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Il Rojava è sotto attacco da parte dello stato Turco

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Durata 6m 31s

Dopo l’attentato di Istanbul, che ha causato 6 morti numerosi feriti e caos e paura diffusi,  il governo centrale ha avviato una campagna politica trovando l’origine dell’attentato in Rojava , accusando quindi il pkk, le ypj, le ypg. Le prime dichiarazioni governative erano pura vendetta, come si riscontra nelle dichiarazioni del ministro dell’interno. Le fonti locali in Rojava  parlano di ingenti bombardamenti , civili uccisi , droni militari. Ankara invece parla di un’operazione legittima che sta puntualmente evitando i civili. Washington da tempo riteneva probabile un attacco turco di questa portata. L’attenzione va mantenuta alta sia perché è chiaramente un’azione militare legata alla politica interna della Repubblica turca e sia perché stanno uscendo le prime dichiarazioni degli arrestati dopo l’attentato, che senza sorprese sono strane e contraddittorie.

Ne parliamo con Murat Cinar, giornalista esperto di Turchia e Kurdistan.

 

Le vittorie di Erdogan appoggiato da Nato e Ue

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Con Murat Cinar, redattore di Pressenza, commentiamo quella che è stata l'ennesima vittoria politica di Erdogan supportato dal sedicente occidente: Svezia e Finlandia condannano il PKK, si dispongono a concedere estradizioni, viene inoltre lasciato mano libera alla Turchia in Siria.

Si parla poi del tentativo di portare nelle strade di Istanbul, vietato dal 2015

Sit-in: Solidali con le donne che vivono in Turchia

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Oggi, giovedì 25 marzo alle 16,00 a Piazza Indipendenza

sit-in a Piazza Indipendenza: Solidali con tutte le donne che vivono in Turchia!

Solidali con tutte le donne che vivono in Turchia che vedono in pericolo le loro vite dopo che il regime di Erdogan ha stabilito il ritiro della firma dalla Convenzione di Istanbul sul contrasto alla violenza di genere. Diamo appuntamento a tuttə alle 16,00 a Piazza Indipendenza. Portate il pañuelo e ricordate di di indossare la mascherina e rispettare le distanze di sicurezza.

Erdogan, l'assassino sei tu!

Ne parliamo al telefono con una compagna.

#istanbulsozlesmesiyasatir

 

Aggiornamenti dalla Turchia: arresti politici, Covid e Nagorno Karabach

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Insieme a Murat Cinar, giornalista in bilico tra Italia e Turchia (come si autodefinisce), facciamo un aggiornamento sulla Turchia, dove in questi giorni le autorità turche hanno emesso mandati d’arresto per 82 curdi, tra cui un sindaco. Nel frattempo erdogan sostiene apertamente l'Azerbaijan nell'offensiva in Nagorno Karabach sia con milizia sia con le armi turche. Infine parliamo di Covid in Turchia.

Per Ebru, PER Aytac, per i diritti umani in Turchia

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Ebru Timtik è morta in difesa della giustizia, del diritto alla difesa e della dignità della professione forense, dopo 238 giorni di sciopero della fame mentre era detenuta.
L’Avv. Aytac Unsal, come lei detenuto e condannato in appello in un processo svolto in violazione di ogni regola, dopo 213 giorni di sciopero della fame, dopo la morte di Ebru e dopo la mobilitazione internazionale dell’Avvocatura e dell’opinione pubblica, il 3 settembre è tornato in libertà, per decisione della Corte Suprema, che ha deciso la sua temporanea scarcerazione (e il divieto di lasciare il Paese) in attesa che le sue condizioni di salute migliorino, sulla base della perizia medico legale che già a fine luglio aveva definito le sue condizioni (come quelle di Ebru) incompatibili con la detenzione. Peraltro, la Corte Suprema non ha ancora sciolto la riserva nel merito per questo processo per il quale altri colleghi ad oggi continuano ad essere detenuti in carcere.
È davvero intollerabile, un affronto ai principi stessi dello stato di diritto, che molte avvocate ed avvocati siano ancora in carcere in Turchia, con accuse che si fondano sull’esercizio del diritto/dovere di difesa.
E', a maggior ragione,  ancor più intollerabile che a detenuti in gravi condizioni fisiche perchè debilitati dallo sciopero della fame, come Aytac, e prima di lui Ebru Timtik, di 42 anni, İbrahim Gökçek, di 40 anni, Helin Bölek e Mustafa Koçak, di 28,per citare solo i morti del 2020, sia impedito l'accesso a cure mediche di fiducia e l'applicazione delle misure cautelari in una forma tale da garantire il loro diritto alla salute, al punto tale da determinarne la morte.
Il governo italiano, l’Unione europea ed il Consiglio d'Europa levino finalmente la voce per denunciare la responsabilità di Stato per queste morti, ed intraprendano ogni azione necessaria per garantire il diritto alla vita ed al giusto processo per Aytac e per tutti gli avvocati ed avvocate ancora ingiustamente detenute.
Venerdì 11 settembre alle ore 14.30 tutti-tutte a Roma, Piazza Montecitorio, gli avvocati e le avvocate in toga, per ricordare Ebru e chiedere la liberazione di Aytac Unsal e di tutti i difensori, magistrati, parlamentari, giornalisti, accademici e docenti, detenuti ingiustamente nelle carceri turche.
Invitiamo tutti e tutte a partecipare agli eventi  che verranno organizzati dalle associazioni e dagli Ordini Forensi mobilitati anche a livello europeo e proponiamo per lunedì  28 settembre, in occasione del trigesimo dell’assassinio di Ebru,  una giornata di  mobilitazione in tutte le sedi giudiziarie
Promuovono la manifestazione: ASSOCIAZIONE NAZIONALE GIURISTI DEMOCRATICI insieme a : Unione Camere Penali Italiane-Osservatorio Avvocati Minacciati, Legal Team Italia, Associazione Italiana Giovani Avvocati (AIGA), Associazione Studi Giuridici sull’immigrazione (ASGI), MGA sindacato nazionale forense, Magistratura Democratica, Movimento Forense

Ebru Timtik miltante e avvocata uccisa dal regime turco

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Ebru Timtik è morta dopo 238 giorni di sciopero della fame per chiedere un giusto processo per sé e per 17 suoi colleghi avvocati accusati di legami con il Fronte rivoluzionario della liberazione popolare (DHKP/C), un gruppo di estrema sinistra considerato un’organizzazione terroristica dal governo turco, dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea. Nel 2019 era stata condannata a 13 anni e sei mesi di carcere e il suo caso doveva essere giudicato in appello. Aveva iniziato il suo sciopero della fame – insieme al collega Aytac Unsal, attualmente in condizioni critiche – per protestare contro un processo farsa basato su quelle che riteneva procedure illegali. Una morte voluta dal regime turco e dalla magistratura asservita. Ne parliamo con Murat Cinar.

 

Di patriarcato e repressione in Turchia

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Con il giornalista Murat Cinar parliamo dello scontro aperto tra il governo turco e Twitter, dopo che la piattaforma social ha deciso di sospendere ben 7mila account perché ritenuti falsi e costituiti al solo fine di essere impegnati in una narrazione favorevole al presidente Erdogan e al suo partito e di diffondere sistematicamente e consapevolmente notizie false soprattutto contro i partiti dell’opposizione.
Parliamo poi del decreto firmato da Erdogan alcuni giorni fa che ordina la riconversione della basilica di Santa Sofia di Istanbul in una moschea trasferendola sotto il controllo del Direttorato degli Affari religiosi turco che oltre ad essere una questione dall’alto valore simbolico si inserisce in un contesto più ampio che ricomprende un lungo percorso con cui il presidente ha progressivamente rimesso la religione al centro della vita pubblica della Turchia con un impatto importante in particolare sulla vita delle donne e delle soggettività lgbt. Abbiamo poi in particolare approfondito il tema delle proteste e delle lotte delle donne contro il patriarcato e la violenza maschile che hanno invaso le piazze turche negli ultimi giorni dopo l’ultimo femminicidio di una studentessa di 27 anni.

In Turchia la scure di Erdogan si abbatte sugli avvocati

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In Turchia si mobilita l'avvocatura contro la nuova legge sugli ordini forensi, che prevede l'istituzione di ordini professionali alternativi a quelli esistenti e, di fatto, controllati dal governo. Un ulteriore tassello nel sistematico processo di demolizione delle libertà civili e politiche all'interno dello Stato turco.

Ai nostri microfoni, per commentare la situazione, l'avvocato Arturo Salerni.

Libia: asse Erdogan-Trump per il controllo del Paese

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Libia, ma soprattutto quello che verrà dopo. Ankara spalanca le porte del Mediterraneo a Washington. L’intento strategico di Erdogan passa dalla stabilizzazione libica e dall'eliminazione di Haftar, insieme agli Usa, per poi muovere i propri interessi in coppia con gli americani.

La Turchia, che ha grandi interessi economici nel Paese libico, si pone sempre più come attore di primo piano nell'area, avvantaggiato dal rapporto con Putin e la possibilità di fare da mediatore tra le diverse alleanze. I Paesi europei coinvolti, Francia (sostenitrice di Haftar), Italia e Germania, restano alla finestra senza assumere posizioni particolarmente incisive.

Sullo sfondo della politica estera di Erdogan, diversi problemi di consenso e politica interna.

Ne parliamo con Murat Cinar, giornalista ed esperto di politica in Turchia.