Per la puntata di fine anno, abbiamo scelto una serie di consigli letterari a cura della redazione di Radio Onda Rossa e di Tabula Rasa che hanno per tema "il carcere".
Un grazie anche a Paolo Persichetti e Sandro Bonvissuto per averci dato una mano con la realizzazione della puntata.
A tutte e tutti ricordiamo l'appuntamento del 31 dicembre a Roma fuori le mura di Rebibbia.
Il 31 dicembre ci sarà il presidio di fronte al carcere di Rebibbia. Da inizio dicembre la popolazione detenuta ha superato le 60mila persone. Sentiamo diverse voci che parteciperanno il 31 dicembre al presidio, proviamo a toccare i diversi temi che verranno portati quel giorno sotto le mura.
Radio Onda Rossa tiene da sempre una fitta corrispondenza con le persone detenute. Riceviamo tante lettere che raccontano la quotidianità e la vita ristretta, storie di solidarietà ma anche - tante - storie di abusi. Queste ultime in particolare non hanno nessuna possibilità di emergere perché alle/ai detenute/i viene tolta la voce. Leggiamo alcune lettere che ci sono arrivate nelle ultime settimane da diversi penitenziari d'Italia. Con l'occasione, vi ricordiamo la prossima uscita di Scarceranda 2024. Inoltre presentiamo un'iniziativa che si svolgerà questo sabato (18 novembre) alle ore 19 a Logos, festival della parola.
I prigionieri e le prigioniere prendono parola.
Sono sempre poche le voci che si esprimono sul carcere, sulla sua funzione e sulle sue progressive trasformazioni indissolubilmente legate a quelle dei tempi della società in cui è inserito.
Quelle poche diventano un numero più alto quando qualcosa accade al suo interno. Quando la sua quotidianità viene, per qualche ragione, interrotta.
A quel punto, però, i mass-media riportano solo le testimonianze di chi sembra essere l’unica fonte attendibile: i sindacati di polizia penitenziaria.
E le voci di chi vive la galera sulla propria pelle? Silenziate...
Quelle devono essere alte, molto alte, per essere ascoltate.
E a volte diventano urla.
È accaduto durante le rivolte dei prigionieri e delle prigioniere negli anni ‘70, quando anche fuori quelle mura la società era in piena trasformazione, grazie alle lotte portate avanti su tanti fronti (da studenti, lavoratori, donne...) e la connessione tra “dentro” e “fuori” era intensa e costante.
È accaduto nel marzo 2020, quando la paura del contagio e l’isolamento dai propri affetti (con l’interruzione dei colloqui familiari - detenuti) hanno vinto sulla rassegnazione in cui, negli ultimi anni, sembrava fossero cadute la maggior parte delle persone detenute.
Rivolte decise, esplosioni di rabbia. Forse non paragonabili a quelle di 50 anni prima per progettualità. Ma il grido diceva “noi esistiamo!” a fronte dell’assoluto disinteresse dello Stato nei loro confronti.
Rivolte sedate con violenza inaudita, anche a distanza di mesi, come accaduto a Santa Maria Capua Vetere (perché lo Stato non dimentica) e che hanno causato la morte di ben 14 persone, di cui 9 a Modena.
Ieri come oggi?
Quale era il tessuto prigioniero degli anni ‘70 e quale quello attuale?
Perché proprio a Modena la repressione si è manifestata nel modo più violento, provocando una strage mai avvenuta prima?
Perché a Santa Maria Capua Vetere, quella che da più parti è stata definita una mattanza, è avvenuta un mese dopo quelle rivolte?
E oggi, cosa sta accadendo all’interno delle mura perimetrali che delimitano l’isolamento tra chi è fuori e chi è dentro?
Come provare a superarle per ascoltare le voci che da lì dentro provengono?
Abbiamo scelto di confrontarci e approfondire questi temi in una tavola rotonda con gli autori di tre importanti volumi che negli ultimi anni hanno trattato di questi temi:
- L’aria brucia di Antonio Susca e Giancarla Rotondi
- La Settimana Santa di Luigi Romano
- Morti in una città silente di Sara Manzoli.
Ci vediamo sabato 18 novembre ore 19 a Logos festa della parola.
Mentre il governo per rispondere alla violenza sulle donne e ai problemi delle periferie propone più carcere e più polizia, le notizie di suicidi, morti e proteste nelle carceri si susseguono senza sosta.
Da Luglio un gruppo di attiviste e associazioni ha costruito un "Gruppo di supporto per i familiari dei detenuti morti in carcere", insieme a loro abbiamo ragionato di morti e sanità in carcere.
Nel redazionale commentiamo l'ultimo disegno di legge del governo, approvato sull'onda mediatica ed emotiva legata ai fatti di Caivano e Palermo, e passiamo in rassegna una serie di articoli usciti sui quotidiani degli ultimi giorni che parlano dei penitenziari di Regina Coeli e Rebibbia a Roma e del Mammagialla di Viterbo.
A Rebibbia dopo l'inchiesta che ha denunciato la distribuzione di cibo per animali ai detenuti, è notizia di ieri una protesta dei detenuti, principalmente di origine marocchina per avere notizie sui propri cari colpiti dal terremoto in Marocco, mentre a Regina Coeli un ragazzo di 21 si è tolto la vita.
A Viterbo i detenuti protestano per le condizioni gravissime che vivono, e per le mancate cure ad un detenuto lasciato morire dai medici e dagli agenti della penitenziaria che non sono intervenuti per tempo.
Corrispondenza co la legale del detenuto Domenico Porcelli in sciopero della fame da cinque mesi contro il prolungamento del regime di 41bis a lui applicato nel carcere di Bancali. L' avvocata ci aggiorna sulle condizioni di salute fisiche e mentale ormai gravissime del detenuto. Nessuna risposta istituzionale: il detenuto è abbandonato a sè stesso.
Torniamo a parlare di carcere. L'estate è la stagione più dura per le persone detenute: la condizione si fa ancor più afflittiva e aumentano le difficoltà a sopravvivere al regime detentivo. Notizie di suicidi: riflettiamo brevemente sul perché accade. Domenico Porcelli e Natale, detenuti in sciopero della fame nel carcere di Bancali, entrambi in condizioni gravi di salute.
Quali sono le cooperative che operano all'interno delle carceri romane? Nel penitenziario di Rebibbia spadroneggia l'associazione del fascista Luigi Ciavardini che fattura più di un milione di euro ogni anno: un po' di informazioni a riguardo. Continuiamo a parlare di carcere: rinnovo dell'organo collegiale del Garante delle persone private della libertà: da Palma, De Robert e Rossi a tre figure - ancor più di facciata rispetto al quelle uscenti - proposte dal governo Meloni. Breve riflessione sulla lotta anticarceraria, quella vera, da dentro e dal basso.
Insieme ad una compagna presente all'udienza di ieri al tribunale di Torino, dove si è ridiscussa la pena inflitta ad Alfredo Cospito e Anna Beniamino per i fatti della scuola ufficiale carabinieri di Fossano, discutiamo del clima che si respirava in aula e delle dichiarazioni di Alfredo e Anna.
Nelle loro dichiarazioni Alfredo e Anna hanno analizzato la funzione del 41 bis, hanno raccontato le loro condizioni di detenzione, hanno denunciato come la loro vicenda sia stata utilizzata nelle scontro fra i partiti politici al governo e all'opposizione.
La sentenza è stata rimandata al 26 Giugno, ma per ora la procura generale di Torino ha chiesto l'ergastolo per Alfredo (confermando la pena già comminata) e 27 e un mese per Anna.
La richiesta del procuratore generale Francesco Saluzzo e del pm Paolo Scafi è arrivata al termine della requisitoria ed è rimasta in linea con le intenzioni della pubblica accusa nonostante alla scorsa udienza i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Torino avessero sollevato una questione di legittimità costituzionale rispetto alla norma che prevede l’ergastolo per il reato di strage politica (accusa piombata in capo all’anarchico solo al terzo grado, la Cassazione) anche quando quest’ultima non provoca morti o feriti.