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CPR

Torino: aggiornamenti dal CPR di corso Brunelleschi

Data di trasmissione
Durata 17m 6s

In collegamento telefonico con una compagna parliamo della situazione del CPR di corso Brunelleschi a Torino.

Di seguito uno scritto che riprendiamo da: https://www.autistici.org/macerie/

 

CANZONE DI MAGGIO

Corso Brunelleschi, arriva la primavera, se non fosse per le alte e verdeggianti fronde degli alberi che superano la cinta di mura, dentro alla prigione per senza documenti non se ne accorgerebbero.

La vita nel Cpr non scorre ma friziona e urta, sbatte contro il perimetro della gabbia e torna indietro. La vita nel Cpr è costretta in una struttura che cade a pezzi, con la beffa dell’incuranza che s’accompagna al danno della reclusione. Il decreto sicurezza inizia a farsi sentire anche dentro a centri come questo peggiorando la situazione per i reclusi. È ragionevole pensare che i tagli voluti dal Ministero siano andati a incidere celermente nella gestione dei servizi: se Salvini riduce la spesa, il gestore Gepsa, la multinazionale francese specializzata nella detenzione privata, continua a tenere stabili i suoi lauti utili mentre spreme fino allo stremo i ragazzi rinchiusi facendo scarseggiare persino il cibo; anche i cosiddetti charlie, ovvero i lavoranti civili, sono sempre meno. E se è vero che ai reclusi fa piacere togliersi dalla vista certi personaggi in pettorina che esercitano il potere quasi come gli sbirri stessi, è tuttavia esasperante essere tenuti in gabbia senza neanche il numero di inservienti sufficiente a servire i pasti.

Centri di permanenza che sembrano ambire a diventare vere gabbie di morte, lager di una guerra sempre più esplicita, senza più pudore. Pian piano il Cpr diventa una struttura oltre la prigione, oltre il campo di una guerra globale, diviene recinto di nudo controllo.

 

Qui non rispettano gli umani“, un grido al telefono di chi ha visto negli ultimi giorni un compagno di area invalido essere preso di malo modo dalle forze dell’ordine per la deportazione in Marocco. Da dentro coloro che hanno visto la scena raccontano con rabbia che ha provato a opporsi ferendosi con tagli al viso, che gli hanno appioppato senza troppi indugi l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale e l’hanno portato via. In questo caso, come in tanti altri purtroppo, l’autolesionismo è l’ultima difesa tentata. Ora non si sa dove sia, se tradotto alle Vallette o spedito dall’altra parte del Mediterraneo, l’unica cosa certa è che non è stato medicato perché anche l’assistenza sanitaria del fu Cie, da sempre indecente, ora raramente viene garantita. All’ospedaletto, l’infermeria interna, portano solo chi è in gravi condizioni o chi fa casino ostinato per farsi visitare, ma quando ci riesce è sempre una terapia di paracetamolo e psicofarmaci a risolvere il malanno. 

In queste settimane è per di più il tempo del Ramadan e pare che l’assenza di personale abbia portato per alcuni giorni la mancata consegna del pranzo, cibo che comunque viene conservato dai reclusi musulmani per essere consumato di notte. Anche a tutti gli altri probabilmente hanno imposto la dieta dal credo unico, che più che il digiuno dell’Islam è la fame del Capitalismo.

Proprio in una di queste occasioni in cui non è stato servito il pranzo è partita una piccola rivolta in cui dei detenuti hanno dato fuoco alle coperte e si sono rifiutati di tornare quieti nelle stanze. Polizia e Guardia di Finanza hanno fatto irruzione per spintonare tutti dentro e per spegnere le fiamme.

Da quello che i ragazzi raccontano il vitto sembra essere di regola più scarso, e non solo per la canonica qualità marcescente, ad esempio per il Ramadan in aggiunta alla cena forniscono di un sacchetto contenente solo mezzo litro di latte, una barretta di cioccolato e una porzione di riso.

La rabbia dentro al Cpr si manifesta quotidianamente, che sia in uno sciopero della fame, in una resistenza alla deportazione, in piccole rivolte.

Bisogna capire come sostenerla.

Contro i lager di Stato: sul 25 aprile a Modena

Data di trasmissione
Durata 17m 49s

Che cosa significa lottare contro i CPR oggi, nell’epoca del populismo legale e nel quadro della deriva reazionaria e repressiva in corso? In vista della manifestazione del 25 aprile a Modena contro i lager di stato ne abbiamo parlato con alcuni compagni e compagne promotori del corteo.

Riproponiamo un contributo apparso su radiocane.info

Buon ascolto!

30 marzo a Torino - Contro sgomberi e repressione: BLOCCHIAMO LA CITTÀ

Data di trasmissione
Durata 37m 29s

Al telefono con due compagne di Torino vi raccontiamo il corteo previsto per il 30 marzo e le ultime settimane di lotta in città.

da Macerie

La normalità di questo mondo pare essere totalizzante, negli ultimi anni i processi economici e politici hanno concluso un’opera terribile iniziata con le navi dei commerci tra continenti e le ciminiere di Manchester.
Ogni sfera dell’esistenza umana e ogni pezzo di questo pianeta sono stati fagocitati e risputati come sostanza putrida, non c’è nessun punto dell’intero globo che non sia stato distrutto dalla bulimia sfrenata del capitalismo; non esiste più un pezzo di terra libero, né la possibilità di una vita dignitosa non piegata dalla schiavitù lavorativa per il profitto di un padrone spesso senza volto.
Non esiste altresì neppure la possibilità di sottrarsi, come qualcuno sostiene, adottando comportamenti virtuosi o di autosufficienza materiale in una vita da eremita: nel mondo devastato i liquami industriali e l’aria sporca arrivano ovunque e  proclamano una promessa di morte a cui lo Stato non accompagna più neppure la possibilità di curarsi poiché dopo aver messo fuori legge ogni conoscenza e pratica sul corpo che prescindesse dalla sua mano medica, ora chiude i rubinetti della sanità, lasciando a chi non può pagare esose visite private il peso di affrontare ogni malattia senza lamentarsi; nel mondo devastato non esiste un altrove al riparo da regolamenti edilizi, controlli di polizia e censimenti; nel mondo devastato non esiste un altrove in cui non arrivino le grida di uomini, donne e bambini che affogano in mare, che scappano dalla povertà, che vengono sfrattati e buttati in mezzo alla strada.

La stessa possibilità di immaginare e praticare un attacco che ci possa far respirare libertà, viene sempre più aggredita dagli apparati della repressione, sul piano materiale dal lavoro di polizia e magistratura e su quello simbolico dagli inneggiati valori di legalità e democrazia del mondo occidentale, entro i quali deve svolgersi un pacato dissenso, collaborante e partecipativo, pena lo spettro del terrorismo e di un terrificante caos sociale - per loro e per chi ha qualcosa da difendere in un mondo devastato. Chi non vuole sedersi al tavolo di trattative con istituzioni, banche ed enti caritatevoli può accomodarsi nelle patrie galere.
Quanto quest’ordine asfissiante entro cui si erige e raffina il controllo non sempre tenga, lo mostrano le esplosioni di rabbia e distruzione che nascono da un pieno di sopportazione e sfociano in ribellioni diffuse pur senza trovare una prospettiva.
In Italia è più che mai visibile questo sfacelo e dopo anni di ristrutturazione economica la guerra endemica per la sopravvivenza diventa palese, gli impoveriti sono aizzati contro i diseredati, i cittadini contro gli stranieri, chi ha rinunciato definitivamente alla propria libertà contro chi non si arrende: è il germe della guerra civile che cerca di uscir fuori dalle ceneri del conflitto sociale.
Un clima questo che è eredità dell’operato di ogni istituzione statale nazionale e delle tensioni predatorie del capitalismo globale. L’ultimo governo ha giovato elettoralmente di questa situazione canalizzando a proprio favore l’insofferenza di vaste fasce di popolazione: Movimento 5 Stelle e Lega hanno costruito in coro un orizzonte di disciplina al lavoro e repressione acuta, dal reddito di cittadinanza fino al pacchetto sicurezza. Senza troppe riflessioni analitiche si può affermare che insieme questi due partiti hanno costruito la maggior sproporzione di potere dell’Italia repubblicana tra governanti e governati, fornendo allo Stato la possibilità di intervenire con forza bieca in ogni situazione di crisi sociale o contro ogni tentativo di resistenza. Questo è il terreno in cui si muove la violenza statuale, che è pressoché unilaterale, dall’alto verso il basso, e ha come obiettivo quello di mantenere indisturbata questa direzione, di uccidere sul nascere qualsiasi lotta degli oppressi.
A Torino, città sull’orlo fisico della bancarotta nonostante tutti i tentativi di riconfigurare l’assetto monolitico e industriale dell’economia in uno di investimenti diffusi e turismo, ha preso il potere comunale proprio uno dei due partiti a capo del parlamento nazionale. Il M5S, attraverso il volto nuovo della alto-borghese Chiara Appendino, è salito in Sala Rossa grazie il voto elettorale delle periferie a cui ha promesso a gran voce e senza pudore crescita occupazionale e servizi sociali. “Basta opere inutili, solo welfare e rinascita!”, andavano dicendo. Non ci è voluto molto e l’illuso elettorato è tornato presto con i piedi a terra, in città non si riesce neppure a prenotare una visita medica e la maggior parte dei “torinesi” vive in spazi angusti spartendo salari precari e frustrazioni sicure. Si arranca come prima, peggio di prima. Dopo quasi tre anni, l’amministrazione comunale è a un passo dalla caduta e i risultati che sottolinea di aver raggiunto sono manco a dirlo quelli repressivi: lo sgombero dei rifugiati dalle palazzine dell’ex-Moi, lo sgombero dei campi rom e quello degli anarchici.
Non è un caso che quest’ultimo continui a preoccupare i politici cittadini e le autorità poliziesche. L’Asilo occupato era un posto in cui si provava con costanza a organizzarsi contro questo mondo di miseria e sfruttamento, e questo grande e ostinato coraggio è per lorsignori un esempio troppo pericoloso in questi tempi. Sono consapevoli infatti che hanno fatto seccare ogni prato, che ora vige il silenzio di questo deserto, ma sanno anche che la sterpaglia prende fuoco e che brucia velocemente.
Chiunque provi a essere scintilla deve essere spento, soffocato.
Così come hanno provato a soffocare la rabbia di sei compagni arrestati a Torino per la lotta contro il Cpr, così come hanno provato a soffocare la rabbia di sette compagni trentini accusati di terrorismo.
Così come provano a soffocare con la paura la tensione di chi nelle ultime settimane è sceso in strada a dare filo da torcere a chi decide e reprime.
In ballo oggi non c’è solo il destino di un asilo o di un gruppo di caparbi anarchici, il ballo oggi c’è il seme del coraggio, il seme che tutti coloro che vedono gli scempi di questo presente devono preservare come la cosa più cara.
Il 30 marzo a Torino bloccheremo la città per continuare a innaffiarlo.
Se un fiore nuovo nascerà dipende da noi.

Con Agnese, Silvia, Nicco, Antonio, Beppe, Stecco, Giulio, Poza, Nico, Rupert e Sasha nel cuore, per la libertà di tutti e tutte.

Torino: Devastazione e saccheggio per chi è solidale

Data di trasmissione
Durata 18m 43s

Con una compagna di radio blackout commentiamo quanto successo negli ultimi giorni a Torino: gli arresti per l'"operazione scintilla" che cerca di minare la lotta contro i CPR con l'accusa di associazione sovversiva (ma, al contrario di quanto dicono molti media, senza l'aggravante di terrorismo o altre aggravanti); lo sgombero dell'Asilo Occupato; il corteo di solidarietà e altri arresti con la pesante accusa di devastazione e saccheggio.

A fronte di una repressione e di dichiarazioni roboanti di tutte le istituzioni, tanta è stata la solidarietà  e la determinazione espresse durante le operazioni di sgombero, in corteo e nei presidi fuori dal carcere.

Qui potete trovare gli estremi a cui sottoscrivere per le spese legali e i contatti per scrivere a chi sta dentro.

Aggiornamento: l'udienza di convalida degli arresti per il corteo è stata rimandata a mercoledì 13 febbraio

Aggiornamento: tutti scarcerati con obbligo di firma gli accusati di devastazione e saccheggio; cadono le accuse più pesanti, rimane resistenza a pubblico ufficiale. Ascolta l'approfondimento su Radio Blackout.