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C.I.E. di Ponte Galeria, una notte e una mattina di rivolta

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Durata 6m 56s

Nella notte un tentativo di fuga dal Cie, non riuscito purtroppo, ha potrato di nuovo a pestaggi nei confronti dei detenuti nel braccio maschile. I detenuti si sono chiusi dentro impedendo l'ingresso dei secondini nelle zone in cui si trovano le celle. Nel più totale silenzio, questi episodi di rivolta e resistenza allla vita di reclusione, stanno diventando sempre più frequenti.

 

Una corrispondenza dal CIe delle ore 16:45

Dal Cie di Ponte Galeria: manganelli e deportazioni forzate

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Una lunga corrispondenza con uno dei ragazzi rinchiusi nel Cie di Ponte Galeria, a Roma, che racconta la vita quotidiana all'interno del centro: la rabbia e le continue provocazioni, i pestaggi e le deportazioni forzate. Detenuti imbottiti di psicofarmaci per evitare che si ribellino alla deportazione, oppure legati mani e piedi, imbavagliati e "imballati" come un pacco postale. Tutto questo mentre nelle aule del parlamento si sta per approvare la legge che prolunga la permanenza nei Cie fino a 18 mesi.

 

Aggiornamento di mercoledì 13 luglio:

Alcuni detenuti del Cie di Ponte Galeria hanno inviato alla nostra redazione un comunicato - in cui denunciano la loro situazione e fanno delle richieste precise - chiedendoci di diffonderlo il più possibile al di fuori. Potete leggerlo qui sul sito e se volete potete contribuire anche voi a farlo girare:

http://www.ondarossa.info/newstrasmissioni/comunicato-di-un-gruppo-di-detenuti-del-cie-di-ponte-galeria-0

Corrispondenza con uno tra i ragazzi rinchiusi nel C.I.E. di Ponte Galeria

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Durata 15m 20s

Terminati i predidi solidali davanti al Cie di Ponte Galeria e davanti il carcere di Rebibbia, Radio Onda Rossa contatta uno tra i ragazzi rinchiusi nelle gabbie del Cie. Inizia così una lunga corrispondenza che aggiorna la città su ciò che avviene all'interno della macchina delle deportazioni.

Di seguito il report della giornata:

In occasione della settimana di mobilitazione nei Cie nelle Carceri e negli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari)
Domenica 26 giugno sotto un sole cocente, un centinaio tra compagni e compagne ha portato una presenza solidale sotto le infami mura del Cie di Ponte Galeria e sotto a quelle del carcere di Rebibbia.
All'arrivo al lager sulla portuense, i ragazzi del maschile erano già sul tetto con tanto di striscioni e col loro impeto urlavano: "libertà! libertà!". Ciò era successo già nel precedente presidio e ovviamente riempie i cuori di gioia. E' importante sottolineare la forza e la determinazione delle recluse del femminile che questa volta sono riuscite a salire anche loro!
Purtroppo i servi in divisa hanno fatto il loro sporco compito e riportandole giù e pestandone tre.
L'invito è quindi a far sentire la solidarietà nei loro confronti come meglio si crede, e intanto, per chi ne avvesse voglia, a chiamare il numero del lager [06 65854224] e dell' Auxilium [0665854228 oppure 4215 finale], ditta che gestisce il Cie per far capire agli aguzzini che le ragazze non sono sole.

Il gruppo si è poi spostato verso il carcere di Rebibbia, precisamente davanti alla sezione femminile, in modo che le recluse potessero sentire con l'amplificazione, la musica e gli interventi al microfono la nostra avversione per quelle sbarre.
Anche qui le donne recluse hanno salutato i manifestanti e scambiato due urla, esprimendo la rabbia per un sistema fondato sullo sfruttamento, che rinchiude e tortura.
Ogni occasione è buona per portare solidarietà a chi lotta dentro una di queste gabbie che perpetuano l'oppressione e le ingiustizie di questo come di ogni Stato.
Ogni occasione è buona per sostenere le lotte degli sfrutatti.

Pestaggi a Ponte Galeria dopo il presidio di sabato

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Durata 3m 1s

 

Una donna che si trova rinchiusa nel Cie di Ponte Galeria da cinque mesi telefona a Radio OndaRossa per raccontare - in un misto di italiano e inglese - il pestaggio subito stamattina.

La donna racconta ai microfoni che gli uomini delle forze dell'ordine l'hanno portata in un ufficio all'interno del centro, per picchiarla, insieme ad altre donne.

Evidentemente polizia e carabinieri, ma anche il direttore del centro, non hanno gradito la presenza dei manifestanti sotto alle mura del Cie e hanno voluto farne pagare le conseguenze alle recluse.

Gli uomini in divisa, infatti, hanno spiegato chiaramente alle donne che il pestaggio è una risposta al "casino" che hanno fatto sabato, durante il presidio, e hanno assicurato loro che saranno deportate al più presto nei rispettivi paesi d'origine.

Al momento la situazione nel centro è più tranquilla ma la donna chiede assistenza medica per la sua compagna che sta male.

Al nostro redattore che le chiede se sia pericoloso per le recluse il fatto che si svolgano delle manifestazioni al di fuori del centro, lei risponde che le dovremmo fare ogni giorno!

Perché qua non va bene - spiega la donna - l'acqua non va bene, il mangiare non va bene, i vestiti non vanno bene... fa sempre freddo! Qua non dovrebbe essere una galera - noi non siamo ladre! - eppure ci trattano peggio che in galera.

Infine, a una domanda su cosa vogliono che facciamo dal di fuori, per sostenerle, lei risponde con decisione: just we want freedom! vogliamo solo la libertà!

 

Fuori e dentro i Cie

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Nella puntata di venerdì 23 luglio 2010:

 

Samir racconta la sua storia mentre si trova sul tetto di una baracca del Cie di Ponte Galeria, per resistere alla deportazione.

Il suo avvocato interviene in diretta per comunicare che Samir è uscito dal Cie con un foglio di via e ora sogna di lasciare l'Italia.

Il racconto della giornata di ieri a Roma: il processo contro i ribelli di Ponte Galeria e poi l'occupazione del consolato tunisino.

Corrispondenze da Milano e Torino sulla giornata di ieri: la deportazione di Sabri e la mobilitazione contro la sua deportazione a Torino; l'occupazione del consolato tunisino e il fermo dei solidali a Milano.

 

Un gesto di solidarietà con chi si ribella nei Cie

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http://www.informa-azione.info/roma_un_gesto_di_solidarieta
http://roma.indymedia.org/node/22568

  
Una settimana di rivolte all'interno di diversi lager di questo paese di merda...

 

Il 14 luglio a Torino i reclusi hanno appiccato il fuoco all'interno del C.I.E. di Corso Brunelleschi, causando diversi danni alla struttura.
La sera dello stesso giorno a Trapani è avvenuta un'evasione di massa: circa quaranta prigionieri su sessanta sono riusciti a fuggire.
Ieri, 17 luglio, a Gradisca dopo aver saputo che alcuni tunisini sarebbero stati rimpatriati, forti proteste dei reclusi accendevano un altro focolaio.
A poche ore di distanza, arrivata la notizia di quello che succedeva a Gradisca, i reclusi di via Corelli si sono riuniti in un'assemblea per poi salire sul tetto come forma di protesta; allo stesso tempo alcuni di loro hanno tentato la fuga e in tre ci sono riusciti.

La stessa sera a Roma, in uno dei luoghi più affollati per le attrazioni delle vetrine spettacolari che questa città riserva per l'estate, alcuni solidali hanno calato uno striscione con sopra scritto «DALLA PARTE DI CHI RIBELLA, CHIUDERE IL C.I.E.-LAGER DI PONTE GALERIA» e contemporaneamente lanciato tra i passanti dei volantini.

Il gesto è stato realizzato in solidarietà con i 7 immigrati che il 22 luglio saranno processati per aver partecipato alla rivolta scoppiata a Ponte Galeria il 13 giugno.

Libertà per tutti/e i/le reclusi nei lager di Stato

Di seguito il testo del volantino distribuito e un paio di foto

 

DALLA PARTE DI CHI SI RIBELLA,
PER CHIUDERE IL C.I.E.-LAGER DI PONTE GALERIA...
...E PER NON CHIUDERE GLI OCCHI DINANZI AL RAZZISMO CHE DILAGA

 

Passeggi, durante questa sera di estate inoltrata. Se ti guardi intorno è per dare un'occhiata alle bancarelle e alle attrazioni che questo posto ti riserva. All'improvviso la tua attenzione viene distolta da uno striscione illuminato da alcune torce e poco dopo ti ritrovi questo volantino tra le mani.

Ti starai chiedendo, forse, cosa si intende per "lager di Ponte Galeria" e perché, nel 2010, quella parola, lager, che ritenevi accantonata tra gli orrori della storia, riemerga nuovamente fuori: le atrocità commesse all'interno dei campi di concentramento sono infatti note a tutti e appaiono solo un triste ricordo del passato, vicende da relegare tra le pagine di un libro di storia, perché i governi "democratici" che sono succeduti alle dittature dicono di aver imparato la lezione: mai più razzismo.  E invece...

In Italia, come del resto in tutta Europa, sono attive da diverso tempo una serie di leggi discriminatorie nei confronti degli immigrati: dapprima con l'istituzione dei CPT (Centri di permanenza temporanea) nel 1998 da parte del governo di centro-sinistra, in seguito con alcune norme varate nel "Pacchetto Sicurezza" nel 2009 dall'attuale governo di centro-destra che li ha trasformati in C.I.E. (Centri di identificazione ed espulsione), gli immigrati senza documenti in regola corrono il rischio di subire lunghi periodi di reclusione per poi essere deportati nei loro paesi d'origine.

I C.I.E., ex C.P.T., luoghi di detenzione amministrativa sottoposta all'autorità di polizia e quindi, da un punto di vista giuridico, propriamente equiparabili ai lager nazisti, sono parte integrante e costituente di un meccanismo perfettamente oliato che alimenta il circuito dello sfruttamento. Nei C.I.E. vengono rinchiusi gli immigrati senza il permesso di soggiorno, come anche persone che hanno richiesto l'asilo politico, che hanno lavoro e carte in regola ma con vecchi decreti di espulsione sulle spalle, che hanno finito di scontare una pena in carcere e donne, tante donne, in molti casi vittime della tratta. Gente che è sfuggita da guerre, persecuzioni, maltrattamenti e prostituzione. E fame. Guerre e fame che il capitalismo occidentale produce per continuare indisturbato a dominare e a razziare il mondo.

Resi clandestini per la sventura di arrivare da paesi disgraziati, sotto la minaccia costante e continua di essere internati e deportati, di venire fermati per strada, negli autobus, nei treni e trattati come bestie, di venire separati dagli affetti più cari, di finire nuovamente nelle grinfie di sfruttatori e "protettori" senza scrupoli, vivono in balia della malvagità di chi esegue gli ordini del potere.
Quotidianamente all'interno dei C.I.E. si consumano abusi e pestaggi da parte delle forze dell'ordine. Le necessarie cure mediche non vengono somministrate, ma si abbonda di psicofarmaci con cui "condire" il cibo, che tra l'altro è scadente e di pessima qualità. Le dosi d'acqua, anche di estate, sono razionate al minimo. Non sono mancati casi di stupro da parte di agenti di polizia. Alcune persone dentro quei lager hanno perso la vita.

Tutto questo, qui in Italia, paese "avanzato e democratico", continua ad avvenire nel silenzio e nell'indifferenza.

Dinanzi a questa situazione ribellarsi, piuttosto che subire passivamente, è ciò che sta accadendo da diverso tempo nei C.I.E. di tutta Italia: scioperi della fame, tentativi di fuga, atti di autolesionismo, danneggiamento delle strutture interne sono una diretta e inevitabile conseguenza al perpetuarsi della detenzione nei vari Centri di identificazione ed espulsione.
Per una rivolta avvenuta il 3 Giugno all'interno del C.I.E. di Ponte Galeria 9 immigrati sono stati imputati: 2 di loro sono stati prontamente espulsi e 7 verranno processati il 22 Luglio al Tribunale di Roma; nel frattempo dopo 3 mesi è ancora in corso il processo per 19 immigrati incolpati per un'altra rivolta scoppiata il 15 marzo. Queste denunce si vanno ad aggiungere alle innumerevoli manovre repressive dello Stato in cui vengono trascinati i migranti che osano ribellarsi.
In un sistema in cui la normalità sono i militari nelle strade, le assoluzioni degli assassini in divisa, lo sfruttamento dell'uomo e della terra a vantaggio dei soliti potenti, è naturale e umano che chi viene schiacciato si ribelli con ogni mezzo, con quello che in quel momento ha a disposizione.

Per tutto questo noi scegliamo di stare dalla parte di coloro che in tutti i lager di Italia e di Europa hanno il coraggio di ribellarsi e il 22 luglio dalle ore 10 porteremo davanti al Tribunale di Piazzale Clodio la nostra solidarietà ai 7 immigrati attualmente sotto processo.

Ponte Galeria: il lager alle porte di Roma

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Un recluso della sezione maschile del Cie di Ponte Galeria racconta il clima di disperazione che si respira all'interno del centro: l'ennesimo tentato suicidio, le fughe non riuscite e ricompensate con i pestaggi, gli episodi di autolesionismo... ma anche la determinazione dei reclusi che portano avanti la propria lotta sotto forma di uno sciopero della fame.

 
E poi prosegue paragonando l'esistenza dei Cie ai lager nazisti: luoghi in cui vieni rinchiuso - oggi come allora - semplicemente perché sei considerato «diverso». La differenza - sostiene quest'uomo - è che oggi abbiamo le tecnologie, la televisione, la doccia... ma poi «per il resto è tutto uguale: mancano solo gli omicidi di massa».

 
Per esprimere la solidarietà con le lotte dei reclusi e delle recluse e per diffondere in città una cronologia della settimana appena trascorsa a Ponte Galeria, è stato convocato un concentramento per stasera, mercoledì 16 giugno, alle 21.00 in via Tiburtina, davanti all'ingresso del Parco dei Caduti del 19 luglio 1943, a San Lorenzo.

 

Invece a Torino, domani pomeriggio, giovedì 17 giugno dalle ore 14.00, si svolgerà un presidio davanti al Cie di corso Brunelleschi, dove sono rinchiuse Debby e Priscilla - le due ragazze nigeriane che erano state trasferite a Torino il 12 febbraio scorso dopo aver scontato sei mesi di carcere insieme a Joy, Hellen e Florence per la rivolta di Corelli di agosto – che in quella giornata dovrebbero essere trasferite a Ponte Galeria, in vista dell'espulsione.

  

Per protestare contro questa ennesima deportazione, si può chiamare l'ambasciata nigeriana a Roma, che risponde allo 06 683931.

  
Infine, sabato 19 giugno, dalle ore 15.30 a Modena, si svolgerà il corteo nazionale contro i Cie. La radio seguirà la manifestazione in diretta.

 

Fuori e dentro i Cie

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Nella puntata di venerdì 11 giugno 2010:

  

Alcuni reclusi del Cie di Ponte Galeria hanno scritto un comunicato in cui denunciano i pestaggi e la somministrazione di psicofarmaci, dando una loro versione della rivolta avvenuta il 3 giugno scorso.

Inoltre affermano che la legge che li intrappola nel circuito cie-carcere-cie è ingiusta, che sei mesi sono troppi e che - anche se li chiamano "ospiti", loro sono dei detenuti.

Ricordiamo che in seguito alla rivolta del 3 giugno, sono stati arrestati nove reclusi, che saranno processati per resistenza, danneggiamenti e lesioni a pubblico ufficiale. La prima udienza del processo è fissata per il 22 luglio.

 

Leggi il comunicato in italiano e in traduzione francese.

 

Aggiornamenti da Ponte Galeria, dove si registrano due casi di sifilide.

 

Corrispondenza con una compagna dalla Spagna, sulla situazione del Cie di Barcellona, dove sono recentemente avvenuti due casi di morti sospette. In seguito all'ulitma morte e dopo il presidio solidale di domenica scorsa 150 reclusi hanno cominciato uno sciopero della fame. Al momento 90 reclusi continuano a rifiutare il cibo. In una settimana si sono svolti due diversi presidi davanti al Cie e per domani è previsto un corteo in città.

 

Aggiornamenti su Joy, che ha ottenuto il permesso di soggiorno in quanto vittima di tratta, sull'incidente probatorio che si è svolto martedì 8 giugno al tribunale di Milano, nell'ambito del processo per stupro contro l'ispettore di polizia Vittorio Addesso, e sull'azione che si è svolta contemporaneamente all'Università la Sapienza di Roma, in solidarietà con Joy e i reclusi e le recluse nei Cie.

 

Per chi volesse partecipare al corteo contro i Cie che si svolgerà il 19 giugno a Modena, l'appuntamento è lunedì 14 giugno, alle 21.30 nel piazzale antistante Pirateria, Circonvallazione Ostiense, 9, per un'assemblea aperta in cui discutere di come partecipare alla manifestazione e di come raggiungere insieme il concentramento.

 

 

Siamo tornati alla peste...

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"Ti ricordi 400-500 anni fa? Quella malattia che spaventava tutti? Siamo tornati a quei tempi, qui dentro c'è la peste..."

 
Due casi di sifilide spaventano i reclusi della sezione maschile del Cie di Ponte Galeria.
L'estate è arrivata e tra mura incandescenti, un solo litro d'acqua al giorno, i servizi che non funzionano e gli psicofarmaci distribuiti come medicine, le malattie infettive si propagano.
All'inizio si trattava di un unico caso, un detenuto che pur di farsi portare in ospedale si è rotto la mano dando un pugno al muro, piangendo e scongiurando che risolvessero questa situazione, poi è bastato un favore, un asciugamano e un paio di pantaloncini prestati per un po' di giorni, per contagiare anche un' altra persona.
 
La buona notizia è che dalle analisi, se presa in tempo, la malattia si può curare.
Nel frattempo la preoccupazione resta, in molti stanno solidarizzando con i due ragazzi e stanno cercando di accelerare le pratiche per un'assestenza sanitaria dignitosa.
Scavalcata la profonda vergogna di parlare di una brutta malattia infettiva, i ragazzi si sono sentiti più volte rifiutare il primo controllo in ospedale.
Nonostante il lager sia completamente militarizzato, trovare qualcuno che li accompagni in ospedale è un'impresa che dalle 8.00 di mattina impegna tutte le loro giornate da dieci giorni a questa parte.

 

Comunicato dei detenuti del Cie di Ponte Galeria

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Riceviamo e pubblichiamo un comunicato scritto da un gruppo di reclusi della sezione maschile del Cie di Ponte Galeria a Roma.

  

A tutte le persone che vivono in questo paese
A tutti coloro che credono ai giornali e alla televisione
    
Qui dentro ci danno da mangiare il cibo scaduto, le celle dove dormiamo hanno materassi vecchi e quindi scegliamo di dormire per terra, tanti tra di noi hanno la scabbia e la doccia e i bagni non funzionano.

 
La carta igenica viene distribuita solo due giorni a settimana, chi fa le pulizie non fa nulla e lascia sporchi i posti dove ci costrigono a vivere.
 
Il fiume vicino il parcheggio qui fuori è pieno di rane e zanzare che danno molto fastidio tutto il giorno, ci promettono di risolvere questo problema ma continua ogni giorno.
 
Ci sono detenuti che vengono dai CIE e anche dal carcere che sono stati abituati a prendere la loro terapia ma qui ci danno sonniferi e tranquillanti per farci dormire tutto il giorno.
   
Quando chiediamo di andare in infermeria perché stiamo male, la Auxilium ci costringe ad aspettare e se insistiamo una banda di otto/nove poliziotti ci chiude in una stanza con le manette, s’infilano i guanti per non lasciare traccia e ci picchiano forte.
 
Per fare la barba devi fare una domandina e devi aspettare, un giorno a settimana la barba e uno i capelli.
 
Non possiamo avere la lametta.
 
Ci chiamano ospiti ma siamo detenuti.
 
Quello che ci domandiamo è perché dopo il carcere dobbiamo andare in questi centri e dopo che abbiamo scontato una pena dobbiamo stare sei mesi in questi posti senza capire il perché.
 
Non ci hanno identificato in carcere? Perchè un’altra condanna di sei mesi?
 
Tutti noi non siamo d'accordo per questa legge, sei mesi sono tanti e non siamo mica animali per questo hanno fatto lo sciopero della fame tutti quelli che stanno dentro il centro e allora, la sera del 3 giugno, è cominciata così. Ci hanno detto: «se non mangi non prendi terapie» ma qui ci sono persone con malattie gravi come il diabete e se non mangiano e si curano muoiono.
 
Uno di noi è andato a parlare con loro e l’hanno portato dentro una stanza davanti l’infermeria dove non ci sono telecamere e l’hanno picchiato.
 
Così la gente ha iniziato ad urlare di lasciarlo stare.
 
In quel momento sono entrati quasi 50 poliziotti con il loro materiale e con un oggetto elettrico che quando tocca la gente, la gente cade per terra.
 
Le guardie si sono tutte spostate sopra il tetto vicino la caserma dei carabinieri qui dentro, dove sta il campo da calcio.
 
Dalla parte sinistra sono entrati altri 50 poliziotti.
 
Quando abbiamo visto poliziotti, militari, carabinieri, polizia, finanza e squadra mobile ufficio stranieri (che sono i più infami) sui tetti, uno di noi ha cercato di capire perché stavano picchiando il ragazzo nella stanza.
 
«Vattene via sporco» un poliziotto ha risposto così.
 
In quel momento siamo saliti tutti sopra le sbarre e qualcuno ha bruciato un materasso e quindi i poliziotti si sono spaventati e sono andati fuori le mura per prendere qualcuno che scappava.
 
Da quella notte non ci hanno fatto mangiare né prendere medicine per due giorni.
 
Abbiamo preso un rubinetto vecchio e abbiamo spaccato la porta per uscire e quando la polizia ha visto che la porta era aperta hanno preso caschi e manganelli e hanno picchiato il più giovane del centro, uno egiziano.
 
L’hanno fatto cadere per terra e ci hanno picchiati tutti anche con il gas, hanno rotto la gamba di un algerino e hanno portato via un vecchio che la sua famiglia e i sui figli sono cresciuti qui a Roma, hanno lanciato lacrimogeni e hanno detto che noi abbiamo fatto quel fumo per non far vedere niente alle telecamere. Così hanno scritto sui giornali.
 
Eravamo 25 persone e alcune uscivano dalla moschea lontano dal casino, ma i giornali sabato hanno scritto che era stato organizzato tutto dentro la moschea e ora vogliono chiuderla.
 
La moschea non si può chiudere perché altrimenti succederebbe un altro casino.
 
Veniamo da paesi poveri, paesi dove c'è la guerra e ad alcuni di noi hanno ammazzato le famiglie davanti gli occhi.
 
Alcuni sono scappati per vedere il mondo e dimenticare tutto e hanno visto solo sbarre e cancelli.
 
Vogliamo lavorare per aiutare le nostre famiglie solo che la legge è un po' dura e ci portano dentro questi centri.
 
Quando arriviamo per la prima volta non abbiamo neanche idea di come è l'Europa.
 
Alcuni di noi dal mare sono stati portati direttamente qui e non hanno mai visto l'Italia.
 
La peggiore cosa è uscire dal carcere e finire nei centri per altri sei mesi.
 
Non siamo venuti per creare problemi, soltanto per lavorare e avere una vita diversa, perché non possiamo avere una vita come tutti?
 
Senza soldi non possiamo vivere e non abbiamo studiato perché la povertà è il primo grande problema.
 
Ci sono persone che hanno paura delle pene e dei problemi nel proprio paese.
 
Per questi motivi veniamo in Europa.
 
La legge che hanno fatto non è giusta perché sono queste cose che ti fanno odiare 

veramente l'Italia.
 
Se uno non ha mai fatto la galera nel paese suo, ha fatto la galera qua in Italia.
 
Vogliamo mettere a posto la nostra vita e aiutare le famiglie che ci aspettano.
 
Speriamo che potete capire queste cose che sono veramente una vergogna.
 

Un gruppo di detenuti del CIE di Ponte Galeria (Roma)

 

  

TRADUZIONE FRANCESE

 

Le texte qui suit est un communiqué d’un groupe de détenus du centre de rétention de Ponte Galeria, à Rome. Ils ont voulu nous raconter leur condition de vie et ce qui s’est passé le 3 juin dernier, une révolte et des évasions. 9 personnes sont passées en comparution immédiate le jour suivant, et attendent leur procès; 5 personnes se sont évadées, une d’entre elles a été arrêtée non loin du centre le jour suivant. Ce communiqué nous a été dicté au téléphone. Nous avons choisi de ne pas le réécrire et de maintenir donc la langue qu’ils ont utilisée. Pour cette raison, nous avons gardé le même langage dans la traduction. Nous vous demandons donc de le diffuser le plus possible, mais sans faire de corrections, même si certaines tournures vous semblent parfois incorrectes. Les détenus nous demandent de le diffuser le plus possible, n’hésitez donc pas à le distribuer et à l’envoyer partout et à tout le monde. Si vous voulez des précisions, n’hésitez pas non plus à nous écrire.
    
A toutes les personnes qui vivent dans ce pays
A tous ceux qui croient les journaux et la télévision

 
Ici, ils nous donnent de la nourriture avariée à manger, les cellules où nous dormons ont de vieux matelas et nous choisissons donc de dormir par terre. Quelques-uns d’entre nous ont la gale et la douche et les toilettes ne fonctionnent pas. Le papier toilette est distribué seulement deux jours par semaine, et ceux qui font le ménage dans le centre ne font rien et laissent sales les lieux où nous sommes contraints de vivre.
 
La rivière proche du parking en dehors du centre est pleine de grenouilles et de moustiques qui nous dérangent beaucoup toute la journée; on nous promet de résoudre le problème, mais il continue chaque jour.
Il y a des détenus qui viennent des autres CIE (centre d’indentification et d’expulsion) et aussi des prisons, qui ont été habitué à prendre leur «thérapie», mais ici, ils nous donnent des somnifères et des tranquillisants pour nous faire dormir toute la journée.
 
Quand nous demandons d’aller à l’infirmerie parce que nous sommes malades, l’Auxilium (gérant du centre qui a pris la place de la croix rouge) nous contraint à attendre, et si nous insistons, une bande de 8 ou 9 policiers nous enferment dans une pièce menottés, se mettent les gants et nous tabassent fort.
 
Pour se raser, tu dois faire une demande et tu dois attendre, 1 jour par semaine la barbe et un jour les cheveux. Nous ne pouvons pas avoir de lames de rasoir.
 
Ils nous appellent hôtes, mais nous somme détenus.
 
Ce que nous nous demandons est pourquoi après la prison, nous devons aller dans ces centres, et pourquoi, après que nous avons terminé notre peine de prison, nous devons passer 6 mois dans ces lieux sans savoir pourquoi. Ne nous ont-ils pas déjà identifiés en prison? Pourquoi une autre condamnation de 6 mois?
Nous tous ne sommes pas d’accord avec cette loi, 6 mois, c’est beaucoup, et nous ne sommes tout de même pas des animaux. C’est pour ça que tous ceux qui sont ici ont fait la grève de la faim, et alors, le soir du 3 juin a commencé comme ça:
 
Ils nous ont dit: « i tu manges pas, tu ne prends pas de cure», mais ici, il ya des personnes qui ont des maladies graves, comme le diabète, et s’ils ne mangent pas et ne reçoivent pas leur cure, ils meurent.
L’un d’entre nous est allé parlé avec eux, et ils l’ont emmené dans une pièce à coté de l’infirmerie où il n’y a pas de caméras, et ils l’ont tabassé. Ainsi les gens ont commencé à hurler de le laisser tranquille. A ce moment-là, environ 50 policiers sont entrés avec leur matériel et un objet électrique qui quand il touche les personnes, les personnes tombent.
Les gardes se sont tous déplacés sur les toits à côté de la caserne des carabiniers qui se trouvent à l’intérieur du centre, à gauche du terrain de foot. 50 autres policiers sont entrés de l’autre côté.
 
Quand nous avons vu les policiers, les carabiniers, les militaires, les policiers de la Finanza (autre corps de police italienne) et l’équipe d’intervention mobile du bureau des étrangers (les plus infâmes) sur les toits, l’un d’entre nous a essayé de comprendre pourquoi ils étaient en train de tabasser le garçon dans la pièce sans caméras. «Va t’en dégueulasse» a répondu un policier. A ce moment-là, nous sommes tous montés sur les grillages et les portails et quelqu’un a incendié un matelas, et donc les policiers ont eu peur et ils sont allés dehors pour rattraper quelqu’un qui s’échappait.
 
A partir de cet instant-là, ils ne nous ont plus donné ni à manger ni de médicaments pendant deux jours.
Nous avons pris un vieux robinet et nous avons défoncé la porte pour sortir, et quand la police a vu que la porte était ouverte, ils ont pris leurs casques et leurs matraques et ils ont tabassé le plus jeune du centre, un égyptien. Ils l’ont fait tombé et ils nous ont tous tabassé, même avec des gaz. Ils ont cassé la jambe à un algérien et ils ont emmené une personne âgée dont la famille et les enfants ont grandi à Rome, et après ils ont lancé des gaz lacrymogènes. Ils ont dit que nous avions voulu faire de la fumée pour ne pas être vus par les caméras. C’est ça que les journaux ont écrit.
Nous étions 25, et certains sortaient de la mosquée loin du bordel, mais samedi, les journaux ont écrit que tout avait été organisé dans la mosquée, et maintenant, ils veulent la fermer. Mais s’ils fermaient la mosquée, il y aurait encore de bordel.
 
Nous venons de pays pauvres, de pays en guerre, et certains d’entre nous ont vu leur famille se faire tuer devant leurs yeux. Certains ont fuit pour voir le monde, et ils ont vu seulement des grilles et des grandes portes fermées.
 
Nous voulons travailler pour aider nos familles, mais la loi est un peu dure et ils nous mettent dans ces centres. Quand nous arrivons pour la première fois, nous ne savons même pas comment est l’Europe. Certains d’entre nous ont été emmené ici directement de la mer, et n’ont jamais vu l’Italie.
 
La pire des choses, c’est de sortir de prison et d’être mis dans les centres pour encore 6 mois.
Nous ne sommes pas venus pour créer des problèmes, seulement pour travailler et avoir une vie différente, pourquoi ne pouvons-nous pas avoir une vie comme tout le monde?
 
Sans argent, nous ne pouvons pas vivre et nous n’avons pas étudié parce que le premier grand problème, c’est la pauvreté. Il y a des gens qui ont peur des peines et des problèmes dans leur propre pays.
 
La loi qu’ils ont faite n’est pas juste, et ce sont ces choses qui te font haïr l’Italie. Si quelqu’un n’est jamais allé en prison dans son pays, il y est déjà allé en Italie. Nous voulons avoir une vie normale et aider nos familles qui nous attendent.
Nous espérons que vous pouvez comprendre ces choses, qui sont vraiment honteuses.
 

Un groupe de détenus de Ponte Galeria