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femminismo

Parentesi del 18/11/2015 "Perché a Parigi?"

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Perchè a Parigi?
Immagine rimossa. Immagine rimossa.“Perché a Parigi?”

di Elisabetta Teghil                       

Centinaia di morti civili sono all’ordine del giorno nei paesi mediorientali, ma la notizia scivola come un dato di cronaca senza provocare particolare commozione. Quando questo avviene in un paese dell’Europa occidentale suscita una mobilitazione e un interesse assolutamente diverso e più importante rispetto a tanti analoghi episodi che tutti i giorni insanguinano quegli sfortunati paesi.
Dove sta la differenza? Forse la risposta ce la dà Aimé Césaire: ”Ciò che il borghese del XX secolo, tanto distinto, tanto umanista e tanto cristiano, non riesce a perdonare a Hitler, non è il crimine in sé, l’umiliazione dell’uomo in sé, ma il crimine contro l’uomo bianco, il fatto di aver applicato all’Europa procedimenti colonialisti, riservati, fino a quel momento, agli arabi d’Algeria, ai coolies dell’India e ai neri africani”.
Tutto è cominciato quando gli Stati Uniti, appoggiandosi per motivi geopolitici al governo pakistano, hanno foraggiato, finanziato ed armato la parte più retriva della società afghana, nella fattispecie i Talebani, che hanno rovesciato in un crescendo di violenze inenarrabili un governo democratico e progressista .Gli Usa, forti di quel successo e del concorso di una sinistra riformista e socialdemocratica che ha partecipato in vari modi a quei delittuosi avvenimenti, hanno replicato il gioco in tanti altri paesi. Per ricordare gli ultimi l’Iraq, la Libia e, attualmente, la Siria. I morti civili in quei paesi sono tanti e tali che è praticamente impossibile darne il numero se non con approssimazione, ma si tratta certamente di milioni. Sempre a questo proposito, il colonialismo è stata la disumanizzazione di popolazioni intere ed è stato realizzato attraverso il terrore assoluto fino a rendere vana l’idea stessa di resistenza. Tutto ciò sta avvenendo nei confronti dei popoli mediorientali con la creazione e il sostegno materiale e finanziario dell’Isis da parte degli USA che si sono appoggiati, in questo caso, agli Stati più reazionari di quell’area geografica, Arabia Saudita, Emirati Arabi, Qatar e Turchia.
Inutile girarci intorno, l’Isis è una creatura degli Stati Uniti. Ma qualcuno dirà, perché proprio Parigi?
Perché la Francia ha ripreso in maniera forte il progetto neocolonialista, tanto è vero che truppe francesi sono presenti in vari scenari soprattutto nelle loro ex colonie dove interferiscono in maniera prepotente negli affari interni rovesciando governi, imponendo loro uomini di fiducia e rastrellando le ricchezze di quei paesi con la complicità dei loro quisling.
Ma perché la Francia da quando è presidente Francois Hollande sta percorrendo senza scrupoli questa strada?
Intanto perché i socialdemocratici, comunque si chiamino, e in Francia si chiamano partito socialista, avendo sposato la causa neoliberista, hanno portato in dote l’impianto teorico del ritorno al colonialismo che una volta verteva sulla diffusione della civiltà cristiana, del commercio e del progresso e oggi si giustifica nei diritti umani, nei mercati e nella democrazia.
A questo si deve aggiungere che il personale politico francese non è di nuovo conio, ma è l’onda lunga per “discendenza” e “matrimoni” del personale politico che a suo tempo gestì le colonie. Ed ancora, una delle caratteristiche figlie del neoliberismo è che lo stesso seleziona un personale, in questo caso politico, particolarmente mediocre ed Hollande ne è l’esempio. La politica estera francese ha ripristinato il concetto di protettorato, una parola che non si usava più pronunciare dagli anni ’50, tornata alla ribalta con il revisionismo storico che ha rivalutato il colonialismo. La rilettura del colonialismo e il suo rilancio sono il risultato di un’operazione teorica parte del progetto neoliberista che ci conferma che quest’ultimo è una visione complessiva del mondo ed è pertanto un’ideologia.
Ma, per tornare alle vittime di Parigi, bisogna se non altro dire che il più grande eccidio civile in Francia nel dopoguerra non è stato quello del 14 novembre di quest’anno, ma quello del 17 ottobre del 1961, quando una manifestazione di algerini francesi che chiedevano indipendenza per il proprio paese fu repressa nel sangue. Manifestazione indipendentista che aveva assunto anche un aspetto sociale: gli invisibili abitanti delle periferie più squallide, che producevano alla Renault e nelle altre fabbriche della Parigi operaia, invasero il centro della “ville lumière”, vetrina del benessere e della “grandeur” francesi. La manifestazione era assolutamente pacifica, la chiamata era contro l’imposizione del coprifuoco alla popolazione algerina e diceva testualmente “ non saranno tollerate armi – “neanche una spina” – né comportamenti violenti” e parteciparono in trentamila comprese famiglie, donne e bambini. Ancora oggi non si sa esattamente quanti siano stati i morti, non è stato neanche mai possibile definirne la cifra, approssimativamente fra i duecento e i trecento. Per settimane la Senna riportò a galla decine di cadaveri. La polizia di allora disse che i morti erano stati tre e che si era dovuta difendere da manifestanti armati. Da quel tragico giorno si sono succeduti numerosi governi, nessuno ha voluto e saputo raccontare quegli avvenimenti, neanche i vari personaggi istituzionali che si sono avvicendati nella magistratura e nella polizia. Nessuno è stato chiamato a risponderne. Nessuno ha pagato. E’ calato un silenzio tombale che ha ucciso per la seconda volta donne, bambini, anziani e uomini. A proposito di questi ultimi molti dei cadaveri recuperati erano evirati, a conferma dell’efferatezza di quelle uccisioni e a smentita di una presunta superiorità della civiltà bianca. A questo silenzio si sono accodati accademici e storici, quell’episodio non viene citato in nessun libro di storia, come allora non fu riportato da nessun giornale tranne che dall’Humanité e dalle riviste Temps Modernes e Testimonianza Cristiana, e fu denunciato solo da pochi coraggiosi intellettuali come Jean Paul Sartre, Jean Luc Einaudi e dallo storico Pierre Vidal-Naquet. Da questo punto di vista non è cambiato niente.
Per la strage del 14 novembre è stato sottolineato che gli attacchi sono stati simultanei in diversi posti, ma anche nel 1961 non ci fu solo la repressione rispetto al corteo, ma fu organizzata anche in altri luoghi di Parigi, nella sola prefettura ci furono cinquanta morti.
Nel 1989 è stata fondata un’associazione, “Au nom de la mémoire”, composta soprattutto dai figli delle vittime di quell’avvenimento e che pone invano tre richieste: il riconoscimento degli avvenimenti del 17 ottobre come crimine contro l’umanità, il libero accesso agli archivi per quanto concerne la storia della guerra d’Algeria, l’inserimento dei fatti del 17 ottobre nei manuali di storia.
L’Isis è come gli Harkis, un corpo di algerini collaborazionisti guidato da ufficiali francesi a cui veniva demandato il lavoro più sporco e che si sono coperti di crimini orrendi nei confronti dei loro connazionali. Agli Harkis erano stati dati due alberghi nel quartiere popolare parigino della Goutte d’Or, alberghi che erano veri e propri centri di tortura.
I rastrellamenti degli algerini erano all’ordine del giorno, le famose “rafles”, retate che venivano chiamate “la caccia ai topi”. Per coprire il tutto furono, poi, emanate quattro amnistie ed una serie di regolamenti che impediscono l’accesso ai documenti degli Archivi di Stato fino a cent’anni dall’accadimento degli stessi.
Il 20 ottobre di quell’anno, le donne algerine indissero una manifestazione e il 9 novembre andarono davanti alle carceri dove era in atto uno sciopero della fame delle detenute e dei detenuti.
L’infamia borghese in tutte le sue articolazioni, si manifestò anche nel febbraio del 1962 quando l’OAS effettuò un attentato che uccise una bambina di quattro anni e quando, nella manifestazione di indignazione e di protesta che ne seguì, indetta dalla CGT e dalla CFTC, a Parigi, alla stazione del metrò Charonne, la polizia uccise otto manifestanti, un nono morì in seguito alle ferite. Una delle vittime, Fanny Dewerpe, era sfuggita ai rastrellamenti durante la guerra, suo cognato era stato fucilato nel 1944, suo marito René era stato manganellato a morte il 28 maggio 1952 nel corso di una manifestazione per la pace, a conferma che la borghesia ha tanti volti, ma l’essenza è sempre la stessa.
Noi i nomi delle vittime di Metrò Charonne li conosciamo tutti, ma quelli degli algerini massacrati il 17 ottobre, quasi nessuno. Anche nella morte sono diversi.
Diffondere la conoscenza di questi crimini è il modo migliore di rendere giustizia ai morti.
Allora ce la vogliamo dire tutta fuori dai denti? Nelle banlieues parigine si è festeggiato per quello che è accaduto e siccome siamo in vena di sincerità diciamo che parte della colpa è anche nostra, e parliamo della sinistra di classe. Non abbiamo saputo raccontare quegli episodi, abbiamo partecipato all’ oblio, non abbiamo saputo dare sponda e progetto alle loro attese, abbiamo lasciato vuoto uno spazio e perciò abbiamo consegnato tanti giovani all’integralismo islamico. La religione ha saputo essere quel collante che la sinistra di classe non è riuscita a dare. Dovremmo riflettere su questo.
Qualcuno dirà: ma dove sta la differenza tra la Francia e l’Italia? Anche noi abbiamo al governo socialdemocratici neoliberisti, che da noi si chiamano PD, anche noi abbiamo una classe dirigente mediocre, anche noi abbiamo partecipato a tutte le così dette guerre umanitarie, addirittura all’aggressione alla Libia, facendoci portare via un paese con cui avevamo un rapporto privilegiato ereditato dall’esperienza coloniale. Dove sta la differenza? La differenza è che l’Italia è supina agli Stati Uniti e non ha velleità di avere una politica estera autonoma da quella statunitense. Con Nicolas Sarkozy ( quest’ultimo sta a Charles de Gaulle come Carlos Menem sta a Juan Domingo Peròn) la Francia ha ridefinito il rapporto con la Nato e dentro la Nato e ha reimpostato i Servizi. Questi ultimi sono tacciati di impreparazione e pressapochismo, ma a suo tempo, avevano dimostrato grande efficienza nel salvaguardare la vita di Charles de Gaulle. Evidentemente il rapporto privilegiato con gli Usa e il ridefinito rapporto con la Nato non sono la soluzione, ma il problema e non si conciliano con una politica estera indipendente.
In definitiva, tutto nasce dal progetto neoliberista che i paesi del terzo mondo devono sottomettersi e conoscere una nuova era di colonizzazione caratterizzata dall’arroganza dei colonizzatori convinti di far parte di una categoria superiore, più civilizzata, più progredita e dal disprezzo che questa ha dei colonizzati, tanto che a volte arriva a considerarli come non appartenenti al genere umano.
L’oscena strumentalizzazione dei fatti di Parigi con la richiesta di maggiori risorse e mezzi alla polizia, all’esercito e ai Servizi, in definitiva con la canonizzazione del “bisogno di sicurezza”, è in correlazione diretta con la disoccupazione cronica, la normalità della precarietà, l’esclusione dai diritti di cittadinanza di chi è fuori dal mercato del lavoro, l’aumento dei poveri, dei senza casa, dei marginali, degli immigrati e il tutto non è il frutto sgradito della politica neoliberista, ma ne è la sostanza. Questo è il senso delle politiche securitarie, un’impostazione atta alla ridefinizione dei rapporti di forza con il mondo del lavoro, una compiuta colonizzazione dei popoli dei paesi occidentali così come già avvenuto negli Stati Uniti, una guerra a tutto campo sul fronte esterno e sul fronte interno mettendo in preventivo la guerra nei confronti della propria popolazione, trasformando aree geografiche, etnie, ceti, ambienti in colonie interne.
Il vero destinatario delle politiche securitarie è il lavoro e il lavoratore. E’ nell’ambito di questa impostazione che la polizia acquista un potere che non ha mai avuto in passato e gli eserciti nazionali diventano truppe colonialiste ad uso interno e che la Nato si trasforma in un organo di polizia internazionale. Polizia, eserciti nazionali, Nato hanno come scopo diretto e fondamentale la salvaguardia armata degli interessi del capitale contro il lavoro. Ne consegue la necessità della fine del capitalismo, ma questa passa attraverso la sconfitta politica del neoliberismo e dei suoi funzionari politici, la socialdemocrazia. Nella deriva dei continenti politici partitici la socialdemocrazia è diventata la destra moderna, conservatrice e reazionaria e sposa in Italia e in Europa la causa statunitense, nella stagione in cui gli Usa tentano di imporsi come impero.
Come una volta le potenze coloniali usavano gli ascari, ora usano l’Isis, ma come succedeva anche una volta, spesso gli ascari sfuggono di mano. O meglio chi toglie le armi agli ascari quando non sono più utili?

 

Trasmissione dell'11/11/2015 "TTIP" e "25 novembre"

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“I Nomi delle Cose” /Puntata dell’11/11/2015 “TTIPImmagine rimossa.  e “La coordinamenta verso il 25 Immagine rimossa.novembre”

 

“Mi dicevano
è meglio se sorridi a bocca chiusa.
Mi dicevano è
meglio se ti tagli i capelli lunghi,
così crespi,
sembri ebrea.
Mi zittivano nei ristoranti
guardandosi intorno
mentre gli specchi sopra il tavolo
riverberavano beffardi in infiniti
riflessi un volto rozzo, squadrato.
Mi chiedevano perchè
quando cantavo per le strade.
Loro alti, grandi al tè
coi loro modi melliflui, didattici
io con gli occhi sul piattino
che cercavo di nascondere la bomba
a mano nella tasca dei calzoni,
e mi rannicchiavo dietro il pianoforte.
Mi deridevano con riviste
piene di seni e merletti, contenti come pasque
quando il primogenito del dottore
sposava una ragazza tranquilla e carina.
Mi raccontavano storie
di signore eleganti e sportive
e le loro diverse carriere.
Mi svegliavo la notte
con la paura di morire.
Costruivano schermi e divisori
per nascondere il desiderio
non bello a vedersi
a sedici anni
inesperta disperata
mi abbottonarono dentro vestiti
a fiori rosa.
Aspettavano che io finissi
per riprendere la conversazione.
Sono stata invisibile,
strana e soprannaturale.
Voglio il mio vestito nero.
Voglio che i capelli
mi si arriccino selvaggi.
Voglio riprendere la scopa
dall’armadio dove l’ho rinchiusa.
Stanotte incontrerò le mie sorelle
nel cimitero.
A mezzanotte
se ti fermi al semaforo
nel traffico umido della città,
guarda se ci vedi contro la luna.
Noi gridiamo,
noi voliamo,
noi ricordiamo e non smetteremo.”

STREGA (1969) di JEAN TEPPERMAN

La Parentesi dell' 11/11/2015 "Sparare sul quartier generale"

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http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/11/12/la-parentesi-di-elisabetta-dell11112015/

“Sparare sul quartier generale”

Immagine rimossa. Gli anni del femminismo sono stati gli anni del desiderio. Il femminismo degli anni ’70 era il portato della carica liberatoria che le donne avevano accumulato come saperi, come consapevolezza, come scoperta, come assunzione su di sé della necessità di capire i propri desideri e della possibilità di prendere in carico la capacità di realizzarli. Era un impegno a sottrarsi alla società patriarcale e capitalista, nel desiderio della possibilità di una felicità collettiva. La via della liberazione non si opponeva a dei soggetti, ma alla totalità del presente inteso come totalità organizzata di un sociale, cioè l’insieme delle relazioni sociali che riproducevano continuamente una società sessista e classista. Era il tentativo cosciente di sconfiggere l’ambiente costituito dai dispositivi semantici, discorsivi, di controllo che rendono possibile il perpetuarsi del patriarcato e del capitalismo.

Era un processo che circolava in tutte le situazioni in cui era in grado di vivere e ha permesso la sperimentazione e l’attuazione di pratiche di liberazione concrete e autonome che hanno conferito a chi le ha percorse una capacità di riappropriarsi della propria vita anche attraverso momenti di grande fatica e di conflittualità con la stessa coscienza illusoria che ognuna di noi si porta dentro, frutto della manipolazione con cui avviene la costruzione del femminile.

Ma è successo al femminismo quello che è successo al movimento tutto: il sistema ha fatto balenare l’idea che le lotte categoriali e corporative fossero vincenti, dividendo così il fronte di lotta, insinuando il tarlo della separazione fra soluzione immediata di esigenze materiali  e liberazione futura collocata in un fumoso avvenire, spettro di un’utopia di poche/i, irrazionali e sognatori/trici.

Nello specifico femminista ha usato le femministe socialdemocratiche che hanno presentato l’emancipazionismo come la soluzione e la panacea in contrapposizione alla radicalità del femminismo liberatorio e alla sua netta opposizione alla struttura di questa società.

La maggior parte delle donne si sono fatte irretire da queste sirene: alcune erano in buona fede, altre no. La stragrande maggioranza ha scelto la sistemazione personale quando è stata data questa  possibilità. Questa in sé non è una colpa. Trovare soluzione economica e anche di vita e perché no, di soddisfazione personale non solo è lecito, ma anzi auspicabile. Il problema si è presentato ed è diventato grave, quando chi ha fatto questa scelta, per giustificarla, si è prestata a veicolare che questa era la soluzione giusta, corretta e ragionevole, demonizzando la “radicalità”…. la ”violenza”…la “mancanza di maturità”…di chi continuava a porsi il problema dell’uscita dalla società patriarcale e capitalista e usando  proprio gli strumenti del femminismo per addomesticare il femminismo: … la sorellanza… l’orizzontalità… la condivisione….. la “positività” del portato femminile  e anche  la necessità di avere visibilità, la possibilità di trasformare il maschile, tacciando chiaramente di insipienza tutte quelle che continuavano a dire che la sorellanza era attraversata dalla classe…che la compartecipazione nelle istituzioni non era altro che la partecipazione alla gestione del potere…che la violenza era del dominio e del patriarcato e non di chi si poneva il problema di uscirne.

Hanno  operato, così, lo stesso tradimento di quelle/i che si sono laureate/i in prima generazione e si sono svendute/i per la promozione personale dimenticando come e perché erano riuscite/i a ottenere quello che avevano ottenuto e, anzi, demonizzando quelle pratiche.

I gruppi, i collettivi, le singole che avevano una visione diversa c’erano, eccome! ma il loro isolamento è avvenuto attraverso la stampa mainstream , l’uso del gratuito, la funzione delle esperte e degli esperti, la demonizzazione delle posizioni di classe, la promozione  strumentale a femministe storiche di quelle  che avevano teorizzato posizioni come il rifiuto di “ogni ideologia”, del pensiero razionale o dell’intera storia perché risultato della dominazione maschile.

Proprio l’uso di queste categorie ha zittito tutte quelle che avrebbero voluto fare chiarezza.

Proprio le donne che sono entrate nelle istituzioni e/o che dalle istituzioni sono state finanziate nelle maniere più svariate, ma anche quelle che a vario titolo si sono identificate nei meccanismi di questa società, hanno contribuito in maniera importante all’isolamento e al disconoscimento dei collettivi e delle singole  refrattarie, non omologate, devianti e recalcitranti, prestandosi ad essere veicolo del pensiero unico dominante, perpetuando l’oppressione su tutte le altre donne.

L’uscita dal pantano in cui è stato trascinato il movimento femminista ora può essere solo il risultato  di un percorso di verità.

Il movimento femminista è stato attraversato dalla lotta di classe, proprio al suo interno.

Il problema non è riconoscere che lotta di genere e di classe sono inscindibili, che la nostra lotta è inseparabile dalla lotta per una società dove non ci sia sfruttamento e che se non siamo liberi tutte e tutti non è libera/o nessuna/o. Questo è un portato che appartiene al femminismo e non credo che ci sia bisogno di spiegare che l’unico femminismo è quello che percorre vie di liberazione, ma la necessità è di riconoscere  che il problema è interno.

E’ la mancanza di riconoscimento che all’interno del femminismo si è espressa la lotta di classe e che ha vinto la borghesia che ci ha condotte fino qui e che ci impedisce di uscire dal pantano.

Il primo passo necessario  per riportare il femminismo alla sua dimensione di percorso di liberazione è sparare sul quartier generale.

Poi, ognuna  sceglierà gli strumenti e le modalità che ritiene più congeniali nell’afflato  di libertà che ci accomuna.

Trasmissione del 4/11/2015 "Il valore della rottura"

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“I Nomi delle Cose” /Puntata del 4/11/2015 “Il valore della rotturaImmagine rimossa.  e “La grande guerra/I sogni muoiono nel pomeriggio”

GETTARE GLI ZOCCOLI NELL’INGRANAGGIO/la Trident Juncture si può fermare/la diretta con le compagne da capo Teulada/La grande guerra/4 novembre/dedicata a Olga Rozanova e alla rivoluzione d’ottobre/Occhi bene aperti/I ruoli sessuati nella situazioni emergenziali”

 

 

La Parentesi del 4/11/2015 "Occhi bene aperti"

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“Occhi bene aperti”

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/11/05/la-parentesi-di-elisabetta-del-4112015/

Immagine rimossa.

Tutto comincia a cambiare con il veto all’ONU  della Russia e della Cina sull’intervento diretto delle  “potenze occidentali” in Siria. Memori di quello che è successo in Libia, la Russia e la Cina hanno capito che la tattica della foglia del carciofo attuata da Usa e alleati è di fatto diretta a loro e sono corsi ai ripari.

Gli Stati Uniti mirano, in Medio Oriente e non solo, a destabilizzare gli Stati asimmetrici ai loro interessi. A questo scopo hanno creato, addestrato e armato gli integralisti islamici, Isis compreso. Ora l’integralismo islamico è sfuggito loro di mano. Quello che sta succedendo in Afghanistan è esemplare, ma tutto ciò agli Usa permette comunque di giocare a due tavolini: da una parte continuano a foraggiare il variegato mondo dell’integralismo islamico, dall’altra usano il terrorismo come strumento per compattare l’occidente…je suis Charlie docet…e per avere eventuale mano libera per intervenire come e dove ritengono conveniente.

Inoltre, nel settore medio-orientale il referente degli Usa è Israele, anzi per gli Usa, in medio oriente è la politica israeliana che ha guidato le scelte comuni.

Israele mira a distruggere gli Stati Nazione di quell’area, Turchia, Iran, Iraq, Siria, Egitto e a ridurli a staterelli inconsistenti facilmente manovrabili e gestibili. Non ha mai tralasciato il progetto sionista, che, anzi, è il filo conduttore sotterraneo delle sue scelte politiche, di costruire il Grande Israele. Il concetto di “Grande Israele” si fonda sull’idea di uno stato ebraico esteso dall’Egitto fino all’Eufrate includendo parti della Siria e del Libano, il “Piano Yinon” del 1982.

E infatti, l’Isis è appoggiato da Israele in funzione destabilizzante degli Stati Nazione dell’area mediorientale. L’ Isis, guarda caso, non attacca mai obiettivi israeliani. Ma come? Gli integralisti musulmani non vogliono pregare a Gerusalemme?

Si è creata, così, un’alleanza Usa-Curdi. I Curdi, da una parte combattono l’Isis, dall’altra sono elemento scardinante degli Stati Nazione in quell’area.

Però la situazione internazionale è in movimento.

Si sta venendo a creare un asse Russia-Cina e alleati mediorientali Iraq, Hezbollah libanesi, compresa la Siria dove, peraltro, la Russia è stata chiamata in aiuto dal governo legittimo come era successo in Afghanistan.

E gli Usa sono in un momento di transizione. La loro politica in medio oriente si è rivelata fallimentare. Il mandato di Barack Obama è in scadenza e bisogna vedere chi gli succederà. Ricordiamoci sempre che gli Usa hanno, da molto tempo e precisamente dall’uccisione di J.F.Kennedy, perso la mediazione politica e sono governati direttamente dalle multinazionali di cui le rappresentanze politiche sono diretta filiazione.

Per la prima volta, gli interessi Usa, almeno parzialmente, stanno divergendo da quelli Israeliani. Però Israele è anche una multinazionale molto potente negli Stati Uniti.

Ora, in questo quadro,Tayyip Erdogan in Turchia ha vinto le elezioni, ma è un morto che cammina. Se le elezioni del primo novembre avessero decretato la sua sconfitta politica sarebbe sparito dalla scena, ma il fatto che sia andata diversamente apre scenari inquietanti.

Ormai è un ostacolo sia per gli Usa che per Israele. Entrambi vogliono la creazione di un Kurdistan indipendente che ridimensioni gli Stati circostanti. Certo la Turchia dovrebbe cedere i territori rivendicati dai Curdi e allo stesso tempo la Turchia fa parte della Nato ed è un elemento importante della coalizione, ma sia gli Stati Uniti che Israele pensano che, in fin dei conti, per la Turchia non cambi poi molto cedere un pugno di montagne rispetto ai loro guadagni in termini geopolitici sapendo che l’instaurazione di un Kurdistan indipendente aprirebbe scenari importanti rispetto all’irredentismo delle zone curde in Iran che loro chiaramente si ripromettono di cavalcare

La vittoria di Erdogan è dovuta all’appoggio e al voto della popolazione più povera, delle masse contadine, di provincia, retrive e tradizionaliste dove il richiamo all’ Islam è un argomento fondante, ma è osteggiato fortemente dalla parte laica e occidentalista dell’elettorato colto che in Turchia rappresenta una parte importante della società che conta.

E proprio consapevole di questo, Erdogan nel periodo pre-elettorale è ricorso allo stragismo. Lo stragismo non è qualcosa di estraneo alle così dette “democrazie”, specialmente per quelle dell’area Nato, ma è una modalità che viene scelta in momenti determinati e per precisi interessi.

Ci ricorda quello che è successo in Italia. Ma con una differenza fondamentale. La sinistra turca ha individuato immediatamente la matrice di Stato degli attentati ed è scesa in piazza con una indiscussa chiarezza politica, mentre qui da noi, a suo tempo, così non è accaduto. E la ragione principale sta nell’ azione di addomesticamento delle coscienze, di intorbidamento degli scenari e delle ragioni politiche che ha operato la socialdemocrazia nelle vesti dell’allora PCI e dei sindacati confederali. Questo d’altra parte era il loro ruolo. Ed è con questa “così detta sinistra” che noi ancora oggi facciamo i conti.

Finora gli Usa si sono posti come Stato del capitale, hanno avanzato pretese egemoniche con una politica attiva e aggressiva con lo strumento principe della Nato come esercito di conquista, togliendo di mezzo uno alla volta i paesi asimmetrici ai loro interessi e accerchiando la Russia con operazioni come quella espressa in Ucraina.

Ora che si sta formando un asse antagonista, gli Usa e più precisamente le multinazionali che ne dettano la politica, hanno preso in seria considerazione l’ipotesi di andare ad una resa dei conti con la Russia e la Cina, resa dei conti che non esclude l’opzione della guerra. Per questo non solo la Nato è mobilitata e si esercita avendo presente questo scenario, ma sono stati chiamati alle armi anche Media, Ong, Onlus, Fondazioni, Think Tank.

Stiamo camminando sull’orlo del burrone e bisogna tenere gli occhi bene aperti.

Trasmissione del 28/10/2015 "Fuori Usa-Nato dalla nostra terra"

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“I Nomi delle Cose” /Puntata del 28/10/2015

“Fuori Usa-Nato dalla nostra terra

Oggi, / il mio corpo tornato normale, / siedo e imparo / il mio corpo di donna / come il tuo / bersagliato per strada, / rubatomi a dodici anni / come il petrolio venezuelano / con la stessa spiegazione. / Sei ignorante / ti insegno io / poi ridatomi indietro goccia a goccia… / Guardo una donna osare / oso guardare una donna / osiamo alzare la voce / rompere le bottiglie / imparare…  (Jean Tepperman)

 “La Sicilia non è zona di guerra/Via le basi Usa-Nato dalla nostra terra!/ Il 31 ottobre a Marsala/“A FORAS SA NATO DAE SA SARDIGNA E DAE SU MUNDU!!”/manifestazione al poligono di Capo Teulada 3 novembre/DESMONAUTICA/“Azienda insanitaia locale”                                                          Immagine rimossa.

 
 

Trasmissione del 21/10/2015 " Danzare su una polveriera"

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“I Nomi delle Cose” /Puntata del 21/10/2015

“Danzare suna polveriera”

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/10/25/podcast-della-trasmissione-del-21102015/

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“In quanto mestiza, non ho paese, la mia patria mi ha esclusa; eppure tutti i paesi mi appartengono, perché di ogni donna sono la sorella o l’amante potenziale (in quanto lesbica non ho razza, il mio stesso popolo non mi riconosce; ma sono tutte le razze, perché in ogni razza c’è il diverso in me). Sono senza cultura perché, in quanto femminista, sfido le credenze collettive cultural/religiose di orginine maschile tanto degli indo-ispanici quanto degli anglos; eppure sono piena di cultura perché partecipo alla creazione di una cultura ulteriore, di una nuova storia del mondo e della nostra presenza in esso, di un nuovo sistema di valori le cui immagini e simboli ci connettono le une alle altre ed al pianeta. Soy un amasamiento, sono l’atto di impastare, di unire e di mettere insieme, da cui ha preso forma una creatura che appartiene sia al buio, sia alla luce, ma anche una creatura che mette in discussione la definizione di luce e di buio e ne cambia il significato.”

 La conciencia de la mestiza – Gloria Anzaldua

Petronilla e la finanza/Corpo di Stato/Appello per una partecipazione femminista e lesbica, gay, trans, queer alle iniziative antimilitariste contro la Trident Juncture/Danzare su una polveriera”

Trasmissione del 14/10/2015 "Nessuna pace per chi vive di guerra"

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“I Nomi delle Cose” /Puntata del 14/10/2015

“Nessuna pace per chi vive di guerra

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“Entriamo, Usciamo, Saliamo, Scendiamo, Tagliamo,
Ogni volta che vogliamo. Sappiatelo/TRIDENT JUNCTURE in studio con noi e in collegamento dalla Sardegna, le compagne della Rete “Nobasi nè qui nè altrove”/ Detenzione amministrativa/Campeggio antimilitarista/Imperialismo e  patriarcato”

http://coordinamenta.noblogs.org/post/2015/10/16/podcast-della-trasmissione-del-14102015/

 

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La Parentesi del 14/10/2015 "Detenzione amministrativa"

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La Parentesi di Elisabetta del 14/10/2015

“Detenzione amministrativa”

Immagine rimossa.

La settimana scorsa ci sono state diverse iniziative a sostegno dei prigionieri/e politici palestinesi in sciopero della fame, incarcerati dal governo israeliano con lo strumento della detenzione amministrativa, la pratica “legale” per la quale un/una palestinese diventa prigioniero/a senza accuse né processo, una pratica rinnovabile di 6 mesi in 6 mesi. Sono oltre 350 i prigionieri/e in questa situazione e vengono presi di mira dagli arresti e “condannati” alla detenzione amministrativa in special modo i rappresentanti politici maggiormente esposti, come Khalida Jarrar, prelevata dalla sua abitazione in piena notte da reparti israeliani ad aprile perché rappresenterebbe “una minaccia per la sicurezza”.
Il principio della detenzione amministrativa è un concetto che nasce in Germania alla fine degli anni ’30 e rappresenta uno strappo importante al diritto così come noi lo conosciamo.
Nel diritto borghese una persona può essere condannata solo e soltanto per il reato che ha commesso e quando questo è stato dimostrato.
La detenzione amministrativa prevede, invece, che una persona sia sanzionata e internata non per quello che ha fatto, ma per quello che è, per una condizione, un’etnia, un credo politico o religioso, una situazione familiare o sociale… E’ il trascinamento dallo Stato di diritto allo Stato etico ed è un principio nazista.
Lo Stato si arroga il giudizio sul comportamento e non sugli atti, sull’essenza del pensiero e sulle modalità di vita e non sul reato. Ragione per cui non è necessario un giudice a decretare la detenzione amministrativa, ma è un provvedimento messo in atto direttamente dagli organi repressivi e di controllo nelle accezioni più svariate.
Nella Germania degli anni’30 nel campo di internamento di Ravensbruck, campo per sole donne e giovani ragazze, venivano internate tutte quelle che non erano gradite al sistema, quelle che erano madri, sorelle, parenti di antinazisti in senso lato, ma, la maggior parte veniva internata su indicazione dei servizi sociali e con delle motivazioni assai vaghe di “asozialen”.
E’ chiaro che la detenzione amministrativa è un grande strumento di controllo sociale, non solo perché interna tutte quelle e tutti quelli non graditi al potere, ma perché spinge anche i cittadini/e a diventare delatori/delatrici, controllori e controllore di se stessi e degli altri e a usare lo strumento della denuncia anonima.
Anche qui da noi c’è la detenzione amministrativa, ci sono i CIE, i centri di identificazione ed espulsione, veri e propri campi di internamento in cui vengono rinchiusi soggetti che non hanno commesso reati, ma che sono ritenuti irregolari. Ora tocca alle migranti ed ai migranti senza permesso di soggiorno o ai così detti “clandestini”, ma il principio può essere esteso a chiunque non sia gradito al sistema,
Sono stati istituiti dalla legge Turco-Napolitano nel 1998 e questo la dice lunga sull’area politica che è portatrice in questa società dei principi ideologici nazisti. Perché se i principi nazisti informano una società non dipende da quanto i simboli storicamente riconoscibili siano pubblici ed evidenti, ma da quanto un’ ideologia pervade la struttura e la modalità a cui si informano lo Stato, le leggi e il metabolismo sociale che ne deriva.
Il riformismo neoliberista, PD in testa, è il portatore dei principi di nazista memoria perché tende all’instaurazione di un governo diretto del potere economico eliminando la mediazione politica e ha la pretesa di normare ogni aspetto della nostra vita. Infatti, corollario della detenzione amministrativa sono le sanzioni amministrative relative al così detto ordine pubblico che vengono comminate direttamente dagli istituti di controllo poliziesco e sono state veicolate e fatte accettare usando situazioni e accadimenti a cui l’opinione pubblica è particolarmente sensibile. Una per tutte è il Daspo che prevede il divieto per i tifosi a cui viene applicato di accedere agli stadi e l’obbligo di firma durante le partite. E la tendenza è a trasferire questo tipo di modalità alla società tutta e soprattutto a chi manifesta dissenso etichettato subito come soggetto socialmente pericolo.
Quando si parla di solidarietà internazionalista mettiamo spesso l’accento sull’appoggio che diamo alle lotte che attuano percorsi di libertà e di liberazione in altri paesi ed è giusto che questa solidarietà venga messa in atto, ma l’aspetto più importante dovrebbe essere quello di riportare le lotte ad unità e a sintesi.
Quando manifestiamo solidarietà ai prigionieri politici palestinesi in detenzione amministrativa, in effetti, lottiamo per noi stesse e per noi stessi e quando ci battiamo per l’abolizione delle sanzioni amministrative e per la chiusura dei Cie a casa nostra, lottiamo anche per loro.

 

Trasmissione del 7/10/2015 "Lo stato dei movimenti, compreso quello femminista"

Data di trasmissione
Durata

Questa è la prima trasmissione dell’anno politico 2015/2016, Buon ascolto!

“I Nomi delle Cose” /Puntata del 7/10/2015

Lo stato dei movimenti, compreso quello femminista

“Era una notte di lupi feroci, l’abbiamo riempita di suoni e di voci”

“Dedicata a Lucia Ottobrini/la trasmissione del nuovo anno politico: cosa resta e cosa cambia/Desmonautica/Mai contro sole/Lo stato dei movimenti”

Immagine rimossa.

 

La rubrica di Denys, all’interno della nostra trasmissione cambia nome ma non solo e da “Quell* che non hanno il genere, ma hanno la classe” diventa “Desmonautica” e Denys ci spiega perché:

“Desmos: legame e vincolo per definizione, ma anche rapporto e relazione,
interconnessione. Legamento nei libri di medicina, controllo in quelli
di meccanica, desmologico è lo studio dei legami chimici molecolari e
atomici. Desmonautica è quaderno di appunti e diario di un viaggio nei
tendini della società, e alle sue desmopatie.

Il desmonauta che lo narra ha smesso di non avere il genere ma avere la
classe. Per meglio dire, la classe ce l’ha ancora. Il genere pure, work
in progress. Tutto sta mutando e lui non facendo eccezione si è avviato
verso nuovi sviluppi, nuovi orizzonti, una nuova storia, sua e delle sue
idee, ed è ora convinto e intenzionato più che mai ad indossare tuta
antigravitazionale, solidi scarponcini e un paio di acuti occhiali
materialisti per guardare, sviscerare, analizzare spazi e tempi. Gli
spazi sono quelli del sapere, dell’agire, del divenire e
dell’attraversare, con i soggetti e le contraddizioni che contengono. I
tempi sono quelli che corrono, e qualche volta fanno un salto in avanti.

Ogni ultimo mercoledì del mese chiama le cose col loro nome con
interventi spurii tanto quanto le sue presenze nella sua rubrica, che
rimane dov’è: ogni ultimo mercoledì del mese, solito orario, sulla
frequenza 87.9FM di Radio Ondarossa.”