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femminismo

Trasmissione del 3/12/2014 "Angela Davis e Ferguson/ Liceo Manara Occupato"

Data di trasmissione
Durata 1h 1m 59s

Puntata di mercoledì  3 dicembre 2014 

 ” Una donna viene sempre annunciata dal termine <donna> mentre è estremamente raro per un uomo venir designato con il termine <uomo>  ” Colette Guillaumin

 

” Strumenti di controllo: razzismo, autodisciplinamento,socialdemocrazia,fascismo”

Immagine rimossa.

 ” Dal regime disciplinare a quello del controllo”

 Approfondimento 
“Incontro di genere e sul genere con le studentesse del Liceo Manara occupato”

La Parentesi di Elisabetta del 3/12/2014 "Dal regime disciplinare a quello del controllo"

Data di trasmissione
Durata 6m 14s

“Dal regime disciplinare a quello del controllo”

Immagine rimossa.

Il patriarcato, così come si è innestato nel capitalismo è stato costretto dalle lotte femministe degli anni ’70 ad una mutazione e pertanto il concetto e la pratica del suo dominio si sono trasformati, dal regime disciplinare a quello del controllo.Di conseguenza questa nuova situazione implica grandi modificazioni sul terreno politico di concettualizzazione del patriarcato sia nella sua teoria che nella sua pratica.

Crollano, infatti, in questo passaggio, le sue caratteristiche precipue così come si manifestavano prima degli anni ’70, ed oggi si impone come cooptazione e promozione sociale di quelle componenti del genere storicamente oppresso che si prestano a perpetuare il dominio nei confronti di tutte le altre donne e degli oppressi tutti.

Tanto più grave è questo in quanto le condizioni socio-economiche ottocentesche in cui viene ricondotta la società, rendono ancora più penosa la condizione delle donne.

Il patriarcato, in questa stagione si è ridefinito accentuando le sue caratteristiche ma mascherandole dietro un emancipazionismo che si risolve in un controllo della vita a tutto campo e in un avvilimento della stessa divenuta merce.

Ma le patriarche ,quelle che hanno fatto propri i valori della società neoliberista e patriarcale, non si illudano, il loro potere è come quello dei soldi che sono dei buoni servitori ma dei cattivi padroni.

Disoccupazione, povertà, disperazione, costituiscono la trama dello sviluppo del modello neoliberista. Il movimento femminista non può più consistere nella semplice denuncia di questa situazione, non ci possiamo più muovere sulla base della percezione e della definizione delle nuove figure che perpetuano il patriarcato, tanto più che in questo momento si accentuano le forme di esclusione delle realtà alternative. Dobbiamo cominciare a delineare e a declinare alcune linee di ipotesi uscita o almeno a provarci tanto più necessarie dato che le patriarche, in cambio della loro intelligenza e della loro anima, hanno dato la capacità e/o possibilità di essere le “infiltrate” nel femminismo e fra le donne tutte.

E’ chiaro, perciò, che una azione politica efficace da parte del movimento femminista non può essere pensata se non a diretto contatto di un immaginario di uscita da questa società e si dispiega attraverso la difesa della più larga libertà intesa nel senso più compiuto e onnicomprensivo del termine.

Cominciare da un dibattito con un nuovo lessico politico che possa rappresentare un discorso costituente perché costruire un linguaggio non è un’operazione neutrale. E che non sia semplicemente descrittivo, ma che si distenda in maniera articolata per veicolare e far emergere le istanze di rottura che il movimento femminista ha costruito e costruisce contro l’ordine patriarcale, tanto più nel momento in cui le patriarche si mettono al servizio di una nuova, ma sempre vecchia, esigenza di governo e di governabilità capitalista e patriarcale.

Collegare le definizioni del nuovo lessico ad un’azione politica che accumuli esperienze e resistenze contro la ristrutturazione patriarcale nei rapporti di genere e delle relative relazioni di dominio.

Costruire un linguaggio nuovo, non quello stereotipato, manipolatorio, per rappresentare la nuova realtà, sprazzi consapevoli di una nuova società, questo è il nostro compito.

Il patriarcato, oggi, nella sua declinazione neoliberista sottopone e fa la guerra alla vita delle donne.

Sta a noi estrarre, generalizzare la potenzialità del movimento femminista nella prospettiva della nostra liberazione, percorso interrotto e bloccato dal tarlo socialdemocratico e dalla condizione di guerra ai diritti conquistati nella quale oggi viviamo.

Il patriarcato non può definirsi oggi se non a partire da questa continua attività anestetizzante e narcotica del dolore delle donne.

Da qui il senso della nostra militanza che si pone come esercizio immediato della lotta e della resistenza, che nasce dal rapporto tra teoria e azione, che emerge dalla definizione comune del riconoscimento del nemico, che ha la capacità di attraversare l’intero processo geopolitico e di vivere la lotta femminista come produttrice di trasformazione dell’orizzonte sociale.

Ora, con questa nuova realtà del lavoro che ha emancipato le donne e con la femminilizzazione del lavoro tutto, il neoliberismo ha sviluppato nuovi criteri politici di controllo sull’intera società. Il comando deve oggi estendersi con le modalità che aveva nell’ambito familiare e nella fabbrica all’intera società e la famiglia e la fabbrica divenute società rendono manifeste le contraddizioni , le miserie, la gerarchia, l’autoritarismo e l’ipocrisia che erano e sono loro proprie..

Il tessuto sociale ne è sconvolto, le figure della nostra oppressione si espandono a tutta la società. L’ipotesi keynesiana e socialdemocratica di emancipazionismo e di contrattualizzazione rivela il suo limite e, comunque, è stata accantonata se non rovesciata nei principi fondanti.

Pertanto un’azione politica efficace da parte del movimento femminista non può essere pensata se non ci poniamo a diretto contatto con l’esperienza e con un immaginario di uscita da questa società.

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/12/04/la-parentesi-di-elisabetta-del-3122014/

Trasmissione del 26/11/2014 "Svolta"

Data di trasmissione
Durata 58m 3s

“I Nomi delle Cose”

Puntata del 26/11/2014

Ancora oggi, alla luce dei fatti recenti, mi sembra che chi lotta, chi si schiera, chi si fa “partigiana” ha ben poco da vincere e tutto da perdere. Se non l’integrità-e non è poco-e il far “rete” con le altre, ed è già tanto. Non credo che le esperienze umane si possano paragonare e chi ha scontato anni di carcere lo sa sulla sua pelle, come oggi sappiamo che si paga in modo assurdo anche attaccare un volantino fuori posto, varcare la “zona rossa”, difendere la propria identità e dignità….allora la domanda è: quale valore hanno il nostro vissuto e le nostre azioni, la nostra storia anche, in un mondo che non ci riconosce e che non accettiamo? Come fare a essere quel qualcosa che illumina la notte con delle fiammelle così deboli? Io la risposta non ce l’ho.”

Elena/Scateniamotempeste

Immagine rimossa.

” Scintille ” Svolta/ Resoconti e conti sul 25 novembre della coordinamenta/Armadi/Quell* che non hanno il genere, ma hanno la classe/Il tabù della povertà, l’angoscia e il silenzio che non sopporto più”

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/11/28/podcast-della-trasmiss…

"Quell*che non hanno il genere,ma hanno la classe" del 26/11/2014

Data di trasmissione

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/11/27/il-tabu-della-poverta-langoscia-e-il-silenzio-che-non-sopporto-piu-2/

Da “I Nomi delle Cose” del 26/11/2014

Quell* che non hanno il genere, ma hanno la classe,la rubrica di Denis ogni ultimo mercoledì del mese

“Il tabù della povertà, l’angoscia e il silenzio che non sopporto più”

Immagine rimossa. Ho un problema. Anzi, ne ho molti, che alla fine ritornano tutti alla stessa origine: soldi, o meglio mancanza di. Sono nella stessa situazione (o forse in una peggiore, per certi versi, a causa di alcune mie particolari condizioni, alcune esistenziali ed altre patologiche) di moltissime altre persone che vivono in Italia, in Europa e in ogni altro paese del pianeta Terra: sono affetto da un caso letale di pezze ar culo.

Mio padre faceva l’operaio in un magazzino adibito alla vendita di materiale edile, luogo che a Roma prende il nome di smorzo. Suo principale era un soggetto dotato dei più deleteri tratti dell’umana persona:  piccolo borghese tuttavia privo di qualsivoglia capacità imprenditoriale,  soleva tenere in soggiorno un busto del duce, del quale si prendeva cura con la stessa alacrità che lo stereotipo sessista della casalinga di Voghera riserverebbe al suo servizio da té. Bene: caso – ma soprattutto economia – vuole che lo smorzo dove il mio genitore paterno ha lavorato per un paio di decenni abbia chiuso i battenti esattamente un anno fa. Non prima di averlo costretto per mesi a ricevere buste paga nanoscopiche e assolutamente inadeguate al mantenimento di una famiglia di quattro persone; l’odio di classe è una cosa che va fatta per bene, e nessuno può saperlo meglio di un padrone.

Quest’estate, dopo un anno e mezzo di depressione galoppante, ho avuto modo di incominciare una psicoterapia (che attualmente proseguo, ma non riesco a pagare) che mi ha dato modo di far luce su un po’ di cose di me e del contesto, sia familiare che scolastico, in cui ho avuto modo di far crescere con varie storture di percorso i miei tessuti organici, muscolari-scheletrici e cerebrali. Colto da illuminazione, realizzo che di fare grafica pubblicitaria – scuola che avevo abbandonato senza alcun rimorso – non m’è mai importato più di tanto e che la mia strada è totalmente altrove. Corro dunque ad iscrivermi alle serali di un ITIS dotato, con mia somma gioia, dell’indirizzo elettronica e telecomunicazioni. Faccio piccoli passi per riprendere in mano, nella misura in cui mi è possibile, le redini della mia esistenza. Ma veniamo ad oggi. Fra un mese finiscono i soldi dell’INPS, e sono qui davanti a uno schermo che cerco di non schiattare immantinente, schiacciato dal peso di tutti i bisogni vitali che ho e non sono in grado di soddisfare.

Ad esempio sono affetto da quella che molto probabilmente è la sindrome dell’intestino irritabile, la quale porta con sé vari regali. Il suo dono più recente sono emorroidi prolassate che mi tengo da più di un mese e mezzo, e che noto, tattilmente, essersi ingrossate. Soffro di psoriasi, ansia e attacchi di panico. Molto probabilmente ho l’ovaio policistico, o qualcosa di analogo, viste le mestruazioni totalmente irregolari, nel tempo e nella quantità, e delle carie che non posso rimuovere. Vorrei perdere peso in quanto ampissimamente al di sopra del mio peso forma, ma vallo a trovare un nutrizionista gratis; starei anche cercando di andare in palestra, che continuo a pagare tramite un finanziamento precedentemente stipulato, ma a causa del mio abnorme calo di energie dovuto alla mia situazione psicologica sono di fronte all’impossibilità materiale di farlo ora; in ogni caso, le finanze prestatemi per fare elettrocardiogramma e certificato sono state investite in spese di sopravvivenza relative a cibo di discutibile qualità e basso prezzo, nonché cure veterinarie per uno dei miei gatti, il cui malore ha determinato un’emozione nel sottoscritto che, sempre a Roma, è nota ai più come coccolone. Inoltre, essere un ragazzo transessuale implica, per il mio benessere mentale, l’atto di procurarmi un endocrinologo e un avvocato che faccia gratuito patrocinio, per poter dapprima accedere alla possibilità di operarmi e in seguito ottenere dei documenti senza i quali ogni interazione sociale a sfondo anche lievemente burocratico-formale è l’inferno in terra. Nel caso non fosse già evidente, non ho soldi per fare niente di quello che mi servirebbe; aggiungo che, nonostante sia passato un bel po’ di tempo da quando è venuta a mancare la principale fonte di reddito del mio nucleo familiare, non risultiamo ancora nei database della gente papabile per l’esenzione, il che va a determinare un tragico paradosso dai connotati grossolanamente kafkiani: non posso usufruire né del servizio sanitario nazionale (dai tempi che rimangono in ogni caso eterni, e dalla qualità sempre più bassa) né di quello privato.

Non ho neanche modo di procurarmelo da solo, il reddito. I miei genitori hanno rispettivamente la terza media e la quinta elementare, e in un lasso temporale in cui è difficile farsi assumere anche qualora si avessero nel curriculum vitae due lauree con annessi master, corsi professionalizzanti più ogni altra esperienza formativa concessa in giro per le terre emerse italoparlanti, potete immaginare cosa significa. Le mie forze sono già divise perlopiù tra la mia ansia debilitante e il percorso di studi appena intrapreso, perciò non posso lavorare granché, e anche le volte in cui sono in grado, reperire chi abbisogna le mie prestazioni non è così semplice: specie per qualcuno che non ha mai messo piede nel mondo del lavoro, né subordinato né autonomo. Un livello aggiuntivo di difficoltà è rappresentato dal fatto che essere trans porta inevitabilmente, in questa società, conseguenze di carattere anche relativo all’impiego (non è un caso che la percentuale di disoccupazione sia così elevata tra le persone trans). È ancora più difficile tenendo conto del fatto che mi mancano persino i mezzi con cui offrirle, le prestazioni – sono infatti privo di un computer di mia proprietà che risponda alle caratteristiche necessarie per l’utilizzo in questo senso. Vivo peraltro sotto un tetto che, se venisse attuato il decreto Renzi-Lupi, non avrei più, poiché si tratta di una casa popolare. Tutto ciò mi uccide, nel significato più letterale di questa espressione. Perché condurre un’esistenza priva della più vaga parvenza di dignità è un potentissimo incentivo al desiderio di schiattare; che in realtà non avrei nemmeno, perché voglio vivere. Solo non ho intenzione di farlo in questa maniera.

Per quanto il tono utilizzato possa darne l’idea, non sto scrivendo la lettera di un suicida. Intendevo dire qualcos’altro: mi sono fratturato i coglioni, e non voglio sentirmi dire povero, o essere compatito. Non ne posso più del silenzio tombale collettivo che avvolge l’esistenza delle persone povere, disoccupate, proletarie e sottoproletarie; esperienze delle quali non posseggo certo l’esclusiva. Sono stufo del fatto che certe grida debbano esaurirsi in angosciate chiacchiere tra di noi, dove noi corrisponde al proprio circolo di amicizie, amori e compagneria assortita. È mai possibile che qui si viva una violenza sociale di un’estensione mai vista e che si tratti l’argomento come se fosse un imbarazzante pettegolezzo di condominio? È ridicolmente triste e ingiusto. Può non sembrare così, ma la presente è un’accusa che rivolgo in primis a me stesso. Sono il primo a vergognarsi di chiedere aiuto, in qualsiasi forma: ci ho messo un mese per esprimere il pensiero che sto esprimendo adesso. Mi viene detto che non sono l’unico, ma questo non mi fa stare meglio, mi fa stare peggio: sento il peso della responsabilità militante su di me e mi chiedo cosa facciamo, anzi, cosa non facciamo. In virtù del fatto che una delle poche cose che sono certo di fare bene è usare le parole, racconto di quello che mi è attorno nella speranza che inizi davvero a smettere di essere l’unico, perché se delle esperienze non si parla e non si sa nulla, quelle finiscono per non esistere.

Questa è guerra e nessuno sembra agire di conseguenza, se non il nemico. Servono case, mense, ambulatori, scuole e doposcuola, biblioteche, lavanderie, internet point e ogni forma possibile di spazio sociale e culturale autogestito.  Servono compagne e compagni che si occupino di fornire allacci di acqua, gas ed elettricità a chi non può più permetterseli. Dopo le lacrime per gli imprenditori impiccati bisogna tirarsi su le maniche per chi, acqua al collo, non può concedersi cerebralmente nemmeno per un secondo quell’ipotesi. Dove siamo, dove siete? Io aspetto, qui, una soluzione per me ma non soltanto per me, chiedendomi quando arriverà. Ora provo a dormire, insonnia permettendo.

Denis/Frantic

http://effettofarfalla.noblogs.org /http://intersezioni.noblogs.org/

 

La Parentesi di Elisabetta del 26/11/2014 "Armadi"

Data di trasmissione
Durata 5m 38s
La parentesi di Elisabetta del 26/11/2014

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/11/27/la-parentesi-di-elisabetta-del-26112014/

 
Immagine rimossa.“Armadi”

Oggi viviamo una situazione storica molto diversa da quelle che ci hanno preceduto, viviamo in una stagione di passaggio nella quale si svolge una guerra senza esclusione di colpi per determinare i nuovi assetti geopolitici e le relative gerarchie.
Le multinazionali sono all’offensiva con l’utilizzo degli Stati e, quando serve, by-passandoli.
Questo in Italia ha comportato la rottura del blocco sociale che ha guidato nel dopoguerra questo paese. E’ nata un’iper-borghesia o borghesia transnazionale che si è auto promossa a novella aristocrazia relegando tutti gli altri segmenti della borghesia ad un ruolo di servizio.
Pertanto, il lessico politico dentro questo processo di trasformazione delle filiere del comando è cambiato completamente.
Per prendere posizione all’interno del passaggio storico nel quale viviamo serve più che mai la passione per la libertà politica e l’amore per la giustizia sociale.
Disoccupazione, precarietà, povertà, costruiscono la trama del modello liberista, i ricchi e le ricche divengono sempre più ricchi/e e i poveri/e sempre di più e sempre più poveri.
I grandi temi riformisti quelli, per intenderci, dello stato sociale, del pensionamento universale, della sanità pubblica, della contrattualità nazionale…sono stati rimossi. Lo spessore di questa scelta spinge le strutture statali verso politiche di repressione e verso pulsioni securitarie tanto più forti quanto più profondo è il disagio .
In questa situazione il pericolo repressivo si presenta con particolare forza, collocandosi nella ricomposizione del blocco di potere. Un programma alternativo a questo progetto si può incardinare intorno alla possibilità / capacità del movimento di esprimersi a tutto campo sottraendosi alle provocazioni giudiziarie e rispedendo al mittente, cioè al potere, la demagogia che promuove la guerra fra i poveri, tanto più che lo scontro tra le multinazionali e i rispettivi governi oggi si manifesta sempre di più come produzione di guerra intesa nel senso più compiuto del termine, che vede lo stato del capitale, gli Usa , all’offensiva.
Per realizzarsi compiutamente il neoliberismo ha bisogno , non solo di controllare tutta la popolazione, ma anche di controllare la nostra intera esistenza. Non è più solo di determinazioni gerarchizzate, ma la posta in gioco riguarda il modo stesso di vita e le modalità di dipanarla. Ci troviamo di fronte ad un cambiamento del lessico politico e questo è un processo reale nel corso del quale vengono liquidate alcune fondamentali categorie politiche, prime fra tutte patriarcato e classe
Il neoliberismo è guerra che ci viene imposta ed investe la vita di tutti/e. Non è possibile sottrarsi a questo scenario cupo senza pensare ad una rivoluzione continua, nel quotidiano, che coinvolga tutti gli strati, gli ambienti, i ceti, i generi che si oppongono a questa prospettiva mortifera. In tutti gli attimi della nostra vita la scelta è tra rimanere in questa società o uscirne. Anche nelle azioni più spicciole chiediamoci se vogliamo rimanere qui dentro o uscirne. La libertà è una tensione ideale che ci dovrebbe accompagnare sempre proprio perché mai come in questo momento patriarcato e neoliberismo lavorano profondamente aggredendo ogni aspetto della nostra vita.
La scommessa è di capire chi a tutto questo si oppone e chi tutto questo promuove o di questo si fa complice magari per convenienza, tornaconto personale, promozione sociale.
Abbiamo bisogno di un progetto all’altezza del momento, capace di esprimere una libertà da tutti i punti di vista, libertà di produzione, libertà di pensiero, una libertà compiuta e, perché no, ricca.
Il femminismo va fortemente ancorato alla possibilità. Un altro mondo è possibile, spetta a noi intrecciare l’orizzonte del desiderio e quello della possibilità. E’ questa dimensione materialistica e immanentistica che fa sì che il femminismo sia attivo e attuale in questa stagione e perciò come strategia del possibile.
Il femminismo è un processo rivoluzionario, è la capacità di sconvolgere questo mondo e di immaginarne uno nuovo.
C’è la necessità di un progetto che rompa definitivamente con lo scheletro del capitale e del patriarcato che le riformiste e le socialdemocratiche hanno sempre conservato nei loro armadi.
Oggi il problema non è più quello della liberazione, bensì quello della libertà. La libertà è un fondamento materiale, così come l’hanno creato le lotte, è lavoro vivo, produzione di soggettività, è antagonismo che si presenta davanti alla sussunzione reale che il capitale e il patriarcato ha prodotto rispetto a questa società.
E’ ribellione nel senso onnicomprensivo del termine.

 

Trasmissione del 19/11/2014 "Lacrime pelose"

Data di trasmissione
Durata 1h 8m 13s

 

Puntata del 19/11/2014

“C’è stato un tempo in cui non eri in schiavitù: ricordalo……mi dici che non ci sono parole per descrivere quel tempo, dici che non esiste. Ma ricorda. Sforzati di ricordare. O, altrimenti, immaginalo.” Monique Wittig (1969)

 Lacrime pelose/Politiche sociali/Il 25 novembre della Coordinamenta….Questioni di genere nella sinistra di classe”

Immagine rimossa.

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/11/20/podcast-della-trasmissione-del-19112014/

 

 

La Parentesi di Elisabetta del 19/11/2014 "Politiche sociali"

Data di trasmissione
Durata 5m 5s
  “Politiche sociali”

Immagine rimossa. Tutte le idee del femminismo sono all’interno del politico e non si può distinguere il politico dal sociale e si materializzano e si realizzano nella libertà e nella giustizia sociale che sono legate fortemente.

Nella nostra stagione, quella del neoliberismo, c’è una tendenza, per ora vincente, per cui il personale tanto viene sussunto a tutto campo nel tempo del lavoro, tanto è niente dal punto di vista politico, vale a dire che tutto ciò che è personale deve essere risolto individualmente. E una delle manifestazioni più eclatanti è lo smantellamento dello stato sociale. Il paradosso è che questa idea ,intesa come onnicomprensiva della società, perciò ideologia, è un’orchestrazione e una realizzazione propria della società americana, la società che è stata sussunta in maniera reale sotto la dominazione del capitale e della sua declinazione patriarcale. Tutto è stato alienato., la vita sentimentale, affettiva, culturale. Non solo la produzione e riproduzione del potere,

Nell’impegno di indebolire le tensioni di liberazione, comprese quelle che erano nel pensiero femminista, il neoliberismo ha aperto ad una concezione dell’essere secondo la quale i mercato è la natura.

Nella stagione del trionfo del neoliberismo e del patriarcato, che manipola l’emancipazione e la nostra oppressione, è necessario recuperare, di fronte a questo mondo unificato e compatto, le alterità, le resistenze e le figure e le sequenze di trasformazione.

La rivoluzione femminista è posizione di soggettività a partire da un nuovo vocabolario politico che smascheri l’unicità del pensiero rispetto a questa omologazione a cui noi diciamo no.

Questo è il nuovo tessuto politico femminista come incarnazione delle istanze irriducibili alla libertà. Oggi ci troviamo davanti il moloch dell’Impero, inteso come Stato del capitale, e della sua ideologia neoliberista che percorre e blocca la vita di ognuna in ogni segmento della stessa. Dobbiamo ragionare su idee, sulle forze materiali e collettive che diano voce alla sofferenza della vita e renderle immediatamente espressive.

L’abolizione dello stato sociale è forma concreta per rigettarci in una situazione simile a quella ottocentesca. Di fatto le epoche mutano, l’organizzazione sociale si trasforma , ma il tempo presente ha modificato il lavoro, la vita sociale, le forme di partecipazione ad essa, la vita stessa è stata messa al lavoro, è divenuta produttiva.

L’alterità, l’anelito alla libertà, sono la condizione preliminare dell’esistere, dell’esistere comune, la condizione della nostra vita. Non più rituale, non più meccanicistica, ma un recupero del proprio senso e in questo deserto del pensiero socialdemocratico, del pensiero politicamente corretto, dell’emancipazionismo, inteso come promozione sociale individuale, il femminismo è una pista che permette di trovare una strada per arrivare all’oasi. Là dove la realtà pretende di essere totalizzante, proprio lì comincia la nostra lotta. Si rivela la dimensione della nostra vita intesa come proposta di conquista della libertà.

Il rapporto tra femminismo e mondo femminile è spazio pubblico , è cooperazione intellettuale, è costruzione del comune, è scelta di parte.

Il femminismo è dialettico, il femminismo e le donne nel momento in cui si collocano e scelgono costruiscono qualche cosa di comune. Le scelte di campo producono il medesimo dispositivo e stabiliscono la differenza fra noi e la cultura patriarcale , chiunque ne sia portatore o portatrice.

Questa è la ricchezza del femminismo, il suo fascino, perché esalta tutto ciò che è condizione della vita comune e di parte.

Il femminismo è uno spazio pubblico dove ci aspetta una lotta lunga e faticosa, è lì che ci troviamo insieme o contro, tanto più in una società dove la comunicazione di massa, l’omogeneizzazione del linguaggio, la nicchia dei privilegi ha comportato, paradossalmente il ritorno di questa società a valori nazisti, ottocenteschi e medioevali.

La strada è lunga, irta di difficoltà, ma se ci sono trappole in cui non dovremmo cadere sono quelle “del prima e del dopo” e quelle “del progresso continuo e costante”.

Entrambe queste varianti ci vogliono far dimenticare che la libertà è una scelta che si fa qui e ora.

 

 

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/11/20/la-parentesi-di-elisabetta-del-19112014/

 

Trasmissione del 12/11/2014 "25 novembre"

Data di trasmissione
Durata 58m 24s

 

Trasmissione di mercoledì 12 novembre 2014 

ore 20.00 Apertura ” Negli alberi……. Ingeborg Bachmann” “
Immagine rimossa.

ore20.10 Attualità femminista ” Dalle lotte sui territori la verità su femminicidio e oppressione delle donne e delle diversità “

ore 20,30 La Parentesi di Elisabetta ” Stravolgimento”

ore 20.35 Approfondimento /La coordinamenta verso il 25 novembre…..”Rompere la normalità dell’esistente”

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/11/14/podcast-della-trasmissione-del-12112014/

La Parentesi di Elisabetta del 12/11/2014 "Stravolgimento"

Data di trasmissione
Durata 5m 50s

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2014/11/12/la-parentesi-di-elisabetta-del-12112014/

La Parentesi di Elisabetta del 12/11/2014

 
“Stravolgimento”

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Abbiamo parlato molte volte di come il neoliberismo abbia stravolto termini e significati. Una volta per sicurezza si intendeva una serena vecchiaia, la parola riforma era legata alla possibilità di un lento ma graduale miglioramento della società e della condizione di vita di tutte/i, sinistra significava attenzione agli strati sociali poveri e o comunque svantaggiati, la costituzione scritta e non sempre, anzi quasi mai quella materiale, era impregnata dei valori della Resistenza, la scuola pubblica, l’unica che la costituzione prevedeva che si finanziasse, era un ‘occasione per far accedere larghi strati della popolazione all’istruzione e, magari alla laurea, intesa come un’occasione di promozione sociale. Da qui il fenomeno dei laureati in prima generazione che non erano più bravi e più amanti dello studio dei genitori e dei nonni , ma che avevano avuto l’occasione, grazie alle lotte degli anni ’70, di accedere per la prima volta alla laurea.

La sicurezza, ora, è quella di un presunto cittadino/a intimorito/a chissà da chi e da che cosa, visto oltre tutto il crollo vertiginoso dei reati, le riforme sono un attacco a tutto campo ai diritti e alle conquiste del mondo del lavoro, la sinistra, chiariamo subito che parliamo di quella socialdemocratica, cioè il PD, oggi è quella che naturalizza in Italia gli interessi delle multinazionali in particolare quelle anglo-americane.

Ma c’è un altro campo dove è particolarmente eclatante lo stravolgimento dei termini e del senso delle aspettative e cioè quello della così detta “giustizia” . I poveri/e, gli sfruttati/e, le classi subalterne hanno sempre manifestato una profonda consapevolezza dell’ingiustizia di cui sono sempre stati vittime. E’ emblematica la dichiarazione di Caterina Picasso, arrestata a 73 anni Nella mia vita ho subito soltanto soprusi. Lo Stato mi ha maltrattata e io mi sono messa contro lo Stato…. ho la seconda elementare, quindi i difficili ragionamenti politici non li so fare, ma capire da che parte stare l’ ho sempre saputo“.  Oggi questo sentimento è stato trascinato in un rovesciamento sbalorditivo, in una difesa acritica quando non encomiastica, nei confronti della magistratura, portando alla neutralizzazione del suo ruolo e ad una mobilitazione mistificatoria sui problemi della così detta “giustizia” con la promozione di esponenti della magistratura a campioni della sinistra di cui parlavamo prima.

Si è persa di vista la consapevolezza che la magistratura è di parte, è al servizio del sistema e che la “giustizia” così come noi la conosciamo rimuove l’espropriazione dei diritti da parte della borghesia e si risolve soltanto nell’attenzione all’espropriazione dei beni da parte delle classi subalterne.

In definitiva i diritti non hanno nessuna rilevanza, ma guarda caso, ce l’hanno soltanto i beni e la produzione legislativa è solo e soltanto tesa a perpetuare il principio che tutto quello che intacca l’interesse, il monopolio dei poteri di una minoranza privilegiata, rientra nella fattispecie del reato e come tale può essere perseguito e tutto quello che è alterità, sia nelle forme più elementari che in quelle più propriamente politiche, viene represso.

Ma, cosa è reato e cosa non lo è, non l’ha detto dio, non è in natura, ma è frutto di scelte umane, non nel senso dell’essere umano, ma nel senso degli uomini che hanno il potere. Oggi, nella sua impudenza, il neoliberismo ha introdotto, inoltre, nel nostro diritto normato e materiale due concetti che sembrano marginali, ma che sono invece determinanti nello spostamento e nello stravolgimento del concetto stesso della così detta giustizia.

Il primo è il concetto di detenzione amministrativa, per cui non si va in carcere per quello che si è commesso, ma per quello che si è…. per la condizione sociale, per il modo di essere, per l’estrazione familiare, per l’etnia… questo e non altro sono le detenzioni nei Cie, veri e propri momenti di controllo sociale a tutto campo in cui si esplicita la pretesa del neoliberismo di incarcerare chi non è gradito/a.

Il secondo è il concetto della pena di morte extra-legem per cui non si paga per il reato commesso, ma viene irrorata la pena di morte a discrezione, indipendentemente dal reato vero o presunto che sia. E’ questo, in definitiva, il senso dell’uccisione di Stefano Cucchi e di tanti altre e tanti altri come lui. Sapere chi ha ucciso materialmente Stefano Cucchi sarebbe importante soprattutto per i familiari, ma sicuramente sappiamo che è stato lo Stato, perché in quel momento lo custodiva, perché lo stesso Stato non ha “saputo” trovare i responsabili, perché, al di là delle belle parole e dei rituali democratici, questo Stato si arroga il diritto di vita e di morte.