

Venerdì 5 luglio andiamo tutte all'Aquila per sostenere le tre donne denunciate dall’avvocato Antonio Valentini con l’accusa di concorso e diffamazione artt 81 e 595 ter (con qualsiasi altro mezzo di pubblicità" diverso dalla stampa), nel quadro più ampio del processo per stupro commesso da un militare difeso dall'avv. Valentini.

Per andare in pullman: ciriguardatutte@inventati.org

qui ulteriori approfondimenti: 

https://www.ondarossa.info/newsredazione/2018/01/aquila-22-gennaio-ci-riguarda-tutte

https://www.ondarossa.info/tag/processo-aquila

Aquila 22 gennaio: ci riguarda tutte

Data di trasmissione

Dal sito

cavallette.noblogs.org

Il 22 gennaio 2018 si aprirà presso il tribunale dell’Aquila un processo che vedrà coinvolte tre donne, trascinate sul banco delle imputate dall’avvocato Antonio Valentini con l’accusa di diffamazione aggravata a mezzo stampa (articolo 595 c.p). Abbiamo deciso di raccontare questa vicenda su Cavallette, perché in essa si concentrano temi che ci stanno a cuore e che da sempre fanno parte del nostro DNA politico: l’anti-sessimo, l’importanza delle pratiche di lotta femministe e la capacità di difenderle collettivamente esercitando in maniera radicale il diritto alla libertà di espressione.

Lo stupro di Pizzoli

Influente notabile dalle ambizioni politiche prematuramente frustrate – solo un misero 3,7% raccolto dalla lista Patto per l’Aquila con cui si era presentato alle amministrative del 2002 -, Antonio Valentini è considerato da molti quotidiani e portali d’informazione locali come uno dei “principi del foro” del capoluogo abbruzzese. Nel suo blasone vanta numerosi procedimenti eccellenti, come il processo Di Orio – dove si è impegnato nella difesa dell’omonimo ex-rettore e monarca assoluto dell’ateneo aquilano, cacciato dal trono nel 2012 per le accuse di concussione – o quello che lo vede come legale di alcuni dei 38 imputati, accusati dalla procura distrettuale antimafia di associazione a delinquere finalizzata allo sfruttamento della prostituzione e dell’immigrazione clandestina. Suo anche l’esposto che ha dato avvio al processo nei confronti della commisione Grandi Rischi, tacciata di non aver messo in guardia la popolazione aquilana del rischio sismico incombente nell’aprile del 2009.

Ma il caso più noto per cui Valentini è salito agli onori della cronaca è quello relativo allo stupro avvenuto a Pizzoli (AQ) nel 2012. A perpetrarlo il militare Francesco Tuccia, originario della provincia di Avellino e appartenente al 33mo Reggimento Artiglieri Acqui. Di stanza sul territorio per l’operazione “Strade Sicure” – rivelatasi fin dall’inizio un enorme esperimento di militarizzazione delle zone colpite dal sisma del 2009 -, il 12 febbraio Tuccia trascorre una serata di baldoria tra commilitoni presso la discoteca Guernica, che si conclude con lo stupro di una studentessa ventenne consumatosi fuori dal locale. Rosa (nome di fantasia), dopo essere stata violentata dal soldato, viene abbandonata seminuda e in stato d’incoscienza, nel parcheggio. Buttata sanguinante sul manto di neve che copriva la zona antistante l’edificio, la ragazza sarebbe certamente morta per il freddo e i traumi riportati, se un buttafuori che stava terminando il suo turno non ne avesse casualmente notato il corpo, accartocciato tra le auto posteggiate.

Il processo

Questo disprezzo per Rosa diventerà il leit motiv che caratterizzerà tutto l’iter giudiziario nelle sue differenti fasi. Tuccia viene infatti arrestato, e Valentini, che ne assume il patrocinio insieme all’avvocato Alberico Villani, sceglie di ricorrere ad un linea difensiva tanto orribile quanto purtroppo consueta nei processi per stupro. Per tutta la durata del procedimento l’avvocato prova infatti a derubricare la violenza subita da Rosa come “un rapporto finito male” che vedeva il “reciproco consenso” degli interessati. La dimostrazione, a detta di Valentini e Villani, sarebbe consistita nel fatto che i due erano stati visti scambiarsi effusioni amorose all’interno locale, per poi uscirne mano nella mano in un secondo momento. Un comportamento di cui il pool difensivo di Tuccia – descritto durante il dibattimento come un ragazzo di “buona famiglia”, “giovane ed inesperto” e “spinto a pratiche di sesso estremo” di cui avrebbe perso il controllo – ritiene di dover chiedere conto a Rosa: “dovrà spiegare il perché e il motivo per il quale è uscita fuori dal locale con il freddo e la neve insieme al suo giovane coetaneo”. L’obbiettivo di una simile retorica è duplice. Da un lato insinuare nella giuria il dubbio che quello consumatosi non sia stato uno stupro ma un rapporto consenziente. Dall’altro produrre un ribaltamento delle parti in causa, criminalizzando la vittima – costretta a dimostrare la violenza subita – e assolvendo il carnefice dalle sue responsabilità. Non è più quindi Tuccia ad essere chiamato a rispondere del delitto di cui si è macchiato, ma Rosa, la cui condotta morale e accondiscendenza avrebbero indotto il militare “in tentazione”.

In fase di requisitoria Valentini si spinge fino ad addurre motivazioni “tecniche” che avallerebbero la sua tesi. Tra queste spicca una dichiarazione secondo cui “la pratica del fisting presuppone una particolare posizione della donna, assolutamente incompatibile con le modeste ecchimosi refertate sulla ragazza e soprattutto con il fatto che aveva, sebbene scesi, i pantaloni addosso”. Le “modeste ecchimosi” cui l’avvocato fa riferimento consistono in ben 48 punti di sutura e in profonde lacerazioni dell’apparato genitale e digerente di Rosa, “ricuciti” solo grazie a diversi interventi chirurgici. Sono ferite talmente profonde da impressionare anche i medici che prendono in cura la ragazza, giunta in ospedale in stato di incoscienza ed in preda ad un grave shock emmorragico. Il dottor Gabriele Iangemma, ginecologo di turno quella sera e occupatosi di prestare i primi soccorsi a Rosa, dichiarerà durante una trasmissione televisiva dedicata allo stupro di Pizzoli di non aver mai visto nulla del genere in trent’anni di esercizio della professione medica.

Il clima del processo non viene però inquinato unicamente da un impianto difensivo smaccatamente misogino e sessista, ma anche da un diffuso clima intimidatorio. A pochi giorni dallo stupro, l’avvocato Villani partecipa a due differenti programmi andati in onda su Canale 5: in entrambe le occasioni rivela la vera identità di Rosa (che nel frattempo era stata trasferita in una località segreta) mettendone così a repentaglio la sicurezza e la privacy. Poi, una settimana dopo la sentenza di primo grado, arrivano anche le minacce. A farne le spese è l’avvocata Simona Giannangeli – rappresentante del centro anti-violenza dell’Aquila, costituitosi parte civile nel processo -, che il 5 febbraio 2013 trova sul cofano della sua auto un biglietto anonimo con questo messaggio: “Ti passerà la voglia di difendere le donne… Stai attenta e guardati sempre le spalle, da questo momento questo posto non è più sicuro per te”.

Nonostante nel gennaio 2015 la Cassazione metta la parola fine alla vicenda processuale che coinvolge Tuccia (la pena definitiva inflittagli è di 7 anni e 8 mesi), nessuna canta vittoria. Non Rosa, costretta ad un esilio forzato in un’altra città nel tentativo di riannodare le fila spezzate della sua vita. Non le parti civili, costrette ancora una volta a constatare come la denigrazione della donna continui a rappresentare una costante nei processi per stupro (come dichiarato dall’avvocata Giannangeli dopo l’ultimo verdetto, “si cerca l’elemento di verità processuale a partire dalla demolizione della persona offesa e dal suo presunto comportamento”). Non le centinaia di donne che l’hanno sostenuta durante tutto il processo, dentro e fuori l’aula di tribunale, consapevoli che uno stupratore in carcere non rappresenta certo un argine alla violenza di genere che in tutto il mondo continua a mietere vittime. E, dopo Rosa, sarà proprio questa rete di solidarietà ad essere messa sotto accusa dall’avvocato Valentini.

Censura, repressione, sequestri e denunce

Un territorio completamente militarizzato e devastato. Lo stupro di una studentessa perpetrato da un militare. Un processo insozzato da retoriche patriarcali, sessiste e misogine. Intimidazioni e minacce agli avvocati. A questo quadro, già di per sé vergognoso, nuovi tasselli sono andati ad aggiungersi, proprio quando la luce dei riflettori sembrava ormai essersi distolta dalle aule del tribunale dell’Aquila.

Il 13 Novembre 2015 viene infatti organizzato presso la Casa Internazionale delle Donne di Roma il convegno “Verso la Cassazione”. Si tratta di un incontro chiamato per discutere delle responsabilità della commissione Grandi Rischi in merito al terremoto dell’Aquila del 2009 e del processo, ormai alle battute finali, che ne vede coinvolti diversi membri. Tra i relatori c’è anche Valentini. Il fatto non passa inosservato e suscita indignazione. In tante si chiedono come sia possibile che un personaggio di tale risma possa presenziare in un luogo da sempre considerato un porto sicuro per le donne. Una compagna originaria dell’Aquila scrive una lettera in proposito – raccontando chi fosse Valentini e quale linea difensiva avesse scelto di adottare durante tutti e tre i gradi del processo di Pizzoli – e la invia ad una mailing list chiusa. Successivamente, la missiva viene reinoltrata da una seconda persona all’associazione Ilaria Rambaldi Onlus (responsabile dell’organizzazione dell’iniziativa) attraverso Facebook Messenger. Nel frattempo partono giri di telefonate e mail che chiedono la revoca dell’invito a Valentini. Il tam tam raggiunge il suo scopo e il convegno si svolge in tutta tranquillità senza la presenza dell’avvocato.

Sembra una vicenda chiusa, ma non è così. Valentini cerca vendetta. Passano alcuni mesi, e la sera del 18 Maggio 2016 i carabinieri di Roma, imbeccati da un’informativa redatta dal Nucleo operativo dell’Aquila, bussano alla porta della persona che con Facebook Messenger aveva contattato l’associazione “Ilaria Rambaldi”. Le notificano una denuncia per diffamazione aggravata a mezzo stampa e un decreto di perquisizione e sequestro, firmato dal sostituto procuratore Antonietta Picardi. Le viene contestato di aver diffuso la lettera, il cui contenuto, si legge nell’atto, sarebbe stato “denigratorio ed offensivo, anche mediante l’attribuzione di fatti determinati e di rilevanza penale, della reputazione professionale dell’avvocato Antonio Valentini”. Dopo quattro ore di perquisizione i carabinieri se ne vanno, portandosi via un laptop, un tablet, uno smartphone e un hard disk esterno. La stessa scena si ripeterà dopo alcuni mesi: il 13 settembre la donna autrice della lettera viene a sua volta denunciata e il suo personal computer sequestrato. Il 20 dicembre l’indagine si chiude con tre richieste di rinvio a giudizio per altrettante donne.

“Non ci metterete a tacere”

L’avvocato Flavio Albertini Rossi, che difenderà due delle tre imputate, rigetta in toto l’accusa di diffamazione a mezzo stampa. Da una parte perché, spiega il legale, il semplice fatto di aver utilizzato Facebook Messenger – ovvero un canale di comunicazione uno a uno – “non rende fattibile una diffusione del messaggio idonea da integrare il reato”. In altre parole, affinché l’aggravante della diffusione a mezzo stampa si configuri come tale, è necessario che un dato contenuto venga fatto circolare in un pubblico composto da un numero indeterminato di persone. Circostanza, questa, non verificatasi nel caso in questione.

Al di là dell’aspetto tecnico, però, aggiunge l’avvocato, “quanto compiuto dalle mie clienti, lungi dall’essere diffamatorio, esprimeva piuttosto una preoccupazione per la presenza di Valentini in un luogo che non vede certo protagoniste persone che hanno rappresentato, difeso e sostenuto le tesi di un imputato per stupro. Tanto più” aggiunge “se la difesa è avvenuta nelle modalità che sappiamo”. E proprio su questo aspetto si concentra una sua riflessione più generale: “Io penso che oggi non sia più accettabile che qualcuno tenda ad attribuire e a dimostrare una consensualità di comportamenti tra lo stupratore e la sua vittima. Questi sono argomenti che possiamo ritrovare in un documentario come Processo per stupro, girato nel 1979: chi nel 2018 ritiene lecito continuare a ricorrervi per difendere il proprio assistito deve anche assumersi l’onere di essere oggetto di aspre critiche”.

Critiche che, per altro, non sono state espresse solo dalle tre donne che affronterranno il processo all’Aquila il 22 gennaio, ma anche da centinaia di altre persone che a gran voce avevano detto un secco “no” sull’opportunità di far entrare Valentini alla Casa Internazionale delle Donne. La diffusione di quella lettera non può essere ridotta a una mera questione di reponsabilità penale ed individuale. Anzi, ci riguarda tutte. Non solo perché, come ricordava qualche tempo fa una compagna a Radio Onda Rossa durante una trasmissione dedicata alla vicenda, quel gesto nasceva da una presa di posizione collettiva: “Solo tre di noi sono state perseguite penalmente, ma siamo state dieci, venti, trenta a mandare mail, lettere e fare telefonate in quei giorni”. Ma ci riguarda tutte anche, e sopratutto, perché l’indifferenza davanti alla cultura della violenza maschile e maschilista ci rende tutte più vulnerabili. Un punto questo che sarà ribadito alle 9 di mattina del 22 Gennaio davanti al tribunale dell’Aquila, durante un presidio di solidarietà convocato in occasione dell’apertura del processo.

L'Aquila il corteo nel centro della città

Data di trasmissione
Durata 6m 57s

Migliaia di persone in piazza nel capoluogo abruzzese. Violata la zona rossa da una parte del corteo che ha deciso di raggiungere la piazza finale attraversando la città fantasma, ancora puntellata, dopo un anno e mezzo. Nonostante la pioggia torrenziale e' stato srotolato uno striscione da un cavalcavia con la scritta "Riprendiamoci la citta'" nei pressi di via Fontesecco. Sono presenti più di diecimila persone. Una redattrice ci racconta la città fantasma e il corteo finora.

Durata 6'50''

 

More info: http://abruzzo.indymedia.org/

20 Novembre: l' Aquila chiama l'Italia

Data di trasmissione
Durata 11m 23s

La manifestazione di sabato prossimo, 20 Novembre, sarà anche l'occasione per affermare che le recenti emergenze territoriali del nostro Paese (dal Veneto alla Campania, da Messina a Marsciano) non possono essere gestite in maniera antidemocratica, come fatto sino ad ora, attraverso strutture commissariali e non devono diventare occasione di speculazioni di cricche e comitati d'affari, che erodono i diritti scaricando la crisi sui più deboli. 

 

Durata 11'23''

 

Per ulteriori info: http://www.3e32.com/

Dall'Aquila a Roma - mobilitazione davanti la sede della Rai a viale Mazzini

Data di trasmissione
Durata 1m 48s


Partiti all'alba hanno raggiunto Roma per essere al fianco del Consiglio Comunale staordinario sotto Palazzo Madama e per andare alla sede Rai di Viale Mazzini. La presenza a Roma voleva sottolineare i motivi della protesta che il 16 giugno ha visto in Piazza a L'Aquila più di 20.000 persone e denunciare il silenzio stampa che esiste su quanto sta avvenendo. Da stamattina il Consiglio Comunale dell'Aquila si è svolto in Piazza Navona, dopo che era stato vietato lo slargo davanti a Palazzo Madama.
La protesta si è poi spostata sotto la Rai in Viale Mazzini per contestare il fatto che Tg1 e Tg2 non hanno dato notizia in serata della manifestazione tenuta all'Aquila lo scorso 16 giugno, mandando invece in onda un servizio sulle proprietà della cioccolata. Sono stati lanciati ortaggi, allestito un banchetto ironico con pane e nutella. ''Non ci sentiamo più rappresentati da questa cosiddetta televisione pubblica", hanno spiegato i manifestanti. "La televisione di stato, che per un anno ha fatto propaganda di ogni iniziativa del governo adesso che le contraddizioni dell'intervento governativo vengono a galla, censura qualsiasi tipo di manifestazione di critica''
Per il prossimo 6 luglio a Roma è stata indetta una grande manifestazione. Lo ha deciso l'assemblea cittadina determinata a proseguire la mobilitazione contro una finanziaria che riduce la fascia di persone a cui verranno prorogate le agevolazioni fiscali. "Vogliamo il congelamento di tasse, mutui e prestiti per almeno cinque anni", spiegano i comitati, "e chiediamo garanzie per il lavoro e la ricostruzione".