Ascolta lo streaming di Radio Onda Rossa !

lotte migranti

Fratelli della costa

Data di trasmissione
Durata 41m 2s

In collegamento telefonico con un compagno presentiamo la traduzione dal francese del libro “Fratelli della costa. Memoria in difesa dei pirati somali, braccati da tutte le potenze del mondo”. Il lavoro è di grosso stimolo non solo per il racconto delle vicende repressive contro della pirateria somala, ma perché le inserisce nell’analisi della costruzione di un apparato giuridico internazionale che potrebbe diventare un modello per le operazioni di gestione dei flussi migratori nel Mediterraneo. La flessibilità e la panoplia della legge si sperimenta in casi considerati limite come quello che emerge dal contesto marittimo in esame per poi rientrare nelle possibilità che ogni governance nazionale si dà contro chi considera “nemico” dell’ordine.

Qui il link per scaricare gratuitamente il libro:

https://macerie.org/wp-content/uploads/2020/06/Fratelli-della-costa.pdf

Lavoratori/trici delle campagne: anche a Saluzzo si segue il filo della lotta

Data di trasmissione
Durata 23m 15s
Durata 11m 46s

Da Sud a Nord Italia sono le lotte di chi lavora nelle campagne a raccontarci cosa sta accadendo nei luoghi della produzione agricola. Situazione da sempre invivibile che si è complicata con la pandemia del Covid-19.

Ci facciamo raccontare da una voce diretta la giornata di mobilitazione del 18 giugno a Saluzzo, in provincia di Cuneo.

Buon Ascolto!

Una sanatoria non fa primavera

Data di trasmissione
Durata 30m 13s

In collegamento telefonico con una compagna facciamo il punto sulla sanatoria per la regolarizzazione delle persone migranti.

Di seguito un contributo dal collettivo Campagne in Lotta: https://campagneinlotta.org/una-sanatoria-non-fa-primavera-non-e-con-un…

 

Una sanatoria non fa primavera: Non è con una regolarizzazione che si decide chi sta dalla parte giusta

Da qualche giorno circola una bozza del decreto che dovrebbe regolarizzare gli ‘immigrati extracomunitari’ in possesso di garanzie di ingaggio in agricoltura. Si parla di una ‘sanatoria’ in due tempi (i braccianti subito e tutti gli altri rimandati a settembre), ma guai a pronunciare la parola per non scatenare le ire di qualche bestia. Da quando Coldiretti e Confagricoltura hanno lanciato l’allarme sulla carenza di stagionali dovuta al lockdown, il dibattito è infuriato su media e social, dando vita a proposte improbabili, sostenute e poi bocciate da soggetti che non paiono conoscere il significato della parola ‘coerenza’ – come ad esempio la Ministra per l’Agricoltura, Teresa Bellanova, che inizialmente blandiva le associazioni di categoria aprendo al lavoro ‘volontario’ in campagna per i percettori di reddito di cittadinanza e cassa integrazione, o magari alla semplificazione dei voucher per mettere al lavoro anche studenti e pensionati, ebbene sì, signore e signori (reclutiamoli dalle case di riposo magari, così possono almeno morire all’aperto!). 

Ma è evidente che, a meno di non abolire il reato di riduzione in schiavitù (che comunque vale solo per qualcuno), di italiani da mandare a lavorare nei campi se ne troverebbero pochissimi, e così ecco farsi strada l’ipotesi della sanatoria. Figurarsi che addirittura i rumeni e gli altri cittadini europei ‘di serie b’ disertano il lavoro bracciantile in Italia! E non solo per il coronavirus. Sono almeno tre anni che le cifre ufficiali raccontano di una lenta ma inesorabile fuga di lavoratrici e lavoratori comunitari. Chiunque abbia una possibilità di scelta dai campi scappa a gambe levate e per ottime ragioni, di cui non ci sembra necessario dare conto. Ed è da un po’, almeno da un anno, che le associazioni di agricoltori spingono per avere ‘più immigrati’, anche per via del contenimento degli sbarchi successivo ai criminali accordi di Minniti con la Libia, e poi al blocco dei porti di salviniana memoria. Lo stesso Minniti oggi sostiene appunto la sanatoria, pardon, la regolarizzazione. C’è chi adduce motivazioni economiche, chi anche sanitarie, ma la sostanza non cambia: si parla di regolarizzare solo quando ai cittadini elettori si può raccontare che ci guadagnano anche loro – e non perché se ‘gli altri’ hanno più diritti anche quelli di chi li dà per scontati sono meglio garantiti, ché questo deve rimanere un segreto. Di questo avviso ‘utilitarista’ sembrano essere anche i sindacati, CGIL in testa, che ha avuto l’ardire di proporre i ‘permessi per calamità naturale’ previsti dal primo decreto Salvini – durata 6 mesi, non convertibili, insomma carta straccia, giusto il tempo di salvare i raccolti e poi torni irregolare ed espellibile. Ma le richieste di regolarizzazione si sono moltiplicate da più parti, con USB che propone due petizioni distinte, una per i braccianti e l’altra per le badanti, salvo poi per bocca di alcuni suoi dirigenti VIP dire che ‘bisogna regolarizzare tutti’, sempre per coerenza. E c’è chi dice sanatoria per tutt* e subito. Ma occorre fare forse qualche passo indietro. 

A dicembre 2019 e poi a febbraio 2020, la Ministra dell’Interno Luciana Lamorgese dichiarava al parlamento l’intenzione del governo di procedere ad una regolarizzazione di chi potesse dimostrare possibilità di impiego; insomma una sanatoria con tutti i crismi, come se ne fanno da trentacinque anni a questa parte in Italia. Se il governo si era finalmente deciso, dopo 8 anni in cui alle politiche che da sempre producono irregolari non sono stati affiancati canali per la regolarizzazione di alcun tipo (tranne quelli, sempre più stretti, della protezione internazionale), non era certo grazie a qualche petizione. Se le pressioni datoriali sono storia vecchia, le lotte di chi vive nei ghetti e nei campi di lavoro ed è costretto a lavorare in campagna lo sono ancora di più. Dopo Rosarno, dopo Nardò, non ci stancheremo mai di raccontarlo, sono seguiti anni di manifestazioni, presidi, blocchi, in Puglia e in Calabria ma anche a Roma. Allo stesso tempo, i sindacati e gran parte della società civile si dissociavano da queste lotte, le ignoravano o peggio le intralciavano attivamente, appropriandosi del loro potenziale e poi disattivandolo completamente per guadagnare facile popolarità. Salvo poi sgomitare oggi per provare ad accaparrarsi lo scettro della vittoria e rivendicare la regolarizzazione come un loro risultato. Dove eravate il 6 dicembre 2019 quando gli abitanti dei ghetti chiedevano documenti? In alcuni casi eravate di fronte alle telecamere, a dire che chi blocca il Porto di Gioia Tauro, esasperato da una vita ai limiti dell’immaginabile, è un criminale. A fare congetture sul fatto che ci fossero regie occulte e irresponsabili. Nella maggior parte dei casi, come sempre, semplicemente zitti. Zitti anche davanti alle botte, alla repressione, alla violenza e agli abusi quotidiani. Fino a quando non avete scorto, dio benedica le pandemie!, un comodo spiraglio, un’opportunità senza rischi. Chiedere una sanatoria ora non significa soltanto oscurare le lotte (e le fughe) che hanno portato fin qui, proprio come vogliono i padroni. Significa proprio consegnar loro le chiavi di tutto, e dire che sì, è giusto pensare a regolarizzare solo quando di mezzo c’è un rischio troppo grosso anche per ‘noi’, e per i nostri stomaci mediterranei.

Qualsiasi sia il risultato finale di questo osceno dibattito, siamo certe che ci sarà da lottare ancora. Con chi verrà truffato per avere un contratto, con chi si vedrà rifiutare la domanda di regolarizzazione, con chi proprio non potrà accedervi, con chi riperderà il sudato permesso, con chi dovrà comunque vivere in baracca, lavorare senza tutele per un salario sempre troppo basso, rischiare la vita per andare al lavoro. Sarà allora che, ancora una volta, sapremo chi sta dalla parte dei lavoratori e delle lavoratrici, degli irregolari, dei reclusi, di chi lotta.      

 

 

Immigrazione, sanatorie, regolarizzazioni, documenti... ripartiamo dalle lotte!

Data di trasmissione
Durata 35m 1s
Durata 10m 21s
Durata 12m 19s
Durata 10m 35s
Durata 16m 31s
Durata 8m 37s
Durata 7m 21s
Durata 8m 37s

La diffusione del virus e la sua gestione, sin da subito, hanno fatto emergere le numerose contraddizioni del sistema in cui viviamo e che abbiamo contribuito a creare, in cui la salute delle persone vale meno del profitto che possono produrre.
Una fra tutte riguarda l'accesso ai documenti per migliaia di persone immigrate che sono costrette a vivere senza alcun riconoscimento giuridico. Nelle ultime settimane infatti abbiamo assistito ad una lunga pletora di articoli e dichiarazioni, che hanno coinvolto diversi esponenti del governo, i sindacati e il mare magnum dell'associazionismo, ancora una volta uniti nel sostenere che bisogna regolarizzare le persone straniere perché servono! Ci si ricorda della necessità di una sanatoria nel momento in cui l’emergenza sanitaria mette alcuni settori dell'economia del paese in ginocchio e rischia di crollare il castello di carte costruito negli anni sullo sfruttamento e sul contenimento di lavoratori immigrati.
In campagna come in città, nei centri di accoglienza come in frontiera e nei CPR le persone immigrate hanno lottato, in diverse forme per la libertà di movimento, per poter accedere ai servizi e a un lavoro regolare.
Come procedono allora queste lotte nell'era del COVID? Come metterle in connessione? Quali scenari si aprono in questa fase di emergenza e come incidere su queste dinamiche?
Ne parliamo venerdì 24 aprile su Radio Onda Rossa, all'interno del programma Silenzio Assordante, alle 16:00, a partire dagli interventi e dalle esperienze di lotta di persone che vivono sulla propria pelle il problema dei documenti e si organizzano insieme per trovare una soluzione, in Italia e non solo, anche in questo periodo di isolamento forzato.

Continuano le proteste nella tendopoli di San Ferdinando

Data di trasmissione
Durata 20m 52s

In collegamento telefonico con un compagno che vive nella tendopoli di San Ferdinando, un aggiornamento su quanto sta avvenendo durante l'emergenza sanitaria del Covid-19.

Buon Ascolto

 

NELL’EMERGENZA PERENNE, A PASSO DI GAMBERO: LA SITUAZIONE NEI GHETTI DEL MADE IN ITALY AI TEMPI DEL COVID-19

Nei distretti agroindustriali del Made in Italy poco o nulla sembra essere cambiato da quando è stato dichiarato lo stato di emergenza. I lavoratori stranieri di queste enclavi, di fatto, nell’emergenza sono costretti da sempre. In Capitanata si aspetta l’inizio della raccolta degli asparagi, stipati in ghetti e campi di lavoro. Chi come l’USB lo scorso 25 marzo ha proclamato lo sciopero per questi lavoratori evidentemente non ha il polso del calendario agricolo. La Prefettura di Foggia sembra avere finalmente desistito dai suoi folli e criminali intenti di sgombero degli ‘abusivi’ nel CARA di Borgo Mezzanone, che avevano dato luogo ad una grande protesta spontanea. A Casa Sankara, nel comune di San Severo, si riempiono i container, inaugurati in pompa magna ad agosto e finora privi di allaccio elettrico, trasferendo chi viveva nella tendopoli-ghetto creata dai gestori della struttura con il placet della Regione. Gestori che, in piena pandemia, continuano ad insistere sullo sgombero della palazzina dell’Arena, dove vivono altre decine di lavoratori. Anche nel Gran Ghetto si riempiono, previo pagamento di 60 euro di ‘tessera’ all’USB, i container installati dopo l’ultimo incendio. A Foggia, gli abitanti del quartiere ferrovia continuano a lamentarsi degli ‘assembramenti’ di immigrati, che però non possono fare a meno di andare in città a fare la spesa – anche qui, nulla di nuovo. Nella Piana di Gioia Tauro la stagione degli agrumi è ormai terminata, ma chi ci ha lavorato non si può spostare altrove per la nuova stagione e rimane così senza reddito. Chi lavora nelle serre, da nord a sud, invece è esposto senza sosta a rischi di vario genere. Non solo non esistono protezioni sul lavoro, un lavoro sempre più indispensabile e al contempo del tutto martoriato e iper-sfruttato, ma per questa mancanza di tutele a pagare sono, ancora una volta, i lavoratori, e non soltanto in termini di salute e salario. È del 19 marzo scorso la notizia che 25 braccianti di origine bengalese, stipati in tre furgoncini fermati dalle forze dell’ordine di Terracina, sono stati denunciati perché non rispettavano le misure di distanziamento. Nessuno sembra essersi indignato per il trattamento riservato a chi notoriamente è costretto a subire i ricatti di intermediari e padroni per poter sopravvivere, e di certo non può scegliere se e come lavorare. Tra l’altro, proprio nell’Agro Pontino, a Fondi, è scoppiato un focolaio, e nonostante la cittadina sia stata dichiarata zona rossa il mercato ortofrutticolo, tra i più grandi d’Italia, continua a lavorare a pieno ritmo. Ovviamente, la maggior parte dei braccianti stranieri sarà esclusa dal bonus governativo di 600 euro previsto dal decreto Cura Italia, che richiede un minimo di 51 giornate in busta paga, una chimera per molti. Contemporaneamente, giornalisti pennivendoli di presunte autorevoli testate come la Repubblica del 27 marzo riprendono, accreditandole, aberranti opinioni secondo le quali ‘gli extracomunitari non si ammalano di COVID19’ – le ‘etnie’, si teorizza, forse rispondono in modo diverso al virus. Nessuno avanza l’ipotesi che forse le categorie meno tutelate sono anche quelle con minore accesso alle cure…? Ma allora perché non farla finita con le ipocrisie, chiamiamole ‘razze’ e riprendiamo le teorie che hanno sostenuto per centinaia di anni l’estrazione brutale di lavoro nelle piantagioni di mezzo mondo. Gli africani, si sa, sono più resistenti.

D’altra parte, si moltiplicano i proclami dell’associazionismo, dei sindacati e delle istituzioni, che sembrano finalmente accorgersi dell’esistenza di un esercito di lavoratori e lavoratrici in condizioni abitative drammatiche, spesso senza acqua corrente né la possibilità di mantenere minimi standard igienici o di contenimento, i quali peraltro non sono stati adeguatamente comunicati. Addirittura, senatori e ministri parlano apertamente di regolarizzazione, forse perché l’emorragia di braccia stagionali dall’Est Europa rende urgente trovare altre soluzioni. Molti lavoratori e lavoratrici giustamente si rifiutano di rischiare una volta di più la vita, la prigione e il confinamento per un lavoro sottopagato. Per ora, di certo c’è soltanto la proroga dei permessi di soggiorno scaduti o in scadenza fino al 15 giugno, ben poca cosa rispetto alle reali esigenze. Certo, oltre ai soliti africani ipersfruttati si affaccia anche l’ipotesi, sostenuta dalla ministra Bellanova in persona, di ‘volontari’ tra chi percepisce il reddito di cittadinanza da impiegare nelle campagne (Coldiretti, ricordiamolo, aveva dal canto suo proposto di arruolare pensionati e studenti allentando i vincoli sull’uso dei voucher). La CGIL, sempre prodiga di idee d’avanguardia, per svuotare i ghetti propone di trasferire i loro abitanti in caserme dismesse, che incomprensibilmente vengono ritenute più sicure. A Rosarno continuano a languire, disabitate, le palazzine di contrada Serricella destinate ai braccianti stranieri (ed ora anche a italiani con problemi abitativi, dopo lunghe polemiche), mentre si annuncia lo stanziamento da parte della Regione Calabria di 2 milioni di euro per una non meglio specificata ‘assistenza ai migranti di San Ferdinando e Sibari’. La tendopoli ad alta sicurezza è stata ‘sanificata’, e all’esterno è stata adibita una tenda per le quarantene, mentre alle decine di persone che vivono nei casolari abbandonati di Russo, a qualche chilometro di distanza, si minaccia di togliere anche l’unico pozzo disponibile per l’approvvigionamento d’acqua. Infine, a Saluzzo la Caritas e il comune, in largo anticipo sull’inizio della stagione, già mettono le mani avanti ventilando l’ipotesi di non riaprire il PAS – una ex caserma, tanto per cambiare, che negli ultimi due anni ha fornito servizio di dormitorio per alcune delle centinaia di braccianti che ogni anno si accampano nella cittadina piemontese per la raccolta della frutta.

Insomma, si procede a passo di gambero. Dal canto nostro, oltre a ribadire quel che andiamo dicendo da anni, e cioè che l’unica soluzione sono documenti, case, contratti e trasporti per tutte e tutti, ci auguriamo che questo rinnovato interesse verso le condizioni di lavoratrici e lavoratori delle campagne porti ad un sostegno più ampio alle loro richieste di quanto sia stato finora. Quando l’emergenza tornerà ad essere appannaggio esclusivo delle categorie più marginali, toccherà ricordare a tutte e tutti che chi sta alla base delle filiere agroalimentari non può essere lasciato indietro, e che le loro legittime lotte e la solidarietà che le accompagna non possono essere criminalizzate.

 

https://campagneinlotta.org/nellemergenza-perenne-a-passo-di-gambero-la-situazione-nei-ghetti-del-made-in-italy-ai-tempi-del-covid-19/

I campi di lavoro del sud Italia ai tempi del coronavirus

Data di trasmissione
Durata 18m
Durata 16m 31s

In collegamento telefonico con un compagno e una compagna ci facciamo raccontare cosa sta avvenendo nella tendopoli di San Ferdinando in Calabria e nelle campagne foggiane, a che punto sono le lotte di chi lavora in queste zone e le difficoltà che stanno affrontando. 

Buon Ascolto!

Case, documenti e contratti di lavoro: la lotta delle persone del CARA di Borgo Mezzanone a Foggia

Data di trasmissione
Durata 20m 30s
Durata 9m 8s

Non ci fermano sgomberi né repressione! Case, documenti e contratti subito!

Oggi per le strade di Foggia ha avuto luogo un grande momento di lotta, che ha dimostrato a tutti, ancora una volta, con quanto coraggio e determinazione e i lavoratori e le lavoratrici delle campagne continuino a battersi per ottenere case normali, documenti, contratti di lavoro.
Le minacce e intimidazioni di ieri da parte delle forze di polizia nei confronti degli abitanti del CARA di Borgo Mezzanone, anziché intimorire chi vive lì, hanno dato vita ad una lungo pomeriggio di resistenza e all’organizzazione di una grande mobilitazione oggi: dalle 11 di questa mattina gli abitanti del CARA e della pista adiacente hanno tenuto un presidio davanti alla prefettura di Foggia, determinato e rumoroso, che ha urlato a gran voce la volontà di porre fine a qualsiasi forma di sgombero, e per chiedere ancora una volta permessi di soggiorno per tutti: la legge stesse infatti rende irregolari le persone costringendole all’impossibilità di accedere ad un affitto di casa o ad un contratto regolare di lavoro.
Una delegazione è stata ricevuta dal prefetto, che ha ribadito l’ impossibilità di impedire l’esecuzione dello sgombero, trattandosi un ordine che arriva dal governo. La settimana prossima quindi torneranno a sgomberare il CARA, offrendo come unica alternativa per chi ha il documento il trasferimento in non ben identificati centri di accoglienza (non si sa se della zona o sparsi nel territorio nazionale) e lasciando ovviamente per strada chi si trova ad essere irregolare. Il prefetto dichiara inoltre che in 5 mesi il governo darà il via ad una sanatoria che permetterà di ottenere permessi di soggiorno e sbloccare situazioni di stallo presso le questure: notizia da verificare ma che sarebbe il risultato certamente anche di anni di lotte e pressioni affinché tutti possano essere regolarizzati.
Ormai da un anno si susseguono sulla pista adiacente al CARA operazioni di sgombero di alcune aree, a volte anche molto estese, alle quali gli abitanti già in passato, come a luglio 2019, hanno risposto con una forte resistenza: operazioni fortemente volute dal governo Salvini ma che l’attuale governo prosegue volentieri con solerzia. L’accelerata sullo sgombero del CARA ha sicuramente a che vedere con l’arrivo dei finanziamenti per il Contratto Istituzionale di Sviluppo di capitanata, piano di finanziamenti straordinari destinati al “ rilancio e allo sviluppo della Capitanata”, di cui è responsabile l’amministrazione provinciale. E’ stato sottoscritto infatti il 19 febbraio l’atto che regolamenta le modalità di trasferimento e di gestione delle risorse finanziarie per gli interventi contemplati dal CIS Capitanata, tra cui vengono citati la “bonifica e valorizzazione del campo di Borgo Mezzanone, per un importo di 3.446.000 euro (https://www.immediato.net/…/partono-i-cantieri-del-cis-cap…/). Come un copione che si ripete in tante diverse zone di questo paese, valorizzare un territorio e favorirne lo sviluppo fa il pari con politiche di “pulizia” sociale ed etnica: i poveri, peggio ancora se neri, che vivono nelle baracche e sono spesso descritti, dalle istituzioni razziste e dai media a queste asserviti, fonte di “degrado”, devono essere assolutamente rimossi da quel luogo.
Questione ancor più grave se si pensa al momento di emergenza i cui ci troviamo: il governo, mentre attua misure da quarantena collettiva, ritiene che chi vive nei ghetti non solo non debba essere tutelato, ma possa essere esposto con violenza ed in maniera studiata ad una situazione di estrema vulnerabilità e precarietà, come quella di rimanere senza una casa. Questa situazione esporrebbe certamente tutta la popolazione del luogo al pericolo sanitario in corso: dovremmo esplodere di rabbia contro queste decisioni scellerate delle istituzioni, italiani e immigrati insieme, visto che è chiara la colpa di chi sta mettendo a repentaglio la salute di tutti!
Saremo come sempre al fianco di questi lavoratori e lavoratrici che da anni lottano e resistono. Non ci lasceremo intimorire né dai tentativi di sgombero né dalla repressione che ci vuole impedire di dare solidarietà, di stringerci, di continuare a lottare.
L’IMMIGRAZIONE NON E’UN CRIMINE! LA SOLIDARIETA’ NON E’ UN REATO!
CASE, DOCUMENTI E CONTRATTI PER TUTTI, SUBITO!