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Carcere

Venerdi 7 giugno saluto solidale ai prigionieri di Regina Coeli

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Con una compagna e due compagni dell'Assemblea di Solidarietà e Lotta torniamo a parlare di carcere e invitiamo tutte e tutti al presidio di domani 7 giugno alle 17.30 al Faro del Gianicolo per portare la nostra solidarietà ai detenuti di Regina Coeli, che recentemente hanno portato avanti una mobilitazione di 3 giorni per rompere il silenzio sulle condizioni di detenzione.
Domani faremo rumore dall'altra parte delle mura. 

Di seguito la lettera letta a inizio redazionale e ricevuta dal gruppo di detenuti a Regina Coeli:

Cara radio Onda Rossa,
con questa lettera vi aggiorniamo con la speranza che si possa parlare di carcere anche fuori, che siano ascoltate le urla di disperazione e le tante storie di abbandono, degrado, violenza e inguistizia.
Qui a Regina Coeli sono già tre giorni che è in corso una mobilitazione generale che sta coinvolgendo centinaia di detenuti.
Ogni sera a partire dalle 20:30-21:00, per almeno 30 minuti, si batte sulle sbarre e si fa quanto più rumore al grido di "libertà" e "indulto". L'iniziativa è partita dalla settima sezione, che ormai è al collasso. Una falsa sezione di transito dove ormai detengono persone per mesi, chiudono detenuti "puniti". Le celle sono buchi con letti a 3 piani con appena 1 metro quadrato a testa. Siccome i posti non bastano (Regina Coeli ha superato il record del 2012 e oggi conta 1250 detenuti a fronte di 800 posti scarsi) hanno ammassato brande nelle aree ricreative, nell'aula scolastica, nei magazzini in quasi tutte le sezioni. Ma la settima vive anche la condizione più restrittiva. Sei chiuso in quei buchi per almeno 23 ore al giorno (quando ti fanno fare quella scarsa ora d'aria).
In tre giorni la protesta si è diffusa a tutte le sezioni e un giorno, per circa 40 minuti, il quartiere è stato "ostaggio" del fragore dei botti metallici e delle urla di tanti detenuti, molti dei quali, ricordiamolo, ancora in custodia cautelare, nemmeno rinviati a giudizio.
La difficoltà più grande, per noi, è riuscire a comunicare, a far conoscere la realtà che viviamo. E' diventato già complicato comunicare fra sezioni. Il nostro giornalino che stampavamo grazie alla scuola è oggetto di pressioni e ora non può uscire (non possiamo manco mandarlo ai parenti).
Per noi è fondamentale riuscire ad avere voce, ma anche riuscire a poter conoscere, avere qualcuno che racconti le carceri, che tenga unite le tante situazioni che si creano in questo luogo osceno.
L'altro giorno qui c'erano ministri, il presidente della regione Lazio, magistrati, tutti qui per inaugurare una sala operatoria nuova di zecca che dovrebbe evitare gli interventi esterni. Una vetrina per un'opera costata 200 mila euro. Bellissima, moderna. Peccato però che non ci sarà nessuno a usarla, perché l'organico sanitario attuale ti garantisce visite banali anche a 3-4 mesi di distanza. Mancano specialisti e se ti ammali sei fregato! Guarda caso la sala operatoria sarà a disposizione di professionisti esterni. Così, come prevede l'ordinamento penitenziario, chi ha i soldi potrà far entrare un suo medico di fiducia. Più o meno quello che stanno facendo fuori con la sanità pubblica.
Noi continueremo a essere rumorosi, continueremo a far sentire fuori le nostre urla perché vogliamo ricordare al mondo che siamo vivi, che stiamo morendo qui dentro, che abbiamo una dignità.
Fuoco alle galere!

 

 

 

Regina Coeli: raccontiamo la mobilitazione dei detenuti

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I detenuti di Regina Coeli sono in mobilitazione: la raccontiamo leggendo il loro comunicato e una lettera di denuncia scritta in gruppo per diffondere la realtà di estremo disagio e le condizioni disumane in cui devono vivere le persone detenute nel carcere più vecchio di Roma.

Segue una breve introduzione ad una notizia preoccupante: la creazione di un gruppo speciale di secondini, sul modello dei GOM: i G.I.O., gruppo di intervento operativo. La risposta al disagio è sempre la repressione.

Di seguito il comunicato dei detenuti di Regina Coeli in mobilitazione.

FACCIAMO RUMORE Neppure le parole abbiamo più. E se le avessimo non le ascolteresti. Per questo sbattiamo con il poco che abbiamo, con le bombolette del gas, con le brande. Siamo invisibili, per questo cerchiamo di fare rumore, tutti insieme. Perché sia forte, perché sia disperato, perché sia sgradevole e superi anche i pregiudizi, quelli che stanno fuori ma anche quelli tra di noi. Urtiamo le porte, le grate che ci soffocano, i muri che ci chiudono e ci isolano dal mondo. Muri che hanno reso, che hai reso impenetrabili, delimitando un ghetto-lager, un mondo da dimenticare. La vita però, come la sofferenza, non puoi farla prigioniera. Una strada per uscire dalla gabbia, in qualche modo la troverà. Qualcuno sentirà quella voce e non sarà stato in vano. Perché basterebbe poco. Basterebbe che per un solo giorno queste mura sporche e grigie diventassero trasparenti. Basterebbe che tu potessi vederci. Vedere la libertà di cui ci hai privato. La speranza distrutta, la dignità calpestata. Basterebbe guardarla per un giorno, questa discarica di rifiuti umani. Dove hai confinato ogni sbaglio, dove hai buttato il disagio, la povertà, i problemi che non sai o vuoi risolvere. Sperando che così non tornino a darti fastidio, a disturbare i tuoi privilegi, il tuo aperitivo, la tua call. Vedresti gli occhi vuoti di chi si è spento per dimenticare tutto questo, sperando che passi. Vedresti i corpi inanimati di chi non riesce a sostenere il dolore. Vedresti non criminali incalliti e pericolosi, ma persone. Che spesso non trovano nessuno con energia, il coraggio e la volontà di aiutarle. Vedresti lo sporco, il degrado. Ci vedresti cucinare e mangiare in bagno. Ci vedresti sdraiati nelle brande, perché in piedi in cella non c'entriamo. Ci vedresti boccheggiare d'estate e tremare d'inverno, senza riscaldamento, senza acqua calda. Ti basterebbe un solo sguardo per capire che queste persone non sono più umane, che senza un progetto, un lavoro, senza ricevere risposte, senza una speranza non siamo più niente. Provaci tu a non poter chiamare la tua compagna, a dover scegliere se usare la tua unica chiamata per sentire i tuoi figli o i tuoi genitori. Prova ad avere solo 10 maledetti minuti a settimana per comprimere tutto, ogni pensiero, ogni parola, ogni sentimento. Prova a non sentirti solo, impotente, perso. Basterebbe seguirci mentre arriviamo ammanettati tra la gente, ancora non giudicati, in quelle aule dove dovrebbero fare giustizia, ma ti senti colpevole anche se non lo sei, vivi la condanna prima ancora della sentenza. Trascinati coi ferri ai polsi, chiusi dentro una gabbia più piccola della cella, sbattuti e umiliati in quei sotterranei luridi di piazzale Clodio. Basterebbe assaggiare questo cibo, che fa schifo e comunque non basta mai. Basterebbe finire in questo baratro per capire che i muri e le sbarre chiudono dentro anime vive e tengono fuori l'umanità, la civiltà. Ti basterebbe vederlo, questo posto, per non poter più far finta di nulla. Ti metteresti anche tu a sbattere con noi. Questa volta, non girarti dall'altra parte. Posa l'aperitivo, sospendi la call, metti in pausa il film. Prova a vedere oltre questo maledetto muro.

Detenuti in mobilitazione - Regina Coeli

FUOCO ALLE GALERE!

A chi ha scelto da che parte stare

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Corrispondenza con un compagnx dell'assemblea Solidarietà e Lotta che approfondisce la situazione sul processo Scripta Manent e invita al presidio di martedì 23 aprile 2024 a Largo Arenula.

Di seguito il  comunicato dell'Assemblea Solidarietà e Lotta:

A chi ha scelto da che parte stare.

Il 23 aprile inizierà il processo per aver appeso lo striscione sull’altare della patria il 20 febbraio 2023: L’ITALIA TORTURA. CON ALFREDO, NO41BIS ED ERGASTOLO. Lo striscione esprimeva un concetto semplice quanto vero. In quel periodo Alfredo Cospito era in sciopero della fame da 123 giorni e la solidarietà nei suoi confronti si manifestava in ogni angolo dello stivale, e non solo. La sua determinazione ha fatto emergere la brutalità e l’insensatezza del regime del 41 bis e ha imposto che diventasse un argomento su cui esprimersi. Come ogni fenomeno di grandi dimensioni, ognuno ha risposto come più gli si addiceva. Il movimento rivoluzionario, raccogliendo tutte le energie che poteva mettere in campo ha espresso una vivacità che non si vedeva da tempo. Di giorno, di notte, in tanti, in pochi. Questo procedimento è il primo (per quanto riguarda Roma) di una lista che sta rapidamente crescendo. A finire a processo saranno infatti vari episodi che hanno caratterizzato la mobilitazione dello scorso anno. Significativa la rapidità con la quale le procure stanno arrivando a chiusura indagine e rinvii a giudizio. Agire al di fuori dalla realtà virtuale, esprimersi, agire in strada, nel mondo reale, ha spesso significato infrangere la legge. Da questo punto di vista l’anno scorso in tanti e tante hanno scelto da che parte stare. Ad essere messi sotto accusa sono stati, sono e saranno i cori come le azioni dirette, gli scontri come le scritte sui muri. L’ennesima conferma che gli “spazi di libertà” sono sempre più ridotti in una democrazia sempre più autoritaria… D’altronde non ci stupisce che nel mondo alla rovescia, criminale sia chi lotta per la libertà e la dignità umana piuttosto di chi le oltraggia e la confina. Sappiamo che ogni processo, quale che sia l’esito quale che sia l’accusa, ha un costo sociale, politico ed economico. Scriviamo queste righe che speriamo arrivino a tutti e tutte coloro che lo scorso anno scelsero da che parte stare, perché riteniamo fondamentale che a pagare il conto di quella mobilitazione non si ritrovino in pochi/e. Perché si mantenga alta l'attenzione sulla detenzione di Alfredo, sulla brutalità del 41 bis e della società che lo difende. Ricordiamo che il 24 aprile si terrà l' udienza in cassazione del processo scripta manent, in cui ancora una volta i P M tenteranno di inasprire le pene già esemplari di 23 e 17 anni decise in secondo grado.L'appuntamento sarà alle 10.30 in piazza Cavour. Il 23 aprile ci incontreremo per un presidio in largo arenula di fronte il ministero di giustizia. Per rinnovare l'invito a partecipare, informarsi e contribuire a tutte le iniziative in solidarietà ai compagni e le compagne che dovranno affrontare (anche) questi processi. Per non lasciare nessuno/a indietro: nelle strade, di fronte alle ingiustizie o alla repressione.

Presidio a Regina Coeli per la giornata a sostegno dei prigioneri palestinesi

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Abbiamo sentito un compagno con il quale abbiamo affrontato il discorso della repressione, nello specifico quella dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane in vista della giornata dedicata a loro il 17 Aprile e a cui verrà portata solidarietà con un presidio al Regina Coeli di Roma.

Il ruolo della prigionia nel progetto coloniale israleiano (parte II)

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Che ruolo ha la repressione nel progetto coloniale israeliano? Quali obiettivi politici persegue Israele attraverso il giudizio davanti alla Corte militare per i soli palestinesi, la detenzione amministrativa, le condizioni di prigionia e quelle di una quotidianità vissuta in una galera a cielo aperto? Quali sono gli strumenti carcerali utilizzati dall'entità sionista per mantenere le sue politiche di apartheid, pulizia etnica e ora anche di genocidio?

Ne parleremo insieme a Khaled El Qaisi che racconterà cosa vuol dire essere detenuto in un carcere israeliano e qual è il trattamento riservato ai palestinesi; ad Assia Zaino che approfondirà la detenzione delle prigioniere e le loro pratiche di lotta; ad un rappresentante dell'associazione Addameer, che da sempre si batte contro la detenzione amministrativa; all'avvocato Flavio Rossi Albertini sulla repressione internazionale della resistenza palestinese al tempo del genocidio ed in particolare sul caso di Anan, Alì e Mansour accusati di terrorismo in Italia.

Giovedì 4 aprile - ore 16 - Aula 6 - Facoltà di lettere - La Sapienza

Ilaria Salis resta in carcere, negati i domiciliari

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Questa mattina il Tribunale di Budapest ha negato i domiciliari a Ilaria Salis che deve rimanere nel carcere in Ungheria. Una compagna che era in aula con la numerosa delegazione italiana dà conto della mattinata, dalle provocazione neonazi, alle condizioni di Ilaria, ancora in catene e ceppi, alle parole dei giudici.

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Castrovillari (CS): 26 marzo presidio per Maysoon Mjidi

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Il 26 marzo alle 11 presso il carcere di Castrovillari ci sarà un presidio per la compagna curdo iraniana Maysoon Mjidi.

Maysoon Majidi, 27 anni, regista e attivista curdo-iraniana,  dopo la
fuga dall’Iran e il viaggio via mare, è finita suo malgrado
nell’antro del ciclope, in un carcere a Castrovillari in Calabria.

I motivi per cui è dovuta scappare sono quelli condivisi da molte altre
persone. Maysoon Majidi è diventata una figura scomoda in Iran dopo
l’uccisione di Mahsa Amini, la 22enne curda uccisa dalla polizia
iraniana.

A seguito della morte di questa giovane donna, simbolo della ribellione
al potere e vittima della Polizia Morale iraniana, c’è stata
un’ondata di proteste a cui la regista Maysoon Majidi, insieme ad
altre donne, ha partecipato attivamente tanto da diventare, a sua volta,
una figura scomoda per il governo iraniano e rischiare la carcerazione.

Da qui, negli ultimi mesi, la fuga dall’Iran e l’arrivo in Calabria
il 31 dicembre, dove, colpo di scena, diventa per la procura di Crotone
una “sospetta scafista”, una presunta trafficante di vite umane, per
cui con questa accusa, in attesa del processo, viene rinchiusa nel
carcere di Castrovillari.

In questo caso l’ingiusta carcerazione non passa del tutto
inosservata, come molto spesso, invece, accade nel caso delle persone
migranti che approdano sulle nostre coste e finiscono dimenticate in
strutture detentive di vario tipo.

Maysoon Majidi, forse sostenuta dall’idea che i soprusi subiti in
Italia erano inconcepibili in un paese democratico, continua a
chiedersi: “_Perché sono qui_ [in carcere]?’’.

Questa è la domanda che l’attivista curdo-iraniana continua a porre a
chi le fa visita perché – vista con gli occhi di chi scappa da un
regime per paura di finire in carcere e poi invece vi si ritrova
detenuta in Italia, dove pensava di poter richiedere la protezione
internazionale – la storia assume i caratteri dell’incubo che si
avvera.

Il caso di Maysoon è l’ennesima dimostrazione dell’ipocrisia di una
classe politica che ha finto interesse per il caso di Mahsa Amini e le
proteste delle donne iraniane al fine di fare becera propaganda
orientalista e islamofobica, per poi negare supporto a un’attivista
curdo-iraniana che lotta contro gli abusi della polizia morale.

Sapere che Maysoon Majidi continua ad essere rinchiusa nel carcere di
Castrovillari è per noi fonte di preoccupazione e d’indignazione, ed
è per questo motivo che abbiamo pensato di attivarci, per fare in modo
che non rimanga da sola a combattere la sua battaglia nell’antro del
ciclope.

Contro il decreto Cutro e in solidarietà a Maysoon Majidi e a tutte e
tutti coloro che in fuga per la loro resistenza e lotta vengono
imprigionati nelle carceri dei diversi paesi, si terrà un presidio il
26 marzo a partire dalle re 10.00 un presidio davanti al carcere di
Castrovillari.

Sulla richiesta di estradizione di Anan, in carcere come Ali e Mansour

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Con l'avvocato Flavio Rossi Albertini torniamo a parlare di Anan Yaeesh, Mansour Doghmosh, Ali Saji Rabhi dopo che la Corte d'Appelo di L'Aquila si era opposta all'estradizione del primo ma il Tribunale aveva ordinato la carcerazione dei tre palestinesi che ancora oggi sono dietro le sbarra. L'avvocato ci informa che la Corte d'Appelo di L'Aquila dovrà nuovamente esprimersi sulla richiesta di estradizione di Anan e  racconta come procede la difesa dentro e fuori le aule dei tre. 

Torniamo a invitarvi a scrivere a:

 

  • Anan Yaeesh, casa circondariale di Terni - Strada delle Campore, 32, Terni CAP 05100
  • Mansour Doghmosh, casa circondariale di Rossano -  Contrada Ciminata, Rossano (CS) CAP 87064
  • Ali Saji Rabhi Irar, casa circondariale di Ferrara - Via Arginone, 327, Ferrara CAP 44122