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colonialismo

Sassari: contro l'ampliamento della fabbrica di morte RWM

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In Sardegna tra Domusnova e Iglesias, gli stabilimenti della Rwm, fabbrica di armi della multinazionale tedesca Rheinmetall sono stati contestati molte volte nei 1 anni che ci separano dall'apertura come fabbrica di morte, per le nocività che subiscono lavoratori e lavoratrici sia all'interno e chi lavora la terra nelle vicinanze. La protesta oggi porta anche il segno della lotta contro il genocidio nella Striscia di Gaza visto che le armi di questa multinazionale vengono usate da Israele.

L'Assemblea per la Palestina di Sassari oggi era nuovamente in piazza contro il genocidio ed anche per denunciare una novità ancora poco nota ossia la decisione del governo italiano e della giunta odde di ampliare lo stabilimento.

Prossimamente ci saranno altre manifestazioni, a partire da domani 29 novembre e poi 4 dicembre con un sit in sotto il Consiglio regionale a Cagliari, la partecipazione chiamato per il 12 dicembre da Cgil e un corteo sotto la fabbrica RWM il 13 dicembre. 

Ne parliamo con un compagno dell'Assemblea per la Palestina di Sassari

Cina, prestiti e dedollarizzazione

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Questa trasmissione vuole dimostrare che la Cina ha cambiato negli ultimi trenta anni le politiche monetarie del mondo, il modo in cui i soldi vengono gestiti e in cui vengono fatti i prestiti. Dopo aver ricapitolato accordi e istituzioni di Bretton Wood, nella prima parte descriviamo come la Cina è diventata prestatore per lo sviluppo di infrastrutture prendendo il posto, in molti casi, della Banca Mondiale; nella seconda parte come ancora la Cina è divenuta prestatore di ultima istanza soppiantando il Fondo Monetario Internazionale (Fmi).

Per costruire la trasmissione sono state usate tra le altre, le seguenti pubblicazioni gratuite:

China and Global Economic Order dell'Università di Cambridge

- How China collateralizes di AIDDATA

- China Bri Investment Report del Green Finance and Development Center di Shangai

Per l'autodeterminazione della popolazione palestinese

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Con un compagno dell'UDAP, commentiamo la risoluzione 2803/2025 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU che, in un'ottica di assoluta riaffermazione coloniale, "accoglie con favore" il cd. Piano globale di Pace di Trump, sostanzialmente volto a legittimare l'occupazione israeliana e a cancellare qualsiasi forma di autodeterminazione della popolazione palestinese. Parliamo poi del rapporto "Deaths of Palestinians in Israeli custody: enforced disappearances, systematic killings and cover-ups”, recentemente pubblicato dall'organizzazione israeliana Medici per i Diritti umani, che denuncia le terribili condizioni dei prigionieri palestinesi, rapiti dalle proprie case, dalle strade, dalle città e deportati nelle carceri israeliane, dove vengono torturati e uccisi, descrivendo un dispositivo di repressione che ha acquisito sempre maggiore violenza a partire dal 7 ottobre 2023. Concludiamo la corrispondenza riflettendo sulle conclusioni della Sesta Conferenza dell'Unione delle Comunità e Istituzioni palestinesi in Europa, che si è svolta lo scorso fine settimana a Madrid. Di seguito,ne  riportiamo integralmente il testo della Dichiarazione finale: 

"Madrid – 14-15 novembre 2025

La conferenza si è tenuta in un clima di elevata responsabilità nazionale, in concomitanza con l’aggressione in corso contro Gaza e l’escalation dei crimini di occupazione in Cisgiordania e a Gerusalemme. Ciò ha conferito ai suoi lavori un carattere militante e storico, riflettendo l’entità della sfida che il nostro popolo deve affrontare in patria e nella diaspora.

All’inizio dei lavori, la conferenza ha reso omaggio al popolo palestinese in patria e nella diaspora, al popolo tenace ed eroico di Gaza che affronta una guerra di sterminio sistematica e incessante da oltre due anni, alla Cisgiordania che resiste fermamente agli attacchi dei coloni e all’aggressione crescente, alla giudaizzazione e all’espansione degli insediamenti, a Gerusalemme che è soggetta a sistematici attacchi e alla profanazione dei suoi luoghi santi, e ai territori palestinesi occupati all’interno di Israele che affrontano continue politiche di repressione e discriminazione razziale. La conferenza ha inoltre reso omaggio alle comunità palestinesi in tutto il mondo, in particolare in Europa, che hanno continuato il loro lavoro in difesa dei diritti del popolo palestinese e della sua giusta causa, e nel sostegno al movimento di solidarietà internazionale.

La conferenza ha espresso il suo più profondo orgoglio e rispetto per i martiri del nostro popolo, che hanno irrigato il suolo della patria con il loro sangue puro, per gli eroici prigionieri nelle carceri dell’occupazione e per i feriti che hanno sopportato sofferenze in difesa della dignità della Palestina e del diritto del suo popolo al ritorno, alla libertà e all’indipendenza.

La conferenza ha reso omaggio ai movimenti di solidarietà in tutto il mondo, in particolare in Europa, che si sono schierati al fianco del popolo palestinese e hanno contribuito a contrastare la guerra di sterminio e i crimini dell’occupazione.

Durante i suoi dibattiti, la conferenza ha sottolineato la necessità che la comunità internazionale si impegni per porre fine all’occupazione del territorio palestinese occupato, che costituisce una flagrante violazione del diritto internazionale. Ciò include la fine della realtà imposta alla Striscia di Gaza e l’obbligo per la potenza occupante di adempiere alle proprie responsabilità legali ai sensi del diritto internazionale, tra cui la revoca dell’assedio imposto alla Striscia, l’apertura del valico di Rafah e il permesso di ingresso di tutti i beni di prima necessità senza restrizioni o condizioni.

La conferenza ha affermato che le operazioni di soccorso devono essere gestite esclusivamente dalle istituzioni palestinesi e dalle agenzie delle Nazioni Unite, e ha respinto qualsiasi interferenza da parte di istituzioni gestite dalle potenze occupanti o straniere.

L’Unione ha affermato il suo pieno sostegno all’unità nazionale palestinese e ha sottolineato che l’amministrazione della Striscia di Gaza e i suoi affari interni sono una questione puramente palestinese, senza alcuna tutela o interferenza esterna.

La conferenza ha riaffermato il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione, alla libertà e all’indipendenza.

La conferenza si è impegnata a contrastare la normalizzazione con l’occupazione e a contrastare l’ingerenza israeliana negli affari europei. Ha sottolineato la necessità di recidere tutti i legami politici, militari, economici e culturali con l’entità sionista, compresi i boicottaggi accademici ed economici.

I partecipanti alle sessioni della conferenza hanno discusso le modalità per sostenere la fermezza del popolo palestinese sulla propria terra, i meccanismi per affrontare i crimini dell’occupazione nei forum europei e per attivare il ruolo palestinese in Europa a livello politico, mediatico e legale.

La conferenza ha esaminato il lavoro dell’Unione tra le due conferenze e le precedenti risoluzioni. È stato eletto un nuovo Segretariato Generale dell’Unione, guidato dal Dott. Salah Zaqout. La conferenza ha approvato un programma d’azione nazionale che includeva compiti esecutivi per la fase successiva, volti a rafforzare la presenza palestinese in Europa e a sostenere la lotta del nostro popolo per la libertà e il ritorno. Ha adottato una strategia d’azione per la fase successiva e ha ribadito quanto segue:

Affrontare il genocidio nella Striscia di Gaza e le sue ripercussioni con tutti i mezzi di lotta.

Impegno a contrastare la normalizzazione con l’occupazione e a contrastare l’ingerenza israeliana negli affari europei.

Necessità di proseguire gli sforzi per recidere tutti i legami militari e politici con l’entità sionista e imporre un boicottaggio economico, culturale e accademico dell’occupazione sionista.

Riaffermando il proprio impegno a proseguire la lotta nelle arene europee in difesa della giustizia e della libertà.

Espandere la propria presenza e influenza nel sostenere la fermezza del nostro popolo.

Intensificare gli sforzi per chiamare le autorità di occupazione sionista a rispondere delle proprie azioni a tutti i livelli politici e militari, garantendo giustizia alle vittime del nostro popolo palestinese e ponendo fine alle sofferenze del nostro popolo a causa del genocidio.

Gloria ai martiri, libertà ai prigionieri e una pronta guarigione per i feriti… e il diritto al ritorno è inalienabile.

Unione delle Comunità e Istituzioni Palestinesi in Europa

Madrid – 16 novembre 2025"

Good morning, Khabarovsk

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Nell'agosto del 1991 Tiziano Terzani sta viaggiando sul fiume Amur in Siberia quando lo raggiunge la notizia del golpe contro Gorbachev. Decide di convergere su Mosca facendo una lunga deviazione in Asia Centrale e Caucaso che lo porterà a essere uno degli unici giornalisti stranieri a osservare lo sviluppo di questi eventi nella periferia orientale dell'Unione Sovietica. Dal questo viaggio nasce quello che è IL memoir di viaggi in Asia Centrale: 'Buonanotte Signor Lenin'. Oggi analizziamo le maniere più infide in cui lo sguardo colonialista italiano fa capolino anche nei lavori di autori benintenzionati. Una puntata che non poteva essere breve.

Scaletta musicale:

  • Jarl Flamar - Medusa
  • DSL System - Tashkent Groove
  • Gaia - Vokaliz

La sigla è Bitch I'm Akyn di Subsonic Vodoo.

Ritorno a Gaza

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E' uscito per Edizioni Q "Ritorno a Gaza" scritti di donne italo-palestinesi sul genocidio, che attraverso la riflessione personale propone una lettura culturale e politica della violenza genocidaria sionista e della storica resistenza palestinese al progetto coloniale. Con i contributi di Mjriam Abu Samra (curatrice), Shaden Ghazal, Rania Hammad, Sabrin Hasbun, Laila Hassan, Samira jarrar, Sara Rawash, Noor Shihade, Tamara Taher, Widad Tamimi.

Il ricavato del libro sara' devoluto a GAZZELLA ONLUS.

Ne parliamo dai microfoni della radio con Mjriam Abu Samra ed a seguire riportiamo la sua introduzione.

Questa raccolta di brevi articoli, tutti scritti al femminile, nasce in un momento storico in cui la voce delle donne palestinesi s'impone come atto di resistenza contro le narrazioni egemoniche che hanno per tanto tempo distorto, frammentato e strumentalizzato la più generale lotta di liberazione palestinese. Mai come adesso il racconto personale e politico delle seconde generazioni di donne palestinesi in Italia è importante sia per capire l'impatto e la portata del genocidio a Gaza, sia per deco- struire le strutture di potere coloniali che continuano a modellare il discorso pubblico occidentale. Pensato inizialmente come un instant-book per offrire nell'immediato utili chiavi di lettura che non solo fossero capaci di favorire nella società italiana un'ottica e un impegno critici nel momento in cui questa entra in rapporto con la drammatica violenza sionista sui palestinesi a Gaza e pensato anche perchè fosse utile a delimitare il ruolo complice di approcci discorsivi e narrativi limitati e limitanti nel contesto europeo, il processo di scrittura di questo libro si è invece rivelato più lungo del previsto. La gran parte dei contributi raccolti in questo volume sono stati preparati oltre un anno fa; tuttavia, io stessa ho impiegato mesi a completare la mia parte di scrittura, riflettendo sulle testimonianze raccolte, cercando le parole giuste per introdurre lavori che già di per sé esprimevano con forza la profondità di questa fase storica. Per oltre un anno, mi sono ritrovata a fissare una pagina bianca chiedendomi cosa potesse aggiungere questa Introduzione, cosa potessi dire che non fosse già stato spiegato, gridato, denunciato nelle pagine che le autrici di questi capitoli hanno saputo riempire prima di me. Per un anno intero, ogni giorno, ho provato frustrazione nel non riuscire a trovare la forza di parlare, come invece hanno saputo fare loro, per contribuire a una visione che non fosse stereotipata né che si limitasse a un'analisi emotiva o geopolitica della lotta palestinese, ma che restituisse la sua complessità umana, oltre che politica. Cosa si può ancora dire che non sia già stato detto? Cosa si deve ancora dire che non sia già una verità manifesta, evidente in ogni immagine trasmessa attraverso la televisione, in ogni testimonianza diffusa sui social media? A cosa servono le parole, se il mondo, di fronte all'evidenza, si ostina a non voler sentire? Quanto ancora dobbiamo scrivere, parlare, raccontare, spiegare modellando il nostro linguaggio in modo che risulti più accettabile, meno fastidioso, più comprensibile per chi ascolta o legge, piuttosto che per chi quella situazione la vive, quando siamo noi palestinesi a denunciare l'oppressione di cui il mondo è complice? A cosa serve continuare a rivendicare voce e spazio, quando tutti si affannano a parlare di noi, per noi? Non rischiamo di essere ancora una volta strumentalizzate, di diventare l'ennesimo volume di palestinesi relegato alle note a pié di pagina di testi scritti con la pretesa di capirci, spiegarci, raccontarci al meglio? L'ennesima fase di violenza coloniale rappresentata dal genocidio dei palestinesi a Gaza ha imposto, con forza, una riflessione su queste questioni. Ha richiesto una riesamina non solo delle dinamiche geopolitiche a livello mondiale, ma anche delle critiche epistemologiche che, sebbene sembrassero ormai consolidate nel dibattito accademico con la denuncia pluridecennale dei limiti della narrazione occidentale nei confronti dell'altro, oggi si rivelano ancora deboli, incapaci di tradursi in pratiche decoloniali concrete. Ho interpretato la mia difficoltà a scrivere come un'inconscia ribellione alla produzione del sapere  letteraria, informativa e discorsiva  che ha caratterizzato l'approccio, non solo mediatico ma anche accademico, alla Palestina in quest'ultimo anno. Avrei preferito il silenzio. E il silenzio si è imposto su di me. Ma il silenzio non deve diventare resa. Scrivo nel marzo 2025. Solo ora sono riuscita a trovare la forza di abbozzare questa Introduzione, a oltre un anno da quel 7 ottobre, nel mezzo di una nuova fase segnata da una recrudescenza della violenza coloniale sionista a Gaza, ma anche in altri luoghi, sia della Palestina, sia dei paesi limitrofi. Gli eventi, a partire dall'ottobre 2024, a un anno dall'inizio del genocidio, hanno portato nuovi interrogativi, nuove preoccupazioni, nuove analisi geopolitiche, che ci hanno disorientati. I continui attacchi israeliani al Libano nonostante i ripetuti cessate il fuoco; la caduta del regime di Assad e gli attacchi israeliani in Siria; l'attacco americano allo Yemen; il riposizionamento degli attori internazionali e regionali; l'illusione di un cessate il fuoco a Gaza che non ha mai retto; i massacri e le espulsioni forzate estese anche alla Cisgiordania, che rendono le pratiche genocidarie sioniste sempre più tangibili; i volgari piani di espulsione della popolazione palestinese da tutta la Palestina, nella più arrogante esplicitazione della supremazia coloniale bianca e delle pratiche di annichilimento e cancellazione del popolo indigeno, in un'ulteriore escalation della nakba: tutto questo si è manifestato con una violenza dirompente che in confronto rende una pratica gentile le atrocità del colonialismo dei secoli passati. L'incredulità di fronte alla fredda implementazione dell'oppressione coloniale paralizza. La consapevolezza che il sistema globale specula e si rafforza attraverso ogni tipo di violenza imposta ai palestinesi  materiale, economica, discorsiva e geografica è drammaticamente concreta. E sembra imporsi anche attraverso la forza della rassegnazione, indicando che lo sfruttamento e il dominio coloniale continueranno a prevalere e che la struttura dell'assetto internazionale non si emanciperà mai dalle dinamiche di oppressione. Ed è invece proprio di fronte a ciò che appare come un'inevitabile resa alla forza della violenza che la parola ritrova il suo significato. Scrivere ora non è una scelta, ma un atto necessario. Che mi si impone. Al di sopra del silenzio. La scrittura diventa necessaria per affermare, nero su bianco, che al di là delle molteplici analisi sostenute dal realismo politico, l'unica certezza che perdura è l'ineluttabilità della resistenza anticoloniale. Una resistenza che la storia ci ripresenta ciclicamente, nella costanza della centenaria resilienza palestinese, in tutte le sue geografie e oltre i suoi confini; nella dignità delle migliaia di uomini e donne prigionieri di Israele che rivendicano la loro dedizione al progetto di liberazione, nonostante le torture e le umiliazioni; nell'orgogliosa rivendicazione identitaria dei palestinesi del '48; nelle generazioni in esilio che continuano a far sentire la propria voce sfidando un sistema oppressivo capace di mutare la forma, ma non la sostanza. Oggi, più di un anno fa, è cruciale una riflessione approfondita su quanto sta accadendo e sul modo in cui il progetto di liberazione è vissuto, affrontato e analizzato dalle donne palestinesi di seconda generazione in Italia. E questo non solo per capire la condizione palestinese, ma anche per interrogarsi sul modo in cui tale condizione è percepita dal contesto italiano. Dall'ottobre 2023, il popolo palestinese si è trovato a combattere non solo la violenza genocidaria dello Stato sionista, ma anche l'apparato ideologico e propagandistico che ne ha giustificato l'operato. La retorica orientalista, da sempre strumento di dominio coloniale, ha assunto nuove forme per giustificare il massacro, diffondendosi non solo tra i circoli sionisti, ma permeando l'intero discorso occidentale. Come in ogni dinamica di oppressione coloniale, si è assistito all'uso strumentale della solidarietà di genere e del femminismo liberale finalizzati a minare il diritto alla resistenza palestinese. Le donne palestinesi, consapevoli di tale manipolazione, hanno rivendicato il loro spazio, sfidando la disumanizzazione dei palestinesi e denunciando l'ipocrisia del femminismo liberale, che ignora la violenza sessuale e di genere esercitata dal colonialismo sionista e strumentalizza la retorica della solidarietà per appiattire i rapporti di potere tra colonizzati e colonizzatori. Esse hanno offerto un'alternativa epistemologica che pone al centro la voce delle donne nella loro esperienza di resilienza nella diaspora. Resilienza e resistenza che devono confrontarsi con la violenza materiale ed ontologica di quello che oserei definire totocidio attuato contro i palestinesi. La violenza sionista non si limita a una singola dimensione della distruzione, ma ha un obiettivo sistematico e totale: rendere impossibile la vita ed esistenza dei palestinesi in Palestina negando ogni possibilità di futuro tramite il genocidio (eliminazione fisica), l'ecocidio (distruzione ambientale), lo scolasticidio (cancellazione dell'educazione e della cultura), il genocidio riproduttivo (annientamento della capacità di riproduzione), lo sradicamento territoriale, la cancellazione della memoria e dei legami storici, e anche l'ontocidio, la negazione dell'identità, dell'essenza ontologica del popolo. Questa raccolta di testimonianze è quindi un atto di riappropriazione della narrazione palestinese, in tutte le dimensioni in cui essa è minacciata, e offre una visione alternativa del mondo, fondata su una lotta che è al tempo stesso nazionale e globale, materiale ed epistemologica. E' un documento della resistenza palestinese nella diaspora che rivendica il proprio ruolo nel percorso di liberazione. E' la testimonianza di una dimensione emotiva che si fa politica, della lotta che nasce dall'esperienza intima della storia che è personale ma anche e soprattutto collettiva. Questo libro non vuole essere solo il racconto di un vissuto che si manifesta e si traduce in modi diversi, ma interconnessi  nelle varie esperienze individuali. Vuole sottolineare invece la forza dirompente del collettivo che si impone sul personale, che rigetta le categorie di tempo, di subalternità e persino di trauma  così come concepito nell'interpretazione neoliberale è per dare spazio alla visione comune di futuro, di impegno condiviso nella rielaborazione di strategie di liberazione, epistemologica e politica. Qui si intrecciano passato e futuro, si sfidano le frammentazioni spaziali e politiche imposte dal colonialismo, si costruisce un'identità politica che supera l'esilio e si radica nella memoria collettiva e nella lotta quotidiana. E proprio nel riaffermare tale identità che questo libro si propone non solo come spunto interpretativo per il pubblico dei lettori italiani, ma ambisce a essere uno spazio di confronto tra palestinesi stessi, un contributo al dibattito e alla riflessione costruttiva all'interno della società palestinese. La scrittura qui non è, in fondo, solo un atto di narrazione, ma è anche un'espressione di partecipazione attiva, di presa di parola necessaria per pensare collettivamente il futuro della Palestina. Rivendicare il diritto alla voce significa anche ribadire la centralità della diaspora nel progetto di liberazione, ovvero la piena appartenenza alla sfera politica palestinese. Questo libro si fa quindi strumento di elaborazione critica, spazio di articolazione di un pensiero politico autonomo che, nel rifiutare la marginalità imposta, riafferma la centralità della soggettività palestinese nella costruzione delle proprie strategie di liberazione. In queste pagine troverete la consapevolezza di un'identità complessa, che si confronta e si scontra con il potere egemonico del colonialismo, che si nutre e si arricchisce nelle contraddizioni dell'esilio e della lontananza, che si fortifica nel significato politico di una storia non vissuta in prima persona, ma interiorizzata attraverso il racconto, la testimonianza, la trasmissione intergenerazionale. Qui infine il lettore troverà una memoria che vuole essere lucidità politica, una bussola per attraversare il trauma del presente e individuare un futuro di decolonizzazione, sia in Palestina, sia nella narrazione che della Palestina si fa in Italia. E' la rivendicazione della rabbia come motore di giustizia, dignità e rappresentazione autonoma, lontana dalle imposizioni di un discorso egemonico che ha troppo a lungo determinato chi siamo e come dovremmo essere raccontati. In queste pagine troverete la resistenza che si rinnova, la determinazione delle donne palestinesi della diaspora come voce della lotta di liberazione che si riappropria della propria storia e del proprio destino.

Il conflitto tra Cambogia e Thailandia

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Da pochi giorni scaramucce militari che da mesi impegnavano eserciti della he della Cambogia sul confine sono diventate un vero e proprio conflitto armato. I media occidentali spiegano il tutto con la volontà di entrambe le parte di avere nei propri confini il tempio di Preah Vihear. Cercando di approfondire la questione, possiamo vedere che, come spesso succede, le cause profonde risalgono ai confini artificiali segnati dalle potenze coloniali europee, in questo caso la Francia, inoltre il conflitto è da inquadrare nella gestione del potere di due famiglie che di fatto dominano i due paesi da decenni, la famiglia Hun in Cambogia e la famiglia Shinawatra in Thailandia che è in competizione con i militari.

Oggi 28 luglio a Kuala Lumpur il primo colloquio di pace

Da Roma a Bangkok. Approfondimenti sull'Asia - La geopolitica dei Passport Bros

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In questa puntata approfondiamo il tema dei Passport Bros, giovani uomini occidentali che si trasferiscono in altri paesi, in particolare del sud-est asiatico, per cercare donne che considerano più femminili, al fine di costruire relazioni a lungo termine e crearsi una famiglia. Arriviamo alla conclusione che si tratta di un fenomeno basato su una visione razzista e coloniale, che è in grado di rafforzare il sostegno alle politiche delle destre, in particolare di Trump, al di fuori dell’ovest globale.

Occhio ai caratteri!

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Puntata dedicata in gran parte al tema dell'internazionalizzazione dei nomi di dominio. Infatti da diversi anni questi non sono più limitati ai caratteri dell'alfabeto inglese, ma supportano anche caratteri di altre lingue. Il dibattito è abbastanza aperto, e vede contrapposte delle esigenze tecniche di semplicità e sicurezza alle esigenze di persone non inglesi di poter scrivere nella propria lingua.

Passiamo poi alle notiziole: dall'acqua al fluoro passando dai licenziamenti massivi del DOGE e dai suoi piani di automatizzazione. Si allarga l'uso del DNA nelle indagini di polizia. Meta si rivendica l'uso di Torrent, sostenendo che scroccare non è reato. Nonostante le censure e le multe e le minaccie di licenziamento da parte dei grandi studi legali, una ricerca mostra che la maggior parte degli avvocati americani usa l'Intelligenza Artificiale per il suo lavoro.

Ci ha lasciato Gavino Puggioni

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Ci ha lasciato il nostro amico e compagno Gavino Puggioni. Sardo di nascita ma comasco di adozione, Gavino è stato un appassionato studioso e ricercatore di storia, in particolare per quanto riguarda le azioni delle formazioni partigiane in alta Italia e le imprese coloniali italiane.

Insieme a noi, per ricordarlo, Matteo Dominioni

Petrolio

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Quanta parte di noi è petrolio? Tanta. Dai vestiti ai cibi che consumiamo. ENI, eccellenza del colonialismo italiano, con il suo fatturato da 154 miliardi di dollari nel 2023 è stata portata a processo da Greenpeace e REcommon. Nel frattempo in Sud Italia si mobilitano contro ENI, Shell e Total che devastano l'ambiente lucano e i rapporti fra gli abitanti della Val d'Agri. Intervistiamo Re:Common e un compagno di Ape Salerno sui processi a Greenpeace e Re:Common e sul Petrolgate in Basilicata e riprendiamo il materiale di Mimmo Nardozza, film maker independente che cura il progetto Maldagri con il quale abbiamo parlato.

Alcuni link per approfondire:

  • Sul petrolio in Basilicata

https://covacontro.org/calvello-e-lincidente-eni-quando-le-bugie-tentano-di-alterare-la-realta-v-1-1/

https://napolimonitor.it/bye-bye-transizione-ecologica-date-e-numeri-dellestrazione-di-petrolio-in-basilicata/

https://inganno.recommon.org/media-library/

  • Sul petrolio lucano inviato a Israele

https://www.recommon.org/eni-deve-annullare-accordo-con-delek-societa-complice-del-genocidio-in-palestina/

https://www.oilchange.org/wp-content/uploads/2024/08/behind-the-barrel-august-2024-v3.pdf

  • Sulla sentenza d’appello della Corte dell’Aja che ha svincolato Shell dall’obbligo di ridurre subito e drasticamente le emissioni fossili

https://ilmanifesto.it/contrordine-la-shell-non-e-uno-stato-e-non-deve-ridurre-i-suoi-gas-serra

https://ilmanifesto.it/unaria-shellerata