Ascolta lo streaming di Radio Onda Rossa

silenzio assordante

I campi di lavoro del sud Italia ai tempi del coronavirus

Data di trasmissione
Durata
Durata

In collegamento telefonico con un compagno e una compagna ci facciamo raccontare cosa sta avvenendo nella tendopoli di San Ferdinando in Calabria e nelle campagne foggiane, a che punto sono le lotte di chi lavora in queste zone e le difficoltà che stanno affrontando. 

Buon Ascolto!

Aggiornamenti sulle carceri

Data di trasmissione
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata

In studio e soprattutto attraverso le voci dei parenti delle persone detenute e di chi è uscito da poco, proviamo a ricostruire quello che sta avvenendo nelle carceri italiane e non solo. Durante la trasmissione tanti i saluti e i messaggi ai detenuti di Rebibbia.

Buon Ascolto! 

Coronavirus: cosa sta accadendo nelle carceri

Data di trasmissione
Durata
Durata
Durata

Dopo le proteste e le rivolte che hanno coinvolto buona parte delle carceri italiane, le risposte del governo sono state poche e insufficienti. Ne parliamo con un avvocato del foro di Roma, cercando di fare chiarezza su cosa dice il decreto Cura Italia del 17 marzo. In studio e in collegamento telefonico con una compagna della Rete Evasioni aggiornamenti su quanto sta avvenendo nelle carceri in questi giorni, in Italia e in altre parti del mondo.

Buon Ascolto! 

Coronavirus: sulle lotte in corso nelle carceri

Data di trasmissione
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata

I fatti che si sono susseguiti dopo la diffusione del coronavirus sono sotto gli occhi di tutti e tutte. In tutta Italia è esplosa la protesta nelle carceri. Dalle condizioni igieniche e sanitarie, da tempo al collasso, alle restrizioni dei colloqui giustificate dall'emergenza, un coro di rabbia si è levato da Nord a Sud: indulto e amnistia.

Nella trasmissione di oggi collegamenti con diverse città per ascoltare, dalla voce dei parenti e di chi ha sostenuto da fuori le rivolte, cosa sta accadendo e cosa accadrà nel breve periodo.

Ascoltate e diffondete!

Case, documenti e contratti di lavoro: la lotta delle persone del CARA di Borgo Mezzanone a Foggia

Data di trasmissione
Durata
Durata

Non ci fermano sgomberi né repressione! Case, documenti e contratti subito!

Oggi per le strade di Foggia ha avuto luogo un grande momento di lotta, che ha dimostrato a tutti, ancora una volta, con quanto coraggio e determinazione e i lavoratori e le lavoratrici delle campagne continuino a battersi per ottenere case normali, documenti, contratti di lavoro.
Le minacce e intimidazioni di ieri da parte delle forze di polizia nei confronti degli abitanti del CARA di Borgo Mezzanone, anziché intimorire chi vive lì, hanno dato vita ad una lungo pomeriggio di resistenza e all’organizzazione di una grande mobilitazione oggi: dalle 11 di questa mattina gli abitanti del CARA e della pista adiacente hanno tenuto un presidio davanti alla prefettura di Foggia, determinato e rumoroso, che ha urlato a gran voce la volontà di porre fine a qualsiasi forma di sgombero, e per chiedere ancora una volta permessi di soggiorno per tutti: la legge stesse infatti rende irregolari le persone costringendole all’impossibilità di accedere ad un affitto di casa o ad un contratto regolare di lavoro.
Una delegazione è stata ricevuta dal prefetto, che ha ribadito l’ impossibilità di impedire l’esecuzione dello sgombero, trattandosi un ordine che arriva dal governo. La settimana prossima quindi torneranno a sgomberare il CARA, offrendo come unica alternativa per chi ha il documento il trasferimento in non ben identificati centri di accoglienza (non si sa se della zona o sparsi nel territorio nazionale) e lasciando ovviamente per strada chi si trova ad essere irregolare. Il prefetto dichiara inoltre che in 5 mesi il governo darà il via ad una sanatoria che permetterà di ottenere permessi di soggiorno e sbloccare situazioni di stallo presso le questure: notizia da verificare ma che sarebbe il risultato certamente anche di anni di lotte e pressioni affinché tutti possano essere regolarizzati.
Ormai da un anno si susseguono sulla pista adiacente al CARA operazioni di sgombero di alcune aree, a volte anche molto estese, alle quali gli abitanti già in passato, come a luglio 2019, hanno risposto con una forte resistenza: operazioni fortemente volute dal governo Salvini ma che l’attuale governo prosegue volentieri con solerzia. L’accelerata sullo sgombero del CARA ha sicuramente a che vedere con l’arrivo dei finanziamenti per il Contratto Istituzionale di Sviluppo di capitanata, piano di finanziamenti straordinari destinati al “ rilancio e allo sviluppo della Capitanata”, di cui è responsabile l’amministrazione provinciale. E’ stato sottoscritto infatti il 19 febbraio l’atto che regolamenta le modalità di trasferimento e di gestione delle risorse finanziarie per gli interventi contemplati dal CIS Capitanata, tra cui vengono citati la “bonifica e valorizzazione del campo di Borgo Mezzanone, per un importo di 3.446.000 euro (https://www.immediato.net/…/partono-i-cantieri-del-cis-cap…/). Come un copione che si ripete in tante diverse zone di questo paese, valorizzare un territorio e favorirne lo sviluppo fa il pari con politiche di “pulizia” sociale ed etnica: i poveri, peggio ancora se neri, che vivono nelle baracche e sono spesso descritti, dalle istituzioni razziste e dai media a queste asserviti, fonte di “degrado”, devono essere assolutamente rimossi da quel luogo.
Questione ancor più grave se si pensa al momento di emergenza i cui ci troviamo: il governo, mentre attua misure da quarantena collettiva, ritiene che chi vive nei ghetti non solo non debba essere tutelato, ma possa essere esposto con violenza ed in maniera studiata ad una situazione di estrema vulnerabilità e precarietà, come quella di rimanere senza una casa. Questa situazione esporrebbe certamente tutta la popolazione del luogo al pericolo sanitario in corso: dovremmo esplodere di rabbia contro queste decisioni scellerate delle istituzioni, italiani e immigrati insieme, visto che è chiara la colpa di chi sta mettendo a repentaglio la salute di tutti!
Saremo come sempre al fianco di questi lavoratori e lavoratrici che da anni lottano e resistono. Non ci lasceremo intimorire né dai tentativi di sgombero né dalla repressione che ci vuole impedire di dare solidarietà, di stringerci, di continuare a lottare.
L’IMMIGRAZIONE NON E’UN CRIMINE! LA SOLIDARIETA’ NON E’ UN REATO!
CASE, DOCUMENTI E CONTRATTI PER TUTTI, SUBITO!

Combattere il carcere: convegno a Napoli 14-15 Marzo

Data di trasmissione
Durata
Durata
Durata
Durata
Durata

COMBATTERE IL CARCERE

NAPOLI 14-15 MARZO 2020

Un convegno contro il carcere.

Tra passato e presente, le lotte dentro, le lotte fuori, la prospettiva di distruggerlo.

Perché un convegno contro il carcere?

A reggere la presente organizzazione sociale è, in ultima analisi, la violenza. E il carcere ne è la sua concretizzazione materiale, una delle sue più empie epifanie e anche un suo utile strumento.
Esso non solo concentra in se la violenza quotidiana dello sfruttamento e del dominio (dal lavoro ai quartieri, dalla scuola alla medicina, dalla famiglia all’urbanistica) esacerbandola, ma condiziona e informa la società nel suo insieme, nei suoi spazi e nei suoi tempi.

Ma proprio il sistema carcere è quel sistema che più di altri è stato messo in crisi dalle lotte dentro e fuori, dimostrando la sua non riformabilità.

Se il carcere come istituzione totale è cambiato nel corso della storia, non è stato né per gentile concessione di chi lo amministra, né per le politiche di pretesi riformatori, bensì per le lotte. Se la vita quotidiana dei prigionieri si è “speggiorata” (dagli oggetti a disposizione dei reclusi ai rapporti con l’esterno) lo si deve alle rivolte, all’autorganizzazione, agli scontri, ai morti, alle evasioni tentate e riuscite negli anni Sessanta e Settanta.

E quando quel ciclo si è esaurito per le profonde trasformazioni avvenute dentro e fuori, la funzione del carcere come strumento di brutale repressione, di monito, di normalizzazione ha sfoderato tutti i suoi artigli. E padroni e carcerieri hanno usato l’arma più insidiosa della collaborazione, della premialità, della desolidarizzazione per creare cittadini obbedienti e disgregati.

Io speriamo che me la cavo” – questa sembra la condizione mentale e materiale del mondo dentro e fuori il carcere.

In questo contesto di frammentazione, tornano il terrore, i pestaggi senza risposta, l’impedimento di ogni contatto con l’esterno (attraverso il blocco della posta, innanzitutto). E crescono sia la psichiatrizzazione della “devianza” sia le morti per l’incuria sanitaria. Ma esplodono anche, improvvise, le rivolte, quel tempo accelerato della sommossa che spezza il tempo immobile del carcere ma che non riesce a produrre i tempi lunghi dell’autorganizzazione, della sedimentazione delle esperienze di lotta, del passaggio di testimone da carcere a carcere.

Del resto, per chi lotta, resiste, attacca o prova a non soggiacere, sono sempre più affinati il linciaggio pubblico, la criminalizzazione, la differenziazione (Alta Sorveglianza, 41 bis, 14 bis…). All’esterno, la solidarietà concreta raramente sfonda l’isolamento sociale e troppo spesso non è in grado di reagire alle rappresaglie dei carcerieri.

La repressione si affina e accumula un sistema eterogeneo di strumenti per estendersi nei territori, affiancando al carcere sempre più misure preventive. Le “emergenze” si rinnovano senza sosta e il diritto penale del nemico – che altri chiamano legislazione e carcere di guerra – compie inesorabilmente la sua marcia di guerra coloniale. In una parabola ascendente, torna in auge la mostrificazione sociale del nemico che ha le sue radici nel colonialismo storico a cui sono state sottoposte le popolazioni del Sud Italia, e grazie al quale le contraddizioni del sistema coloniale sono state abilmente nascoste e marginalità indotta e conflitto sociale sono stati ricondotti nella categoria della “criminalità organizzata”. In modo non molto diverso, con l’accusa di “estremismo islamico” oggi si mostrificano socialmente – e si disperdono nelle sezioni speciali delle carceri – centinaia di proletari arabi e africani.
Mentre il carcere diventa sempre più una discarica sociale per i poveri (in misura crescente stranieri), parte del fronte interno delle guerre neo-coloniali, dai campi di concentramento per i senza-documenti (CPR) arrivano forti segnali di rivolta.

Perché, allora, un convegno contro il carcere?

Perché si distrugge qualcosa che si conosce – e lo si conosce solo nei tentativi, anche piccoli e parziali, di distruggerlo.

Perché il carcere è sempre più l’ombra che accompagna le lotte e, più in generale, le vite di migliaia di esclusi e non serve a niente a nessuno ignorarne il peso e la funzione.

Perché è necessario, fuori dalla retorica, analizzare i cambiamenti nella composizione della popolazione carceraria, nel corpo prigioniero, nell’individualizzazione dei comportamenti, nelle rotture, nelle difficoltà per comprendere quali siano i meccanismi che lo regolano e lo rafforzano.

Perché esiste un ricco bagaglio di esperienze che, tra passato e presente, possono fornire spunti di solidarietà, di autorganizzazione, di azione.

Un convegno ambizioso, come si vede, per disseppellire e rinnovare la storia delle lotte contro il carcere, per collocare il carcere in una nuova prospettiva di lotta.

Da che parte stare: contro i lager di Stato

Data di trasmissione
Durata

La storia dei Centri di reclusione per immigrati (prima Cpt, poi Cie, ora Cpr) è una storia segnata da una conflittualità permanente di cui si sono fatti carico in prima persona i reclusi e che, di rivolta in rivolta, era giunta alcuni anni fa a compromettere seriamente la macchina della “detenzione amministrativa” e delle espulsioni. Negli ultimi mesi, mentre si procede al riallestimento di nuovi o rinnovati lager (“uno per ogni regione”, secondo i progetti che la Lega ha ereditato dal Pd), si sono verificate diverse esplosioni di rabbia in quei luoghi infami. Alcuni spunti di riflessione a partire da una chiacchierata con alcuni compagni e compagne di Torino.