Ascolta lo streaming di Radio Onda Rossa !

Covid19

Continuano le proteste nella tendopoli di San Ferdinando

Data di trasmissione
Durata 20m 52s

In collegamento telefonico con un compagno che vive nella tendopoli di San Ferdinando, un aggiornamento su quanto sta avvenendo durante l'emergenza sanitaria del Covid-19.

Buon Ascolto

 

NELL’EMERGENZA PERENNE, A PASSO DI GAMBERO: LA SITUAZIONE NEI GHETTI DEL MADE IN ITALY AI TEMPI DEL COVID-19

Nei distretti agroindustriali del Made in Italy poco o nulla sembra essere cambiato da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza. I lavoratori stranieri di queste enclavi, di fatto, nell’emergenza sono costretti da sempre. In Capitanata si aspetta l’inizio della raccolta degli asparagi, stipati in ghetti e campi di lavoro. Chi come l’USB lo scorso 25 marzo ha proclamato lo sciopero per questi lavoratori evidentemente non ha il polso del calendario agricolo. La Prefettura di Foggia sembra avere finalmente desistito dai suoi folli e criminali intenti di sgombero degli ‘abusivi’ nel CARA di Borgo Mezzanone, che avevano dato luogo ad una grande protesta spontanea. A Casa Sankara, nel comune di San Severo, si riempiono i container, inaugurati in pompa magna ad agosto e finora privi di allaccio elettrico, trasferendo chi viveva nella tendopoli-ghetto creata dai gestori della struttura con il placet della Regione. Gestori che, in piena pandemia, continuano ad insistere sullo sgombero della palazzina dell’Arena, dove vivono altre decine di lavoratori. Anche nel Gran Ghetto si riempiono, previo pagamento di 60 euro di ‘tessera’ all’USB, i container installati dopo l’ultimo incendio. A Foggia, gli abitanti del quartiere ferrovia continuano a lamentarsi degli ‘assembramenti’ di immigrati, che però non possono fare a meno di andare in città a fare la spesa – anche qui, nulla di nuovo. Nella Piana di Gioia Tauro la stagione degli agrumi è ormai terminata, ma chi ci ha lavorato non si può spostare altrove per la nuova stagione e rimane così senza reddito. Chi lavora nelle serre, da nord a sud, invece è esposto senza sosta a rischi di vario genere. Non solo non esistono protezioni sul lavoro, un lavoro sempre più indispensabile e al contempo del tutto martoriato e iper-sfruttato, ma per questa mancanza di tutele a pagare sono, ancora una volta, i lavoratori, e non soltanto in termini di salute e salario. È del 19 marzo scorso la notizia che 25 braccianti di origine bengalese, stipati in tre furgoncini fermati dalle forze dell’ordine di Terracina, sono stati denunciati perché non rispettavano le misure di distanziamento. Nessuno sembra essersi indignato per il trattamento riservato a chi notoriamente è costretto a subire i ricatti di intermediari e padroni per poter sopravvivere, e di certo non può scegliere se e come lavorare. Tra l’altro, proprio nell’Agro Pontino, a Fondi, è scoppiato un focolaio, e nonostante la cittadina sia stata dichiarata zona rossa il mercato ortofrutticolo, tra i più grandi d’Italia, continua a lavorare a pieno ritmo. Ovviamente, la maggior parte dei braccianti stranieri sarà esclusa dal bonus governativo di 600 euro previsto dal decreto Cura Italia, che richiede un minimo di 51 giornate in busta paga, una chimera per molti. Contemporaneamente, giornalisti pennivendoli di presunte autorevoli testate come la Repubblica del 27 marzo riprendono, accreditandole, aberranti opinioni secondo le quali ‘gli extracomunitari non si ammalano di COVID19’ – le ‘etnie’, si teorizza, forse rispondono in modo diverso al virus. Nessuno avanza l’ipotesi che forse le categorie meno tutelate sono anche quelle con minore accesso alle cure…? Ma allora perché non farla finita con le ipocrisie, chiamiamole ‘razze’ e riprendiamo le teorie che hanno sostenuto per centinaia di anni l’estrazione brutale di lavoro nelle piantagioni di mezzo mondo. Gli africani, si sa, sono più resistenti.

D’altra parte, si moltiplicano i proclami dell’associazionismo, dei sindacati e delle istituzioni, che sembrano finalmente accorgersi dell’esistenza di un esercito di lavoratori e lavoratrici in condizioni abitative drammatiche, spesso senza acqua corrente né la possibilità di mantenere minimi standard igienici o di contenimento, i quali peraltro non sono stati adeguatamente comunicati. Addirittura, senatori e ministri parlano apertamente di regolarizzazione, forse perché l’emorragia di braccia stagionali dall’Est Europa rende urgente trovare altre soluzioni. Molti lavoratori e lavoratrici giustamente si rifiutano di rischiare una volta di più la vita, la prigione e il confinamento per un lavoro sottopagato. Per ora, di certo c’è soltanto la proroga dei permessi di soggiorno scaduti o in scadenza fino al 15 giugno, ben poca cosa rispetto alle reali esigenze. Certo, oltre ai soliti africani ipersfruttati si affaccia anche l’ipotesi, sostenuta dalla ministra Bellanova in persona, di ‘volontari’ tra chi percepisce il reddito di cittadinanza da impiegare nelle campagne (Coldiretti, ricordiamolo, aveva dal canto suo proposto di arruolare pensionati e studenti allentando i vincoli sull’uso dei voucher). La CGIL, sempre prodiga di idee d’avanguardia, per svuotare i ghetti propone di trasferire i loro abitanti in caserme dismesse, che incomprensibilmente vengono ritenute più sicure. A Rosarno continuano a languire, disabitate, le palazzine di contrada Serricella destinate ai braccianti stranieri (ed ora anche a italiani con problemi abitativi, dopo lunghe polemiche), mentre si annuncia lo stanziamento da parte della Regione Calabria di 2 milioni di euro per una non meglio specificata ‘assistenza ai migranti di San Ferdinando e Sibari’. La tendopoli ad alta sicurezza è stata ‘sanificata’, e all’esterno è stata adibita una tenda per le quarantene, mentre alle decine di persone che vivono nei casolari abbandonati di Russo, a qualche chilometro di distanza, si minaccia di togliere anche l’unico pozzo disponibile per l’approvvigionamento d’acqua. Infine, a Saluzzo la Caritas e il comune, in largo anticipo sull’inizio della stagione, già mettono le mani avanti ventilando l’ipotesi di non riaprire il PAS – una ex caserma, tanto per cambiare, che negli ultimi due anni ha fornito servizio di dormitorio per alcune delle centinaia di braccianti che ogni anno si accampano nella cittadina piemontese per la raccolta della frutta.

Insomma, si procede a passo di gambero. Dal canto nostro, oltre a ribadire quel che andiamo dicendo da anni, e cioè che l’unica soluzione sono documenti, case, contratti e trasporti per tutte e tutti, ci auguriamo che questo rinnovato interesse verso le condizioni di lavoratrici e lavoratori delle campagne porti ad un sostegno più ampio alle loro richieste di quanto sia stato finora. Quando l’emergenza tornerà ad essere appannaggio esclusivo delle categorie più marginali, toccherà ricordare a tutte e tutti che chi sta alla base delle filiere agroalimentari non può essere lasciato indietro, e che le loro legittime lotte e la solidarietà che le accompagna non possono essere criminalizzate.

 

https://campagneinlotta.org/nellemergenza-perenne-a-passo-di-gambero-la-situazione-nei-ghetti-del-made-in-italy-ai-tempi-del-covid-19/

I campi di lavoro del sud Italia ai tempi del coronavirus

Data di trasmissione
Durata 18m
Durata 16m 31s

In collegamento telefonico con un compagno e una compagna ci facciamo raccontare cosa sta avvenendo nella tendopoli di San Ferdinando in Calabria e nelle campagne foggiane, a che punto sono le lotte di chi lavora in queste zone e le difficoltà che stanno affrontando. 

Buon Ascolto!

Assemblea radiofonica Covid19: gli errori a Bergamo

Data di trasmissione
Durata 1h 14m 50s

Apriamo l'assemblea radiofonica di oggi con aggiornamenti da Bergamo, la denuncia è perchè la Val Seriana non è stata subito chiusa e considerata zona rossa già da fine febbraio? Quanto Confindustria ha responsabilità nel non aver voluto chiudere le fabbriche e quindi limitato la diffusione del corona virus. Ne parliamo con un compagno di BgReport e con una rappresentante Fiom. L'assemblea radiofonica poi procede con racconti di ordinari fermi e cosa succede alle donne in questo momento di chiusera nelle case.

#Coronavirus - Mailbombing 17 marzo per la salute dei detenuti

Data di trasmissione

Martedi 17 marzo dalle ore 10 alle ore 14 partecipiamo al mailbombing per sostenere il diritto alla salute dei detenuti e delle detenute del carcere di Rieti.

 

Tra le ore 10 e le ore 14 di martedi invia la mail che trovi incollata più ai seguenti indirizzi dei garanti dei detenuti e della Asl di Rieti

info@garantedetenutilazio.it
garantedirittidetenuti@cert.consreglazio.it
segreteria@garantenpl.it
prot.segreteria@cert.garantenpl.it
direzione.sanitaria@asl.rieti.it

 

e alle redazioni di:

redazione@radioradicale.it
tgr.lazio@rai.it 

info@rietinvetrina.it
info@rietilife.it
starttv@libero.it
redazione@ilgiornaledirieti.it
redazione@frontierarieti.com

 

Il testo va inviato a ogni singolo indirizzo mail separatamente. Gli invii collettivi vanno a finire direttamente nello spam. Non inviate l'allegato ma copiate il testo nel corpo della mail.
Sappiamo che si tratta di un piccolo gesto davanti una situazione gravissima, speriamo comunque in una partecipazione diffusa.
 

TESTO DELLA MAIL:

 

Il 7 marzo scoppia la dura protesta delle persone detenute nel carcere di Salerno.

Già da un paio di mesi i Tg riportano notizie sull’epidemia di coronavirus in Cina, con il suo elevatissimo numero di contagiati e deceduti.

Già da più di un mese e mezzo che il virus è in Italia. I Tg continuano con il loro incessante susseguirsi di notizie. L’allarme si diffonde, diventa sempre più forte e sempre più vicino a noi tutti. Sappiamo come noi, persone fuori da galere, abbiamo reagito alla nostra paura, alla nostra quotidianità che cambiava in peggio giorno dopo giorno. Alle notizie di ospedali pieni ed incapaci a garantire le adeguate cure a chi si ammalava. Anche in Italia il numero di contagiati e deceduti aumentava di ora in ora.


Nelle carceri sovraffollate celle per lo più stracolme di persone, di detenute e detenuti anche anziani, anche malati. Un’assistenza sanitaria che lascia al quanto a desiderare, che già in tempi di non emergenza sanitaria, riusciva a garantire solo psicofarmaci e, a malapena, qualche tachipirina.

La tensione aumenta.

Lo Stato decide, per contenere il contagio, di adottare misure, le più restrittive: sospensione di ogni attività, interruzione dei colloqui con i familiari. In compenso, gli operatori e gli agenti penitenziari continuano a rispettare i loro turni di lavoro ed entrano ed escono dalle galere, senza alcuna precauzione, nemmeno dotati di mascherine e guanti. Nessuna misura di prevenzione di carattere sanitario.

I detenuti rivoltosi del carcere di Salerno chiedono che se non possono vedere i loro familiari, ricevere le adeguate attenzioni sanitarie, allora che si interrompano anche le entrate e le uscite di chi lavora in quel carcere. L’interruzione dei colloqui con i familiari significa tagliare completamente i ponti con l’esterno, significa enorme preoccupazione.

La rivolta si estende, in pochissime ore, a ben 27 carceri di tutta Italia, dal sud al nord. 14 i morti tra Modena, Alessandria e Rieti. Tutte morti, ci dicono (dagli esiti di autopsie fatte in fretta e furia e, probabilmente, in assenza di figure legali nominate dalle famiglie dei deceduti) dovute ad abuso di psicofarmaci presi dalle infermerie interne alle carceri.


Ci volevano le rivolte affinché il Ministro della Giustizia, oltre ad esprimere il pugno di ferro nei confronti di chi ha partecipato alle rivolte, distribuisse 100 mila mascherine. Il numero delle persone detenute, nello scorso febbraio, era 61.230 (a fronte, per altro, di una capienza di 50.931 posti). Chissà quante sono le persone che là dentro ci lavorano, per un motivo o per un altro, e quindi necessitano anche loro delle mascherine… Ad oggi sappiamo che in moltissime carceri ancora non le hanno distribuite.

4 morti a Rieti...

Ma come si sedano le rivolte? In campo si possono mettere due strumenti: uno è la contrattazione con i prigionieri. Ma c’era poco da contrattare, le decisioni erano state prese dall’alto e andavano attuate: i detenuti e le detenute dovevano rimanere isolati.

L’altro sono i pestaggi, violentissimi, reiterati. Non è una novità. Lo sa chiunque abbia vissuto direttamente o indirettamente (avendo un proprio caro lì rinchiuso) il carcere.

In questo momento poi, a causa della totale chiusura, nessuna presenza esterna, né familiare né volontario né insegnante, potrebbe monitorare la situazione, riportare all’esterno di cosa è stato testimone, ciò che ha ascoltato e visto.


Ad oggi sappiamo, tutti noi anche chi “vuole o vorrebbe non sapere”, che lì dentro centinaia di detenuti sono feriti, lesionati, intimoriti dai pestaggi. E sempre nell’inquietudine data dalla probabilità che il contagio si diffonda anche lì dentro. Già ci sono casi conclamati, ancora pochi dalle notizie ufficiali. Ma le notizie ufficiali, spesso, lasciano il tempo che trovano.

In questi difficilissimi giorni, in cui l’impegno di ognuno di noi è tutto volto alla tutela della collettività, c’è chi non ha alcuna tutela.


Chiediamo che il Direttore Generale della ASL di Rieti, anche competente e responsabile della salute delle persone detenute nel carcere di Rieti, si impegni nell’accertamento delle condizioni dei detenuti anche a seguito dei pestaggi subìti.

Ci domandiamo come mai a fronte di ben 4 morti i Garanti, Nazionale e Regionale, dei diritti dei detenuti non si siano ancora recati presso il carcere di Rieti e li invitiamo a farlo al più presto, nel loro ruolo di tutela delle persone private della loro libertà.

Assemblea radiofonica: 2° giorno

Data di trasmissione
Durata 1h 9m 6s

Continua sugli 87.9 l'assemblea aperta con il Coordinamento cittadino sanità. Continueremo anche domani dalle 12 alle 13. Per intervenire 06491750. Oggi tanto gli interventi dagli infermieri e da chi lavora nella scuola.