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USA

Trump scaricato: la censura che non è di Stato

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Durata 1h 42m 9s
Durata 22m 30s
Durata 35m 1s
Durata 20m 37s

Dopo il tentato colpo di stato, Trump viene bannato da molti social network e da varie aziende, i contenuti che invocano la frode elettorale bloccati da Facebook. È in questo modo, e non attraverso ordinanze federali, che Trump sta venendo estromesso dalla scena politica statunitense. Senza in nessun modo difendere Trump, dovremmo tuttavia chiederci come mai discorsi complottisti, autoritari e oppressivi siano così floridi sui social network; una riflessione che potrebbe portarci a scoprire che la censura non è il modo più efficace di affrontare il problema, e che forse è la forma della comunicazione online odierna ad essere problematica.

Dopo ciò, Trump si sposta su Parler, social network assai amichevole con gli utenti di estrema destra. Probabilmente il più usato dai suoi supporter che hanno tentato il coup kux klan. Questo ha scatenato molte reazioni contro Parler: l'app di Parler è stata eliminata dall'app store di Apple e dall'omologo di Google; Amazon ha revocato i servizi di cui Parler si avvaleva attraverso AWS; Twilio gli ha revocato l'account che utilizzavano per verificare gli indirizzi email degli iscritti. Ancora più importante, vari hacker attaccano Parler e riescono ad ottenere un dump piuttosto corposo contenente tutti i dati della piattaforma. Si scoprono così informazioni personali sugli iscritti, i luoghi da cui parlavano, si possono recuperare anche messaggi che gli utenti avevano apparentemente cancellato. Se vuoi approfondire l'argomento anche nei dettagli tecnici, ascolta il podcast di StakkaStakka su RadioBlackout. Noi facciamo invece delle riflessioni su come un servizio possa (o no) essere soggetto alla censura da parte delle aziende a cui si affida, più che a quella di Stato.

Cambiando argomento, parliamo di WhatsApp, che aggiorna i suoi termini di servizio con una mossa comunicativa poco riuscita. La verità è che non cambia moltissimo, che WhatsApp ha alcune pratiche antipatiche, ma che le aveva anche prima.

This is America

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Durata 4m 11s

Ad una settimana dalla manifestazione pro-Trump che si e’ conclusa con la violenta irruzione all’interno del Congresso, l’America - soprattutto quella bianca -  e’ ancora sotto shock. Incapace di guardarsi allo specchio, il paese cerca conforto nelle parole di Biden, “This is not America.”

Sfortunatamente, quello che e’ successo il 6 Gennaio a Washington DC e’ semplicemente il manifestarsi di alcune tendenze che da sempre fanno parte del DNA americano. Basta pensare che al termine di quell’irruzione, la bandiera sudista aveva sostituito la bandiera americana al congresso, e che un cappio e una croce erano stati issati sul prato appena fuori dal palazzo per capire che le radici di quella violenza sono molto profonde.

Non e’ un caso infatti che le scene viste mercoledi scorso sembrano uscite da un romanzo che sin dalla fine degli anni 70 ha inspirato la destra radicale americana. Pubblicato nel 1978 dal leader del gruppo neo-nazista the National Alliance e citato pochi giorni fa da alcuni esponenti dei Proud Boys durante un’intervista, “The Turner Diaries” racconta proprio di un attacco portato al congresso americano da parte di un’organizzazione terroristica che si conclude con l’impiccagione di alcuni parlamentari e giornalisti. “The day of the Rope” l’autore lo chiama.

La pubblicazione di quel romanzo segna un importanto cambiamento nella destra radicale americana che da quel momento in poi non si concentra più solamente sulla difesa di una società americana ancora profondamente razzista, ma dichiara apertamente guerra al governo federale. Quegli sono gli anni in cui nascono le milizie, quelle stesse milizie che in questi quattro anni sempre piu’ frequentemente hanno cominciato a sfilare insieme ai sostenitori di Trump e i cui membri hanno fatto irruzione al congresso in Michigan in Aprile e al congresso americano la scorsa settimana. Quegli sono gli anni in cui la destra ha grande successo nel reclutare membri dell’esercito e della polizia. Quegli stessi militari e poliziotti che mercoledì - se erano in servizio -hanno facilitato l’irruzione - e se erano in borghese - hanno partecipato all’azione.

Quegli sono gli anni in cui l’anti-comunismo e il razzismo delle destra radicale vengono assecondati dal Partito Repubblicano guidato da Ronald Reagan, sempre pronto a difendere l’indipendenza degli stati (tradotto, il diritto degli stati di difendere le loro istituzioni razziste) e ad indebolire il governo federale (“the federal government is not the solution, it’s the problem.” come disse in un famoso discorso).

 I paralleli tra la destra di quegli anni e quella vista in azione mercoledì sono evidenti e per questo motivo estremamente preoccupanti. Quella destra distrusse un palazzo federale in Oklahoma City uccidendo 168 persone. La destra di Trump - per ora- e’ riuscita ad entrare con la forza al Congresso e ha lasciato dietro di sé due ordigni inesplosi davanti alle sedi dei due maggiori partiti. L’FBI ha gia’ annunciato che diverse milizie hanno indetto proteste nelle capitali di almeno 50 stati da qui fino al 20 gennaio, giorno in cui Biden diventerà ufficialmente il 46simo presidente degli Stati Uniti.

Dal giorno delle elezioni, l’estrema destra e’ scesa in piazza quasi ogni weekend nelle principali città americane, lasciando dietro di sé una scia di accoltellamenti e violenti pestaggi. La repressione poliziesca che ha colpito il movimento dopo le rivolte della scorsa estate e la pandemia, ha notevolmente indebolito una possibile risposta antifascista. Tanto e’ vero, che dopo aver letto alcune delle chat della destra in preparazione alla manifestazione del 6 gennaio, il movimento ha deciso di non scendere in piazza ma di concentrarsi sulla difesa delle comunità più a rischio.

Allo stesso tempo la risposta del partito democratico si sta inutilmente concentrando esclusivamente su Trump senza capire che questa destra e’ piu’ grande e pericolosa di Trump. Il partito repubblicano si e’ spostato cosi a destra che ormai e’ piu’ facile contare i repubblicani con non hanno legami con la destra radicale. Basta fare una ricerca online per trovare le foto dei maggiori esponenti del partito in posa con membri dei Proud Boys e altre organizzazioni di destra. La polizia e’ ormai irrimediabilmente infiltrata da gang neo-naziste.

Il partito democratico si e’ inoltre ormai convinto che le elezioni si vincono solamente se si corteggia il centro, favorendo la marginalizzazione e demonizzazione dell’ala piu’ progressista del partito. 

E’ difficile capire come la rimozione di Trump e gli inutili inviti lanciati da Biden ad una futura collaborazione con i Repubblicani possano risolvere tutto questo. L’unica speranza, come spesso accade nella storia degli Stati Uniti, e’ rappresentata delle comunita’ di colore che a differenza della società bianca americana conoscono il vero volto degli Stati Uniti. La loro abilità di organizzarsi, difendersi e resistere rappresenta l’unica vera opposizione a questa destra. 

Occupy Capitol hill

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Durata 18m 59s

I barbari nel tempio della democrazia? A 48 ore dall'irruzione dei militanti trumpiani nella sede del Congresso di Washington proviamo a fare il punto della situazione insieme a Mattia Diletti, ricercatore in scienza della politica alla Sapienza

I 129 referendum negli USA

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Durata 10m 10s

A meno di una settimana dal voto i media si stanno ovviamente concentrando sugli ultimi sondaggi pubblicati che riguardano l’elezione del prossimo presidente e la futura composizione del Congresso Americano, con particolare attenzione per quello che riguarda il Senato. Ma in queste elezioni in molti stati e città, come spesso accade, si voteranno anche numerosi referendum (129 per la precisione) che avranno ripercussioni importanti a livello locale.

Cominciamo da uno dei più importanti, si chiama App-Based Drivers as Contractors and Labor Policies Initiative, piu’ comunemente chiamata Proposition 22, e si voterà in California. Dietro a questo referendum ci sono Uber, Lyft e Instacart. Una coalizione che ha speso quasi 200 milioni di dollari per tentare di farla passare.

Una vittoria del si annullerebbe la legge che la California ha votato nel 2019 secondo la quale Uber e Lyft avrebbero dovuto riclassificare tutti i freelancers che guidano per loro come veri e propri dipendenti riconoscendo loro straordinari, giorni di malattia e altri benefici. Una legge che, secondo una recente ricerca pubblicata dall'Università di Berkeley, aumenterebbe lo stipendio minimo di ogni autista Uber o Lyft di circa il 30%.

Proposition 22 cerca di confondere gli elettori ed elettrici includendo alcuni dei benefici e soprattutto il linguaggio contenuti nella legge approvata lo scorso anno senza però veramente migliorare le condizioni dei lavoratori e lavoratrici. Inoltre sia Uber che Lyft hanno cercato di spaventare gli utenti delle loro app sostenendo che una vittoria del no li costringerebbe a ridurre il numero degli autisti disponibili del 75% e aumentare i costi delle corse fino al 110%. Previsioni smentite da numerosi studi che hanno preso in considerazione gli effetti che una legge simile ha avuto a New York. Le due compagnie hanno anche minacciato di lasciare la California in caso di sconfitta. Una minaccia abbastanza vuota se si considera che lo stato della California costituisce un quarto dell’intero mercato di Lyft e quasi il 10% di quello di Uber.

 

Ma c’e’ un altro elemento che rende questo referendum importante. In California, una legge approvata attraverso un referendum può essere modificata solamente attraverso un altro referendum. Per questo motivo, i testi di questi referendum spesso includono delle indicazioni sulla maggioranza necessaria per cambiare il testo della legge senza dover tornare alle urne. Di solito si richiede una maggioranza dei due terzi dei voti, ma nel caso della Proposition 22 il testo parla di una maggioranza dei sette ottavi dei voti. Una maggioranza che neanche nel congresso della California, spesso dominato dal partito Democratico, può essere raggiunta.

Ecco che allora il voto su questo quesito rappresenta non solo un importante precedente per tutti gli altri stati che stanno pensando di regolamentare la gig economy, ma anche una presa di posizione rispetto a quello che a tutti gli effetti sembra essere una legge a pagamento. In fondo, la legge approvata lo scorso anno e’ stata votata da un congresso votato dei Californiani mentre Proposition 22 rappresenta una misura voluta da alcune aziende che poi hanno investito un’incredibile quantità di soldi per farla eventualmente approvare, con la sicurezza che una volta approvata sarebbe impossibile da abrogare.

Sempre in California si voterà anche la possibile abrogazione del sistema delle cauzioni per il rilascio di qualsiasi persona arrestata in attesa di processo. Si tratta della Proposition 25. Da decenni ormai, soprattutto le comunità’ di colore, hanno criticato l’intrinseca natura razzista delle cauzioni. Infatti spesso giudici razzisti stabiliscono cauzioni elevate costringendo le persone arrestate a scegliere una di queste tre opzioni. Opzione numero uno, decidono di non pagare la cauzione e sono costrette a restare in prigione in attesa del processo. Un’attesa che spesso si traduce in mesi e mesi di carcere prima ancora di essere eventualmente giudicati colpevoli, e la perdita di lavoro e contatti con la famiglia. Secondo uno studio pubblicato l’anno scorso da Prison Policy Initiative, almeno il 75% delle persone incarcerate nelle prigioni locali e’ in attesa di giudizio. Tradotto in numeri, vuol dire che ogni giorno nelle carceri americane ci sono quasi 500 mila persone rinchiusi in delle celle perché non possono pagare la cauzione.

Opzione numero due, non potendo pagare l’elevata cauzione decidono di dichiararsi colpevoli (anche quando in realtà sono innocenti) pur di uscire dal carcere. Le conseguenze di questa scelta e’ che spesso avere la fedina penale sporca ha delle ripercussioni molto profonde sulla vita di queste persone che spesso perdono il diritto al voto e l’accesso a numerose opportunità lavorative. Opzione numero tre, per racimolare i soldi necessari a pagare la cauzione, queste persone sono costrette a rivolgersi a delle agenzie che pagano la cauzione al posto loro ma che in cambio richiedono il pagamento del servizio (un premium) che spesso si aggira intorno al 10% della cauzione. E’ importante sottolineare che la cauzione per legge viene restituita al momento in cui la persona si presenta alla prima udienza, mentre il costo aggiuntivo imposto da queste agenzie no. Inoltre, nel caso della California, non esiste nessuna limitazione sul possibile ammontare del premium richiesto dalla agenzie.

Questo referendum mira a sostituire il sistema della cauzione con un sistema che determina con quale probabilità la persona arrestata si presenterà al processo. Le persone che molto probabilmente si presenteranno all’udienza e non rappresentano una minaccia per la società’ verranno immediatamente rilasciate, mentre quelle che molto probabilmente non si presenteranno al processo o hanno commesso atti violenti saranno trattenute in carcere. Per tutte quelle persone che invece sono nel mezzo, le diverse contee decideranno autonomamente come comportarsi. Secondo una recente analisi, se il referendum passasse l’85% delle persone arrestate in San Francisco verrebbe rilasciata entro 24 ore.

Intorno a questo quesito ci sono state numerose discussioni perché se da una parte e’ assolutamente innegabile la natura razzista del sistema delle cauzioni, e’ altrettanto vero che l’alternativa proposta continua a dare un'incredibile discrezionalità al giudice. A questo bisogna aggiungere che nel determinare a quale gruppo la persona arrestata appartiene (low, medium o high risk) il giudice si farà aiutare da un algoritmo che prenderà in considerazione diversi fattori come per esempio la fedina penale della persona arrestata, il livello di criminalità nel quartiere dove la persona vive e le condizioni economiche dell’arrestato e della sua famiglia, tutti fattori che negli Stati Uniti sono strettamente legati alla storia razzista di questo paese. Infine, numerosi attivisti e attiviste hanno espresso il timore che questo nuovo sistema favorirà la diffusione di forme di detenzione alternative come per esempio l’utilizzo di braccialetti elettronici o gli arresti domiciliari con il risultato di espandere il carcere ben oltre le mura di cinta fin dentro le case delle comunità povere a di colore. 

Nelle scorse corrispondenze abbiamo sottolineato come la campagna “Defund the Police” abbia perso nelle ultime settimane un po’ di entusiasmo, ma e’ importante sottolineare che in queste elezioni ci sono ben 20 referendum che in un modo o nell’altro sono legati alle proteste seguite la morte di George Floyd. In alcune città, per esempio, si voterà la creazione di organismi di controllo autonome dalle forze di polizia che avranno il compito di valutare il comportamento dei poliziotti e, in determinate situazioni, avranno anche il potere di licenziarli.Nella città’ di Akron, in Ohio, invece, si voterà’ per decidere l'obbligatorietà di rendere pubbliche le immagini catturate dalle body camera dei poliziotti coinvolti in sparatorie e altri incidenti del genere. In San Francisco, infine, si voterà per eliminare dallo statuto della citta’ la sezione che stabilisce il numero minimo di poliziotti che la città deve avere. Questo referendum e’ importante non tanto per l'eliminazione di questa quota - che da anni ormai non viene più considerata - quanto piuttosto per la creazione di una commissione che ogni due anni sarà chiamata ad esprimersi sulla necessità o meno di assumere nuovi poliziotti. Ora, se e’ vero che molti attivisti e attiviste vedono nel passaggio di questo referendum la possibilità’ di ridurre il numero di poliziotti nella città, il capo della polizia di San Francisco ha invece accolto questa proposta esattamente per la ragione opposta. A seconda di come la commissione sarà composta, non è infatti da escludere che si esprima a favore di un allargamento delle forze dell’ordine. Da notare, infine, che un referendum simile era stato proposto anche dal consiglio della città di Minneapolis (città dove George Floyd e’ stato ucciso), per poi decidere all’ultimo minuto di ritirare la proposta.

Come spesso succede in occasione di votazioni nazionali anche questa volta in alcuni stati si deciderà sulla legalizzazione della marijuana. In quattro stati si voterà per la legalizzazione a scopo ricreativo, mentre in due solo per scopo medico. Ricordiamo che ad oggi 10 sono gli stati che hanno legalizzato l’uso della marijuana per scopi ricreativi e ben 33 per scopi medici. Secondo uno studio pubblicato l’anno scorso, quasi il 70% degli americani vive in uno stato in cui l’uso della marijuana e’ stato in qualche forma legalizzato. A questo si aggiunge un altro interessante referendum nello stato dell’Oregon in cui si voterà la creazione di centri in cui sarà possibile il consumo di alcuni tipi di funghi allucinogeni. Se il referendum passasse, lo stato avrà due anni per definire i dettagli del funzionamento di questi centri.

Terminiamo questa carrellata con il referendum che si voterà nello stato dello Utah per decidere di sostituire qualsiasi parola che si riferisce ad un unico genere (la parola “uomini” per esempio) con una che e’ invece gender neutral (per esempio la parola “persone”). Quello nello Utah e’ il decimo referendum di questo tipo votato nella storia degli Stati Uniti. Nelle precedenti nove consultazioni, i si vinsero solamente cinque volte. Il primo referendum di questo tipo fu votato e approvato in California nel 1974.  

Chiudiamo questa corrispondenza con la notizia dell’ennesimo afroamericano ucciso dalla polizia. Questa volta e’ successo a Philadelphia dove Lunedi scorso due poliziotti hanno ucciso Walter Wallace con 10 colpi di pistola. Secondo una prima ricostruzione, Wallace stava avendo una crisi mentale ed era armato con un coltello. I poliziotti hanno sparato nonostante il ragazzo fosse ancora distante e la madre stesse cercando di calmare il figlio. La comunita’ e’ scesa immediatamente in strada scontrandosi con le forze dell’ordine. Ricordiamo che la polizia di Philadelphia e’ storicamente una delle polizie più razziste degli stati uniti. Nel 1985 gettarono una bomba da un elicottero contro una comune di militanti afroamericani chiamata MOVE. In quell’attacco morirono sei adulti e cinque bambini. Ricordiamo che anche il prigioniero politico Mumia Abu-Jamal era un membro di quest’organizzazione. Vedremo nei prossimi giorni come la situazione evolverà. 

Uno sguardo sugli USA: con noi Alessandro Portelli

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Durata 22m 15s

Alessandro Portelli, docente di letteratura angloamericana alla Sapienza, analizza con noi le implicazioni e gli scenari del Black Lives Matter. 

Sempre di Alessandro Portelli, dal Manifesto: 

"C’è qualcosa di mitologico nell’immagine del poliziotto col ginocchio piantato sul collo della vittima a Minneapolis – San Giorgio che calpesta il drago sconfitto, la divinità purissima che schiaccia il serpente, perfino il cacciatore bianco sull’elefante o il rinoceronte ucciso in safari… Sono figure della vittoria della virtù sulla bestia, dello spirito sulla natura, della civiltà sul mondo selvaggio … E del bianco sul nero. Così deve essersi sentito il poliziotto Dereck Chauvin, domatore sul corpo prostrato di George Floyd in mezzo alla strada, davanti agli occhi di tutti.

Ma in questa immagine il senso si capovolge: l’animale è quello che sta sopra e calpesta, e la vittima calpestata è quella che invoca il più umano e insieme il più simbolico dei diritti: il respiro, vita del corpo e soffio dello spirito. A Minneapolis, la civiltà è la bestia, l’ordine è selvaggio, la legge è l’arbitrio, l’umanità è soffocata e soppressa. Jack London lo chiamava il Tallone di ferro; stavolta è un ginocchio, a New York al collo di Eric Garner era un braccio; ma la sostanza è la stessa.

Anche per questo in strada non sono scesi solo i fratelli e le sorelle afroamericani, i più prossimi alla vittima, ma anche tanti di quelli – bianchi e latini, uomini e donne – che sempre più si sentono sul collo il ginocchio mortale della disuguaglianza crescente, della precarietà della sussistenza, della perdita dei diritti, dello svuotamento della democrazia. Come il drago, il rettile, la selvaggina nelle icone, questi esseri umani non hanno diritto di parola nell’agiografia vittoriosa del potere. Il respiro spezzato di George Floyd e di Eric Garner è anche una figura della loro voce negata.

E’ una parte di America senza diritto di parola, senza voto e senza rappresentanza quella che è esplosa in tutto il paese. Lo stato è in mano a forze che lo pensano come potere di dominio senza responsabilità di governo; quando il paese diventa ingovernabile sanno solo minacciare sparatorie ed evocare “cani feroci” da scagliare addosso ai manifestanti – salvo andarsi a nascondere nel bunker come di un ditta torello spaventato dai suoi stessi sudditi. Peraltro, la vigliaccheria è funzionale anche a un consapevole disegno politico: drammatizzare la situazione, accentuare il conflitto, radicalizzare le aree di consenso su cui si basa il sostegno elettorale di Trump, far dimenticare la disastrosa gestione dell’emergenza sanitaria, cogliere l’occasione per criminalizzare il dissenso. C’è un’intenzionale parallelismo fra il gesto di Trump di scendere le bunker e quello del vicepresidente Cheney dopo l’11 settembre: come dire che la crisi di adesso è la stessa di allora (e i “terroristi” sono gli “antifa”) e legittima la stessa politica securitaria, le stesse violazioni e sospensioni della democrazia di allora.

Né l’alternativa possono essere le parole flebili, convenzionali, di prammatica (e soprattutto: parole, in un momento che avrebbe bisogno di azioni, di gesti significativi) che sono venute da Biden e del partito cosiddetto democratico, che peraltro di scheletri nell’armadio ne ha fin troppi. Fino a una settimana fa, la più plausibile candidata democratica alla vicepresidenza era Amy Klobuchar, ex pubblico ministero della contea di Minneapolis, che in quanto tale aveva lasciato correre, e anzi appoggiato, l’aggressività endemica della polizia ed era addirittura accusata di aver lasciato indenne in un caso precedente lo stesso Derek Chauvin. Anche se è ormai chiaro che non sarà lei la prescelta, il solo fatto che si fosse pensato a lei per la vicepresidenza (e quindi in futuro addirittura per una possibile candidatura presidenziale) ci dice quanto questi temi fossero estranei alla visione del gruppo dirigente democratico.

La sola opposizione in questo momento sta nelle strade. La “violenza” non piace a nessuno; ma se i senza parola non avessero alzato la voce Dereck Chauvin l’avrebbe fatta franca per l’ennesima volta come tutti gli altri; e se non avessero parlato con il fuoco nelle strade le istituzioni si sarebbero limitate a licenziarlo ma non l’avrebbero, troppo tardi, incriminato. Tutti applaudivano quando un grande scrittore come James Baldwin, sugli echi biblici di un grande spiritual, ammoniva: la prossima volta il fuoco. Bene, la prossima volta è questa, il commissariato di polizia a Minneapolis brucia davvero. E adesso che le parole di Baldwin diventano fatti, tutti a stigmatizzare la violenza come se non li avessero avvertiti prima, invece di domandarsi che cosa potevamo fare perché non fosse ancora una volta inevitabile e che cosa dovremo fare, quando i fuochi sembreranno spegnersi, perché non sia necessario che tornino a divampare un’altra volta.

Per fortuna, nelle strade d’America c’è stato anche il gesto concreto di un’altra opposizione, che segna davvero una novità storica – e viene da gruppi imprevisti di lavoratori. Hanno cominciato gli autisti degli autobus di Minneapolis, rifiutandosi di potare in carcere i manifestanti arrestati. Ma il messaggio più potente viene propria da dentro quello sarebbe il campo avverso: sono i poliziotti che si uniscono ai cortei dei manifestanti, che solidarizzano con la protesta, che dicono basta alla solidarietà a priori con i propri colleghi picchiatori e assassini. Mi colpisce che gli episodi più clamorosi vengano da realtà con un forte potere simbolico: Camden, New Jersey (città di Walt Whitman, poeta della democrazia, e periferia disastrata), Flint, Michigan (la città operaia della General Motors e Michael Moore, avvelenata dagli scarichi industriali nelle acque col sillenzio del governo federale), e soprattutto Ferguson, Missouri, la città dove l’assassinio di Michael Brown e la repressione militare della protesta hanno aperto nel 2014 una nuova fase che culmina (per ora) con gli eventi di oggi. A Ferguson, la polizia era armata come un esercito di occupazione, e addestrata a pensare ai manifestanti, letteralmente, come “nemici”. Che poliziotti di Ferguson si inginocchino in omaggio a un afroamericano ammazzato da uno come loro significa che c’è un limite a tutto, che questo limite è stato oltrepassato, e che qualche coscienza comincia a cambiare. Forse non basta, ma non era mai successo prima. Forse, adesso che il drago si scuote, anche San Giorgio comincia ad avere qualche dubbio."

 

Angela Davis: It's about revolution

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Nel giorno della celebrazione della liberazione della schiavitù (il Juneeteenth) mandiamo in onda, tradotta, una recente intervista ad Angela Davis. Partendo dalle  campagne abolizioniste, dalla campagna defundthepolice e dalla rimozione delle statue confederate, Angela Davis offre un'analisi del razzismo sistemico degli Stati Uniti d'America e la sua connessione al capitalismo.
"It's about revolution"

USA: la Corte Suprema a favore dei diritti LGTBQ

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Durata 4m 4s

A 51 anni dalla rivolta di Stonewall, la Corte Suprema ha scritto un’altra importante pagina della storia del movimento LGBTQ americano. Fino a questo lunedi, in 26 stati americani chiunque poteva essere licenziato per il semplice fatto di essere gay o transessuale.

Con questa decisione, la Corte Suprema ha chiarito che la nozione di sesso contenuta nel testo del Civil Right Act approvato nel 1964 non puo’ essere interpretata in chiave strettamente biologica

Questa sentenza e’ un duro colpo per Trump per due motivi. Prima di tutto, l’eliminazione di qualsiasi protezione per le persone transessuali e’ stata una sua ossessione sin dall’inizio del suo mandato.  

Durata 5' ca

 

USA: lotta anticarceraria e per l'abolizione della polizia

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Durata 37m 34s

Con una compagna del prison abolition prisoners support parliamo della situazione carceraria durante il coronavirus e dei legami tra la lotta anticarceraria e quella contro la polizia. Su quest'ultimo argomento approfondiamo il tema del definanziamento della polizia a Minneapolis e proviamo a capire questo cosa potrebbe significare nella pratica