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razzismo

Raid dell' ICE e la battaglia nelle strade di Los Angeles

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In quest’ultima settimana abbiamo assistito ad una vera e propria escalation nel modo in cui la Casa Bianca sta portando avanti le sue politiche anti-migratorie. Nei primi mesi della nuova presidenza Trump, l’ICE operava in segreto, in piccoli gruppi in borghese. Nei mesi passati, per esempio, sui social media sono stati postati alcuni video che mostravano veri e propri rapimenti di alcuni studenti stranieri protagonisti delle proteste in supporto alla Palestina avvenute nei campus universitari lo scorso anno. Ora Trump ha invece chiesto di aumentare il numero di arresti quotidiani (si parla di una quota di almeno 3 mila arresti al giorno), costringendo ICE a cambiare tattiche. Ed è per questo motivo che la scorsa settimana a Los Angeles, e’ arrivata in forze, prendendo di mira cantieri, fabbriche, ristoranti ed alberghi.
La decisione di partire dalla città di Los Angeles non e’ casuale. Prima di tutto, quasi il 50% della popolazione nella città californiana e’ di origine centro o sudamericana, per non parlare delle varie comunita’ di origine asiatiche. Secondo, la California e’ da sempre l’emblema di quell’America che il movimento MAGA (Make America Great Again) detesta. Uno stato ricco (la quarta economia mondiale, dietro solo a Stati Uniti, Cina e Germania), ma ‘woke.’ Considerata la mecca del movimento LGBTQ+, lo stato della California e’ dal 2018 anche un Sanctuary State. Cio’ significa che ci sono delle leggi che limitano in modi in cui le varie polizie locali possono collaborare con gli enti federali adibiti al controllo dell’immigrazione (su questo ci torneremo). 

I raid dell’ICE hanno però scatenato una forte resistenza che venerdì e’ durata piu’ di otto ore. I manifestanti sono riusciti a rallentare le operazioni delle forze federali, facilitando la fuga di numerosi lavoratori e lavoratrici privi dei permessi di soggiorno. Nonostante la resistenza, l’ICE ha arrestato quasi 200 persone ed alcune di loro sono state espulse in meno di 24 ore, rendendo impossibile qualsiasi supporto legale. Una tattica questa, usata da Trump sin dal primo giorno del suo mandato.

In risposta agli scontri di venerdì, la Casa Bianca ha deciso di inviare la guardia nazionale, nonostante il governatore della California non ne avesse fatto richiesta, ed alcune unità dei Marines. Questa decisione deve essere letta come un ennesimo tentativo di Trump di testare la costituzione americana. Infatti bisogna tornare agli anni del movimento per i diritti civili, per trovare un’altra situazione in cui la Guardia Nazionale fu mandata a riportare l’ordine in uno stato senza aspettare il benestare del governatore. Ironicamente, in quel caso era stato un presidente democratico a richiederne l’intervento per costringere alcuni stati del sud ad accettare l’integrazione razziale nelle loro scuole. 

Il presidente puo’ invocare l’intervento della guardia nazionale e delle forze militari solamente in un ristretto numero di casi in cui e’ praticamente impossibile ripristinare l’ordine o in cui una vera e propria insurrezione armata stia minacciando lo stato. Gli scontri di venerdì non soddisfavano nessuna delle due condizioni. 

Ma l’idea di usare l’esercito per reprimere qualsiasi forma di protesta e’ un desiderio che Trump nutre sin dal suo primo mandato, quando nel 2020 si trovò a dover affrontare un’ondata di proteste nate in seguito all’uccisione di George Floyd da parte della polizia. E cosi’ la sua amministrazione e’ tornata alla Casa Bianca pronta a portare avanti una nuova interpretazione dell’Insurrection Act, la legge approvata nel 1807 che appunto riconosce il diritto del Presidente degli Stati Uniti di richiedere l’intervento militare per ripristinare l’ordine pubblico. A questo si deve aggiungere il desiderio di usare la stessa legge anche per richiedere l’intervento militare per mettere in pratica le sue politiche anti-migratorie.

Ecco che allora la vera e propria invasione della città californiana da parte dell’ICE acquista più senso. Trump infatti vuole usare questa crisi per testare la nuova interpretazione dell’Insurrection Act e dare così una parvenza di legalità al suo tentativo di trasformare gli Stati Uniti in uno stato autoritario. 

Personalmente penso che le tempistiche di quest’azione possano essere spiegate anche con il fatto che Trump avesse organizzato una parata militare per il weekend successivo per festeggiare non solo i 250 anni delle forze militari statunitensi, ma anche il 79esimo compleanno del Presidente. Non e’ difficile immaginare che Trump sognasse di celebrare anche una violenta repressione di un movimento sceso in piazza per difendere una delle comunita’ piu’ vulnerabili della societa’ americana. Invece, sabato scorso più di 5 milioni di americani e americane sono scese in piazza per protestare contro la sua svolta autoritaria, mentre solamente poche migliaia di persone si sono recate a Washington per assistere ad un inutile parata militare.

Prima di chiudere questo intervento vorrei fare solo alcune riflessioni conclusive. La prima riguarda il modo in cui la città di Los Angeles e’ scesa in piazza venerdì contro l’ICE. Come ho ripetuto più volte in passato, il movimento americano in questi ultimi dieci-quindici anni ha saputo creare delle infrastrutture capaci resistere attacchi anche pesanti da parte dello stato. A questo bisogna aggiungere che, diversamente da quello successo in altre parti, il movimento statunitense e’ anche riuscito a superare la crisi politica post-COVID. Gli scontri di venerdì, e i 5 milioni di persone scese in piazza sabato scorso, mostrano come negli Stati Uniti ci sia ancora la forza di organizzare dal basso, una cosa rara di questi tempi.

 

La seconda riflessione riguarda il partito Democratico. Se si guardano le immagini degli scontri avvenuti venerdi’, si notera’ che i gas lacrimogeni ed i proiettili di gomma non sono stati sparati dall’ICE, bensì dalla polizia locale. Nonostante la Californai sia un “Sanctuary State,” la polizia di Los Angelese si e’ schierata apertamente con l’ICE.

Ecco, la svolta autoritaria di Trump e’ resa possibile dalle politiche repressive che le varie giunte hanno imposto negli ultimi vent’anni in tutte le città governate dal partito democratico. Abbiamo detto più volte di come quasi la metà del budget di grandi e piccole città americane venga dato ai vari dipartimenti di polizia. L’incapacita’ del partito di trovare soluzioni alternative ai problemi politici e sociali che affliggono le citta’ americane, sta permettendo a Trump di centralizzare il suo potere facendo leva proprio su quelle forze dell’ordine il cui potere politico ed economico e’ stato incrementato a dismisura proprio dalle giunte democratiche. 

 

La sfida dei prossimi mesi e forse anni, sara’ allora anche quella di non dimenticare le responsibilita’ dei democratici, la loro ottusita’ nel continuare a negare la natura autoritaria del progetto politico dei Repubblicani. Come già successo in questi giorni, alcuni esponenti del partito andranno in TV presentandosi come i baluardi della democrazia, quando in realta’ e’ solo campagna elettorale in vista delle elezioni presidenziali del 2028. Nei prossimi mesi e anni, il movimento americano ha quindi l’opportunita’ di approfittare di questa crisi politica per presentare un vero modello alternativo e cercare di rifondare veramente questo paese. 

L’ultima riflessione riguarda la violenza politica negli Stati Uniti. E’ inutile sottolineare come l’operato dell’ICE e della polizia debba essere considerata violenza politica, ma in questi ultimi giorni giorni di sono stati altri episodi di violenza che sottolineano come il clima stia cambiando. Nella notte tra venerdì e sabato, due importanti esponenti del partito democratico nello stato del Minnesota sono stati uccisi da un uomo di destra. L’uomo non è stato ancora arrestato, ma nella sua macchina e’ stata trovata una lista con il nominativo di almeno altri 50 esponenti politici. Nella giornata di sabato almeno due uomini hanno attaccato due manifestazioni anti Trump investendo i manifestanti con le loro macchine. Questi episodi si devono leggere in un clima di crescente scontro politico alimentato dalla stessa Casa Bianca. Durante una conferenza stampa indetta  in seguito agli scontri di Los Angeles, la ministra del Dipartimento per la Sicurezza Interna (Department of Homeland Security) ha affermato che e’ arrivato il momento di eliminare tutti quegli esponenti politici socialisti che si oppongono all’agenda di Trump. Senza dimenticare l’amnistia che Trump diede il primo giorno del suo mandato a quasi tutte le persone arrestate in seguito all’attacco al congresso americano nel gennaio del 2020. Molti esponenti dell’estrema destra, appena usciti di prigione, dissero che era arrivato il momento di vendicarsi per il torto subito. 

Se e’ vero che in questi anni il movimento americano ha dimostrato di essere in grado di organizzarsi e difendersi da un certo tipo di violenza, il clima è sicuramente cambiato. La sfida politica e’ sicuramente enorme, ma per ora ci godiamo la vittoria ottenuta nelle strade di Los Angeles.


 

 

 

Decolonizziamoci!

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Quinta puntata del ciclo su woke e cancel culture "Non si può più dire niente"

Nella puntata di oggi parliamo di decolonialità e di come le retoriche su woke e cancel culture non siano altro che un ulteriore modo per preservare razzismo sistemico e suprematismo bianco.

Ne parliamo con: Rachele Borghi, professora di Geografia all’Università Sorbona di Parigi, geografa queer, pornosecchiona transfemminista e autrice del libro Decolonialità e privilegio. Pratiche femministe e critica al sistema-mondo (Meltemi, 2020); con un'esponente dell'associazione culturale e sportiva Questa è Roma e con Mary Valeriano, una delle mediatrici del Progetto Amir di Firenze.

I testi citati durante la puntata sono: Maranza di tutto il mondo, unitevi! Per un'alleanza dei barbari nelle periferie di Houria Bouteldja (Derive e Approdi, 2024) e Il manuale della femminista guastafeste di Sara Ahmed (Fandango, 2024)

Le puntate precedenti le trovi ai seguenti link:

- Puntata introduttiva qui

- Seconda puntata: woke, cancel culture e genere qui

- Terza puntata: il "capitalismo woke" qui

- Quarta puntata: Esiste un'egemonia culturale woke? qui

Il gran finale del ciclo  sarà uno spazio a microfoni aperti in cui ci confronteremo con voi sui temi trattati nei redazionali e su come woke e cancel culture riguardino da vicino anche noi e le nostre collettività. L'appuntamento è per sabato 15 marzo h 11:00

Grande partecipazione della comunità maliana al corteo per Moussa

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Sabato 26 ottobre grande manifestazione a Verona Verità e giustizia per Moussa, il ragazzo maliano ucciso in stazione da un colpo di pistola della polfer: 5000 persone hanno attraversato la città passando davanti alle "centrali" del razzismo istituzionale, tribunale, vigili urbani, questura e raggiungendo la stazione.

Grande la presenza delle comunità africane, scarsa invece quella delle persone bianche.

Presidio contro il CPR di Ponte Galeria

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Corrispondenza telefonica per parlare del presidio contro il CPR di Ponte Galeria, tenuto la domenica 16 giugno e organizzato dall'Assemblea Solidarietà e Lotta , per denunciare le condizione di detenzione e la violazione ai diritti umani che soffrono le persone detenute in queste luoghi che rappresentano il razzismo istituzionalizzato.

Giorgio Marincola uno di noi

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Giorgio Marincola uno di noi: la lotta contro il fascismo e il razzismo continua.

Il centenario della nascita di Giorgio Marincola è un’occasione importante per affermare ancora una volta che il fascismo e il razzismo devono essere definitivamente cancellati dalla storia.La vita di Giorgio rappresenta in modo significativo la forza dell’antifascismo come strumento per combattere ogni forma di discriminazione e sfruttamento. Nato in Somalia nel 1923 da padre italiano e madre somala, successivamente partito per l’Italia, Giorgio inizia a respirare fin dagli anni della scuola un’aria diversa da quella del regime instaurato da Mussolini e dei Savoia, venendo a contatto nella città di Roma con figure destinate a diventare centrali nella Resistenza, come Pilo Albertelli, suo professore di liceo. Studente appassionato e curioso, ragazzo vivace e generoso, è impegnato già nell’autunno 1943 nella lotta partigiana. Combatte a Roma nelle file del Partito d’Azione, sostiene le formazioni partigiane nella zona del Viterbese, liberata la Capitale decide di continuare a combattere arruolandosi con gli Alleati per poter sconfiggere i fascisti e i nazisti ancora presenti nell’Italia settentrionale. Viene ucciso in una delle ultime stragi naziste, in Trentino, il 4 maggio 1945.

Marincola è stato un cittadino italiano di origine africana. La sua storia, le sue scelte, le sue battaglie rappresentano oggi un punto di riferimento imprescindibile per tutte e tutti coloro che ogni giorno si rifiutano di accettare di vivere in un mondo dove il patriarcato, la discriminazione razziale, lo sfruttamento, rimangono fondamenta sociali. L’Europa, il Mediterraneo e l’Italia sono attraversati ormai da tempo da conflitti che ne mettono in discussione i confini e le leggi autoritarie. Un fiume di persone che quotidianamente porta avanti una battaglia spesso silenziosa e poco visibile, in uno scenario dominato da sopraffazione e violenze.

Vogliamo per questo ricordare il pensiero e le azioni di Giorgio Marincola e il suo generoso contributo alla lotta di Liberazione, in relazione con tutte quelle resistenze piccole e grandi che oggi mettono in discussione questo ordine sociale. A partire dalle scuole, primo luogo in cui gli studenti ed in particolare quelli di seconda generazione si scontrano con un clima oppressivo, che premia ed alimenta la prevaricazione sull’altro. Una scuola che non è un ascensore sociale e che non permette una reale emancipazione, lasciando indietro minoranze e alimentando il concetto che esistano studenti, ed in futuro cittadini, di serie A e di serie B, una scuola che per questo diventa sempre più una gabbia.

Il modello scolastico specchio di una società basata sulle disuguaglianze, che convive con la responsabilità di vere e proprie condanne a morte per tutti gli immigrati che attraversano mari e territori ostili per raggiungere l’Europa. Vite che come cento anni fa vengono lasciate in bilico tra il disinteresse e l’odio, la strumentalizzazione politica e gli interessi affaristici. L’attuale governo Meloni, come i precedenti negli ultimi 30 anni, rafforza i dispositivi repressivi e liberticidi, rinchiude e respinge i corpi, senza affrontare la contraddizione della cittadinanza, la piaga del caporalato e dell’ipersfruttamento dai campi agricoli ai capannoni della logistica.

Nel nome di Giorgio Marincola ci muoveremo in corteo dalla sua casa romana, nel quartiere di Casal Bertone, dove verrà deposta una corona di fiori e rilanciata la campagna per intitolargli la futura fermata della Metro C, la metro dei nostri quartieri, che ora viene chiamata con il nome ‘Amba Aradam’, simbolo atroce dell’imperialismo tricolore.

Attraverseremo un territorio dove sono vive e attive le lotte, delle seconde generazioni e dei migranti, per la casa contro la rendita, per l’ambiente e contro la speculazione edilizia, per la salute e i diritti sociali. Un territorio antifascista che resiste, che si è sviluppato attorno a quella che per un periodo è stata la fabbrica più grande di Roma, la SNIA Viscosa.

Il 1923 è anche l’anno in cui la fabbrica inizia la produzione, il 5 settembre di cento anni fa si aprono per la prima volta i cancelli a migliaia di lavoratori, per la maggior parte donne e immigrati, manodopera a basso costo sfruttata dal capitalismo industriale di inizio secolo. Un opificio considerato fiore all’occhiello del regime fascista, ma che fu teatro di rivendicazioni, scioperi, cospirazione, sabotaggi, occupazioni. Un luogo oggi simbolo delle lotte ambientali, ora parzialmente parco riconosciuto come Monumento Naturale, ma dove continua la vertenza contro la cementificazione e per il completo esproprio. Il corteo raggiungerà il CSOA exSNnia, confluendo all’interno del programma di Eat Up!, che da anni racconta i conflitti nei territori attraverso il cibo di strada del mondo, per chiudere con una grande serata artistica.

Per discutere di questi temi, condividere il programma delle iniziative che ci accompagneranno all’anniversario del Centenario, aderire alla piattaforma e raccogliere idee e proposte per dare respiro a questo percorso, ci vediamo in assemblea cittadina mercoledì 13 settembre alle ore 17:30 presso i Magazzini Popolari di Casal Bertone in via Baldassarre Orero, 61.

L’antifascismo ha mille colori e il 23 settembre li porteremo tutti in piazza. Una giornata che ci vedrà connessi con l’assemblea nazionale di “Ci vuole un reddito” e il corteo promosso dal Movimento per l’abitare a Roma Sud, perché la lotta è una!

Promuovono e invitano alla partecipazione: Black Lives Matter Roma, CSOA Ex-Snia, Rete G2 – Seconde Generazioni, Melitea, gruppo anarchico Mikhail Bakunin – FAI Roma &Lazio, associazione culturale Somaliyey Toosa, collettivo studentesco del liceo classico Pilo Albertelli, Coordinamento ANPI V Municipio, ActionAid Italia, Collettivo “Razza Partigiana”, Dans la rue – Antifa vandal, Azione Antifascista Rome Est, CdQ Casal Bertone, Magazzini Popolari Casal Bertone, Palestra Popolare Casal Bertone.

Ne parliamo dai microfoni della Radio con una compagna ed un compagno di Black Lives Matter Roma.

 


 

Ventimiglia: manifestazione in memoria di Moussa Balde. Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale

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Moussa Balde muore nella notte tra il 22 e il 23 maggio 2021 in una cella dell’area d’isolamento, denominata Ospedaletto, del CPR di Torino. Il 9 maggio era stato pestato a Ventimiglia da tre italiani e dopo essere stato in ospedale venne richiuso nel centro di detenzione, ignorando le sue gravi condizioni fisiche e psicologiche.

Moussa, originario della Guinea, è stato detenuto in quanto persona non-europea e irregolare sul territorio, e per questo è morto nel chiuso di una cella. La morte di Moussa non è stata nè “fatalità” nè il frutto di una catena di inadempienze, ma la conseguenza del razzismo strutturale del sistema in cui viviamo.
A due anni di distanza la situazione a Ventimiglia è, per quanto insopportabile ammetterlo, peggiorata ulteriormente. Dopo quasi otto anni di chiusura della frontiera da parte del governo francese, che ha causato la morte diretta di almeno 42 persone e devastato la vita di altre migliaia, la violenza che subiscono le persone in transito continua ad aumentare. Solo negli ultimi due mesi è stata approvata un’ordinanza “antidegrado” che colpisce gli insediamenti informali e le persone che abitano questi luoghi, che va ad aggiungersi ad operazioni di polizia tanto scenografiche quanto violente per chi già è costretto a vivere in condizioni di estrema marginalità.

Nei primi mesi dell’anno sono più di quarantamila le persone che sono sbarcate sulle coste italiane, a dimostrare l’assoluta insostenibilità e insensatezza delle politiche di respingimento in mare volute dal governo Meloni. In questi ultimi giorni, con l’approvazione alla Camera, il cosiddetto Decreto Cutro è diventato legge e questo determinerà un ulteriore peggioramento nelle condizioni di vita e accesso ai diritti per richiedenti asilo e altra forma di protezione. Con la dichiarazione dello stato di emergenza, i finanziamenti contenuti nel PNRR e i nuovi dispositivi di questa legge infame che porta il nome di una strage, il governo Meloni e il suo ministro dell’interno Piantedosi puntano a creare un sistema detentivo di massa che calpesta le legittime aspirazioni di libertà delle persone migranti. Solo cosi’ puo’ essere interpretata la volontà di aprire un CPR in ogni regione e le trasformazioni in atto nel sistema di prima d’accoglienza.
In questo contesto lo stato francese continua a rinforzare il dispositivo di controllo e respingimento alla frontiera interna, riproducendo e dando forza alla violenza razzista e arbitraria delle forze di polizia francesi lungo tutta la linea di confine. A completare questo quadro ci sono poi gli accordi bilaterali che Italia e Francia continuano a siglare con i paesi sull’altra sponda del mediterraneo come Libia e Tunisia, rendendosi di fatto responsabili dell’aumento dei naufragi e dei respingimenti in mare ad opera di guardie costiere e border forces pagate con soldi europei.

Lo scenario per i prossimi mesi alla frontiera italofrancese, per quanto ancora pieno di incognite, non è quindi per nulla rassicurante e richiede l’attivazione di tutte le forze solidali. Non staremo a guardare il razzismo strutturale di questa europa distruggere vite umane senza far nulla! Per questo invitiamo collettivi, movimenti, organizzazioni e singol3 a scendere in piazza con noi per una manifestazione commemorativa, ma anche di rivendicazione, e che sia attraversabile da tutt3, con o senza documenti. Immaginiamo un momento che dia spazio a diverse prese di parola e invitiamo quindi tutt3 a portare le proprie testimonianze, denunce, pensieri e rivendicazioni riguardo cio’ che accade a Ventimiglia e altrove.

Per Moussa Balde e tutte le vittime della violenza razzista delle frontiere!
Per la libertà di movimento per tutt3!
Contro frontiere, razzismo e violenza istituzionale!
Per l’abolizione e la chiusura di tutti i CPR!

Ventimiglia, domenica 21 maggio 2023, concentramento ore 11 piazzale della stazione.

Ne parliamo con un compagno.