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Truppe israeliane occupano parti di Gaza. Migliaia di gazawi a sud

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Michele Giorgio, responsabile di Pagine esteri e corrispondente storico del Manifesto dalla Palestina, ci aggiorna intorno alle 10.30 su quanto è possibile sapere della notte a Gaza visto che, come noto, ieri sera intensificando i bombardamenti, ha tagliato le linee telefoniche e quello che rimaneva di internet.

Michele Giorgio informa che oltre ai bombardamenti intensissimi che a tutt'ora non sappiamo quante vite sono costate, migliaia di soldati israeliani sono entrati a Gaza, truppe israeliane pare occupino al momento porzioni di Gaza e, confermato da Hamas, nella notte di ieri ci sono stati combattimenti tra organizzazioni palestinesi e truppe israeliane.

E' inoltre noto che migliaia di palestinesi nella notte di ieri sono fuggite dal nord al sud della striscia dove comunque non si sono mai interrotti i bombardamenti e le persone vivono ammassate in condizioni drammatiche.

Aggiornamenti anche sulla situazione a Gerusalemme e in Cisgiordania

Meri Calvelli, cooperante, nel secondo audio realizzato in tarda mattinata ci dà aggiornamenti sulle rare informazioni che cominciano a filtrare dalla striscia ancora sotto il black out

In USA la più grande manifestazione antisionista di Jewish Voices for Peace

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Alla prima bomba caduta su Gaza, il movimento pro-Palestina ha invaso immediatamente le strade e piazze delle maggiori città Americane - New York, Chicago, San Francisco, Los Angeles - per chiedere a gran voce al governo americano e alla presidenza Biden di non essere piu’ complice di una guerra che ha sempre piu’ il sapore di un vero e proprio genocidio. 

Ogni anno gli Stati Uniti forniscono ad Israele aiuti militari per un valore di quasi 4 miliardi di dollari. A questi se ne devono aggiungere altri 14 promessi proprio ieri da Biden in un discorso trasmesso a reti unificate, al ritorno da un viaggio lampo proprio in Israele. Cifre spaventose, che sembrano confermare la storica parzialita’ con cui gli Stati Uniti hanno da sempre affrontato la questione palestinese.  

Eppure in queste settimane qualcosa sembra essere cambiato, almeno nella societa’ americana e sicuramente nella comunità ebraica. In particolare nell’ultima settimana, le due piu’ importanti organizzazioni ebraiche con orientamento anti-sionista sono state protagoniste di importanti azioni di protesta in supporto della popolazione di Gaza.

Fondata nel 1996, Jewish Voices for Peace e’ la piu’ grande organizzazione ebraica anti-sionista and insieme a If not Now (un’altra organizzzazione ebraica anti-sionista) hanno organizzato due giorni fa la piu’ imponente azione di attiviste e attivisti ebrei in supporto dei Palestinesi nella storia degli Stati Uniti. Prima hanno circondato la Casa Bianca, poi hanno occupato l’atrio del Congresso Americano mentre alcune delegazioni hanno incontrato alcuni parlamentari per chiedere un immediato cessate il fuoco. Mai si era vista una tale mobilitazione della comunita’ ebraica in supporto del popolo palestinese. 

Ancora prima delle recenti azioni, Jewish Voices for Peace si era già impegnata in importanti campagne che avevano l’obiettivo di mettere in discussione i legami politici/economici esistenti tra gli Stati Uniti e Israele. Per esempio negli scorsi mesi, l’organizzazione aveva portato avanti la campagna No Tech for Apartheid chiedendo l’immediata interruzione del Progetto Nimbus. 

Il progetto consiste in un contratto di quasi un miliardo di dollari che lo Stato di Israele ha firmato con Google e Amazon per lo sviluppo di tecnologie che verranno usate per sorvegliare e opprimere il popolo Palestinese. La campagna aveva due obiettivi. Il primo era quello di contattare i maggiori azionisti di queste due compagnie e convicerli a presentare una risoluzione in cui si condannava l’apartheid israeliano. Il secondo obiettivo era quello di aiutare lavoratrici e lavoratori dei due giganti tech ad organizzare una giornata di azioni per protestare contro il contratto. Il risultato e’ stato una serie di azioni distribuite in 4 citta’ americane che hanno coinvolto più di mille tra lavoratrici e lavoratori.

Jewish Voices for Peace ha avuto anche un ruolo fondamentale nel sottolineare il legame tra le varie polizie americane e le forze militari israeliane. L’organizzazione ha infatti portato avanti un’ imponente campagna contro il programma di addestramento tra le forze di polizia statunitensi e quelle israeliane. Le loro azioni miravano ad evidenziare il legame tra il tipo di addestramento che la polizia statunitense riceveva dai colleghi israeliani e la crescente militarizzazione e brutalità delle forze dell’ordine americane.

Quest’ ultima campagna e’ secondo me molto importante perché ci permette di capire come siamo arrivati a questo punto. Fino ad ora, gli organi di informazione e la politica istituzionale era sempre riuscita a presentare la comunita’ ebraica come monolitica nel suo supporto ad Israele. Questa volta invece assistiamo ad una spaccatura che rende molto difficile, soprattutto per il partito Democratico, utilizzare il lutto degli ebrei come giustificazione per il continuo aiuto militare e politico ad un regime che pratica un apartheid spietato nei confronti del popolo palestinese. 

Cominciamo col dire che storicamente una larga parte della comunità ebraica negli Stati Uniti ha sempre avuto un ruolo molto importante nei movimenti radicali dal basso. Questo e’ in parte dovuto alle migrazioni tra la fine dell'800 ed inizio ‘900 di molti ebrei - soprattutto dai paesi dell’Europa dell’Est- con forti simpatie socialiste, comuniste e anarchiche. Questa tradizione non si e’ mai pero’ tradotta in un’aperta critica alle politiche israeliane.

Negli ultimi 10 anni, però, il movimento dal basso americano si e’ contraddistindo per la sua capacita’ di creare coalizioni intorno a temi che hanno permesso di creare una piu’ larga piattaforma politica. Nel 2016, per esempio, i leader e membri di varie tribù di nativi americani hanno portato avanti una dura protesta contro la costruzione di un oleodotto che sarebbe dovuto passare all’interno della riserva Standing Rock. La protesta ricevette il supporto di molte realta’ antagoniste americane le quali riuscirono a mobilitare le persone mostrando come la lotta dei nativi americani contro l'oleodotto non era solamente una lotta ambientalista, ma anche una lotta anti-colonialista con le tribu’ dei nativi pronte a rivendicare il diritto di riprendersi e proteggere le loro terre. Anche la dura repressione che quel movimento subì fu usata dal movimento per collegare le proteste dei nativi americani con la ribellione che le comunita’ nere stavano portando avanti contro la brutalita’ poliziesca. Ecco che allora questi due movimenti, il movimento dei nativi americani e quello del Black Lives Matter si ritrovano insieme in una lotta che ha molti punti in comune.

 E’ a questo punto che il linguaggio usato per descrivere la violenza razzista della polizia si fonde con la retorica anti-colonialista dei nativi americani. A questo si deve aggiungere un terzo elemento rappresentato dal profondo lavoro che i gruppi anti-razzisti hanno fatto all’interno di molte comunita’ bianche (quello ebree incluse) per far capire che i bianchi avevano un importante ruolo in questo progetto politico. Il punto è che lo stato di polizia razzista americano e lo sterminio e marginalizzazione dei nativi americani non esisterebbero senza il supporto attivo dei bianchi.  

E’ in questo contesto che molti membri della comunità ebraica cominciano a vedere come il rapporto tra gli Stati Uniti e lo Stato di Israele si basi su una comune visione politica che negli Stati Uniti aveva generato i movimenti di protesta di cui loro gia’ facevano parte.

Gli stretti rapporti tra la polizia americana e l’esercito israeliano e gli insediamenti illegali dei coloni israeliani vengono ora letti attraverso le lenti politiche del movimento dei Black Lives Matter e dei nativi americani. Ecco allora la realizzazione che la creazione di un forte movimento ebreo anti-sionista rappresentava un importante contributo ad una lotta che a questo punto ha assunto una dimensione internazionalista.

Le storiche ed eccezionali azioni di protesta a cui molti ebrei americani hanno preso parte in questi giorni devono allora essere lette come un grande successo di tutto il movimento radicale americano. Queste proteste segnano un importante cambiamento delle dinamiche politiche interne agli Stati Uniti rispetto alla questione palestinese.

L’impossibilta’ di tacciare il movimento sceso in piazza in supporto dei Palestinesi di anti-semitismo, costringera’ il partito Democratico ha fare una riflessione seria su come comportarsi ed esprimersi, soprattutto alla vigilia di una cruciale campagna elettorale che culminera’ con le elezioni presidenziali nell’autunno del 2024. Non e’ un caso allora che già 16 parlamentari democratici abbiano deciso di sponsorizzare una mozione che chiede l’immediato cessate il fuoco. O che piu’ di 400 membri mussulmani ed ebrei dello staff del partito democratico abbiano firmato una lettera aperta in cui si chiede ai parlamentari di fare di piu’ per il raggiungimento del cessate il fuoco e di una soluzione politica che risolva veramente la quesitone palestinese.

Ovviamente la reazione dell’ala più conservatrice della comunità ebraica americana non si è fatta attendere. Per esempio nelle ultime settimane, importanti benefattori delle maggiori università americane hanno fatto pressione perché nei campus fossero vietate qualsiasi tipo di manifestazione pro-Gaza e chiesto una piu’ aperta condanna dell’attacco condotto dai militanti di Hamas da parte dei rettori. Ma è quando si aprono i maggiori giornali americani e si ascoltano i principali network che si avverte come il linguaggio stia lentamente cambiando.

Ancora una volta bisogna guardare alle lezioni imparate durante le proteste del movimento Black Lives Matter. In quei giorni, gli attivisti bianchi hanno imparato che e’ importante usare il loro privilegiato accesso ai media per amplificare la voce delle comunita’ nere perche’ la societa’ americana ascoltera’ e valutera’ quegli argomenti in maniera diversa semplicemente perche’ a parlare e’ un bianco. 

In maniera simile, in questi giorni i giornali, le radio e le televisioni americane hanno dato spazio - anche se a volte limitato - a voci della comunità ebraica che apertamente criticavano le politiche israeliane. E’ facile tacciare un arabo di antisemtismo. Piu’ difficile e’ zittire migliaia di ebrei che chiedo a gran voce la fine del genocidio palestinese.

Certo il recente viaggio di Biden in Israele sembra suggerire che la politica istituzionale sia sorda rispetto alle richieste del movimento sceso in piazza, ma la sensazione che si ha guardandosi intorno e’ che in questi giorni qualcosa sia veramente cambiato.

Militarismo e cybersecurity in Israele

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Durata 13m 42s

Il militarismo di Israele non è rappresentato solo dall'equipaggiamento balistico di cui dispone, ma anche dai suoi sistemi di sorveglianza.

Diamo un'occhiata quindi allo scenario della cybersecurity in Israele, settore economico molto forte. Israele non si limita ad utilizzare la cybersecurity contro il popolo palestinese, né ad esportare queste armi alle dittature di mezzo mondo. Le utilizza invece ampiamente anche al suo stesso interno, anche in maniera extralegale, confermando ancora una volta che il militarismo non è un modo per tutelare la popolazione che lo esprime, ma solo per supportarne le sue classi privilegiate.

Studenti USA contro l'occupazione

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Durata 17m 10s

Nella rassegna stampa di oggi abbiamo letto gli strali della Repubblica contro le prese di parola dei e delle studenti statunitensi, che Rampini considera addirittura supporter di Hamas.

Leggiamo quindi questi comunicati, scoprendo che nessuno di questi comunicati difende Hamas.

Misteri sul Leonardo Express

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Apriamo la puntata di oggi parlando di malware. Partiamo da Sherlock, l'ennesimo caso di Malware proveniente dall'industria israeliana. Questo caso è di particolare interesse perché usava come vettore d'attacco la pubblicità online. Nonostante per ora le informazioni siano estremamente limitate, cerchiamo di capire storia, rischi e rimedi per questo malware.
Nel frattempo, Google rinvia ancora una volta la data per il termine del supporto al "Manifest V2" per le estensioni in Chrome. È una buona notizia, perché avrebbe significato anche la fine della possibilità di bloccare efficacemente le pubblicità dentro Chrome. Che, per inciso, è il miglior rimedio contro Sherlock.
 
Affrontiamo il grande mistero ferroviario dell'estate: cosa succede ai treni del Lazio? Facciamo una breve storia, con qualche ipotesi possibile, ma soprattutto lo domandiamo a voi, visto che almeno ufficialmente, nessuno lo sa. Scriveteci un'email per dirci la vostra!
 
Ancora sul trasporto pubblico, ci siamo spulciati la delibera di Roma Capitale in cui, tra le tante cose, si approvano:
  • futuribili interventi per i  varchi ZTL in uscita... nonostante non sia ancora chiaro a cosa servono questi varchi
  • un innovativo ma forse non altrettanto utile sistema di monitoraggio dei parcheggi
 
Chiudiamo con due notiziole:
  • la metro B allinea le sue manutenzioni in maniera perfetta in modo che, guarda caso, vadano ad aiutare la Ryder Cup
  • Scientology si oppone alla riparazione per i suoi apparecchi, forse temendo che qualcuno li faccia funzionare
 

Palestina è il giorno della terra

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Con diversi voci analizziamo oggi la situazione in Palestina a 47 anni da quel 30 marzo del 1976 quando l'esercito sionista sparò e uccise sei persone tra palestinesi del 48 che protestavano contro l'ennesima confisca della terra.

Da allora la popolazione palestinese continua a resistere in maniera determinata contro l'occupazione colonialista e il sistema d'apartheid. Infine una corrispondenza con un compagno del Laboratorio ebraico antirazzsta per un'analisi sulle manifestazioni in Israele che contunuano a romanere tutte interne al siniosmo senza portare in piazza l'occupazione della Palestina.

 


 

25 anni di solidarietà con la Palestina

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Durata 32m 38s

L’associazione culturale Amicizia Sardegna Palestina compie 25 anni e vale la pena soffermarsi a riflettere sul lavoro che abbiamo svolto nel corso di questo quarto di secolo.

Fondata il 20 dicembre 1997 a Dolianova, in Sardegna, l’associazione Amicizia Sardegna Palestina è stata ed è attiva in diverse attività culturali e politiche, sia nell’isola che fuori.
In quanto associazione culturale, ci siamo sempre concentrati soprattutto su eventi e attività culturali, tra cui l’Al Ard Film Festival (per il quale è appena iniziato il conto alla rovescia per la 19ª edizione), “Palestina in Sardegna” e numerosi seminari e conferenze.

Tuttavia, oltre agli eventi prettamente culturali, l’associazione è stata attivamente coinvolta in varie iniziative politiche e manifestazioni, sia in Sardegna che altrove. Abbiamo sempre lavorato a fianco dei movimenti politici locali per protestare contro le basi militari sull’isola e contro la presenza dell’esercito israeliano per l’addestramento militare e la sperimentazione di armi.

Inoltre, l’associazione ha avviato e collaborato alla realizzazione di progetti di cooperazione internazionale in Palestina e Libano, tra cui “Handala va a Scuola“, “Studenti in Azione” e “Istruzione contro la Povertà“. Questi progetti hanno contribuito a sostenere l’istruzione e le associazioni locali che sono un punto di riferimento in particolare nei campi profughi palestinesi.

Dai microfoni della Radio ne parliamo con un compagno palestinese.